Molti lettori hanno chiesto che parlassimo della maledizione di Tutankhamon, dopo che ne abbiamo accennato nel precedente articolo. Anche se non possiamo definirlo propriamente archeologia (e quindi potenzialmente poco attinente agli scopi di questa rubrica), riteniamo tuttavia che parlare di questo mito possa contribuire a vedere tale disciplina con occhi più razionali e critici, soprattutto se la leggenda in questione venisse sfatata. Ed è esattamente ciò che ci proponiamo di fare, magari in contrapposizione con ciò che potreste leggere in alcuni siti di carattere occultistico-esoterico, per i quali, invece, la maledizione è un fatto reale e documentato.
La maledizione e i decessi… “misteriosi”
Secondo una leggenda, la tomba di Tutankhamon era protetta da una maledizione mortale che sarebbe ricaduta su chiunque la violasse. Alla cerimonia di apertura della tomba, fissata per il 17 febbraio del 1923 (un venerdì…) vi parteciparono una ventina di persone. Due mesi dopo, Lord Carnarvon, il finanziatore di Carter, morì in seguito alla setticemia prodotta dalla puntura di una zanzara: in quel preciso istante, tutte le luci del Cairo si spensero di colpo. A quella stessa ora, a Londra, la cagnolina di Carnarvon si mise a guaire, si rizzò sulle zampe posteriori e stramazzò al suolo, morta. Toccò poi al fratellastro di Carnarvon, Audrey Herbert, che morì inspiegabilmente a seguito di una semplice estrazione dentale. Prima della fine dell’anno, altre 12 persone del gruppo dei venti testimoni morirono, ma anche altri sarebbero morti, come George Jay Gould, figlio del finanziere Jay Gould, amico di Carnarvon, che si recò in Egitto per vedere la tomba e morì di peste bubbonica nel giro di ventiquattr’ore. Entro il 1929, altre 16 persone che in un modo o nell’altro erano venute a contatto con la mummia sarebbero morte, tra le quali il radiologo Archibald Reed, che aveva preparato i resti di Tutankhamon per l’analisi radiologica; l’archeologo canadese La Fleur, giunto in Egitto- in perfetto stato di salute-per aiutare Carter nei suoi lavori, morì appena qualche settimana dopo per una misteriosa malattia; Hugh Gerard Evelyn-White, che aveva collaborato con Carter a redigere l’inventario del corredo funebre del faraone, trovato impiccato nel 1924; nel 1926 la “maledizione” colpì anche Bernard Pyne Grenfell, l’insigne papirologo consultato da Carnarvon per le traduzioni dei testi egizi. E ancora: il segretario privato di Lord Carnarvon, il nobile Richard Bethell, che venne trovato morto nel suo letto nel 1929 a seguito di un anomalo caso di arresto cardiaco. Bethell aveva aiutato Carter nel lavoro di catalogazione dei tesori del faraone. Lord Westbury, l’anziano padre di Bethell, morì appena qualche mese dopo il figlio, “precipitando” dalla finestra del suo appartamento di Londra. Nella sua camera da letto venne rinvenuto un vaso di alabastro proveniente dalla tomba di Tutankhamon; il carro funebre che lo trasportava al cimitero investì un ragazzo ad un incrocio. Di uno “strano male” morì anche l’egittologo Arthur Cruttenden Mace, lo studioso che nel 1922 aveva collaborato con Carter al restauro della tomba; nel 1923 cominciò a lamentare un pessimo stato di salute che lo condusse alla morte nel 1928. Nel 1929 toccò a Lady Almina, la moglie di Lord Carnarvon, ufficialmente per un’infezione.
Eventi nefasti
Ma la leggenda della maledizione si alimenta con l’aggiunta di aneddoti su eventi quasi soprannaturali. Ad esempio, si diceva che il canarino che Carter aveva portato con sé dall’Inghilterra fosse stato sbranato da un cobra (rettile, peraltro, comunissimo in Egitto), simbolo di protezione per i faraoni, il giorno dell’apertura della tomba. Questo fatto banale (anche se ci dispiace per la povera bestiola), probabilmente mai accaduto, diede credibilità alle tesi che forze soprannaturali fossero intervenute per punire i violatori del riposo del faraone.
Venne anche fatta circolare la voce secondo la quale, al momento dell’uscita dalla tomba dell’ultimo operaio, si sarebbe scatenata una inquietante tempesta di sabbia, proprio davanti al tunnel che conduceva al sepolcro. A tale evento “soprannaturale” (tempesta di sabbia in Egitto? Strano, vero?) avrebbe poi fatto seguito la comparsa all’orizzonte di un maestoso falco (simbolo dell’autorità regale nell’antico Egitto) diretto verso ovest, il luogo dove gli Egizi ritenevano si recassero le anime dei morti.
Al racconto di tale episodio – di cui però non si hanno riscontri storici – se ne vennero ad aggiungere altri sempre più inquietanti. Ad esempio, il caso della già citata cagnolina di Carnarvon che prima di morire avrebbe ululato di terrore per aver percepito una entità ostile che stava tormentando il povero animale.
Insomma, il faraone si stava vendicando, scatenando una serie di forze che non lasciavano scampo a tutti coloro che aveva osato disturbare il suo sonno eterno, ignorando l’ammonimento dei geroglifici scritti sul sigillo posto all’ingresso: “La morte colpirà con le sue ali chiunque disturberà il sonno del faraone”. Da brividi, eh?
Qualcosa non torna
Certo che messa così, questa storia sembra vera. Ma alcuni particolari però non quadrano. Innanzitutto, la faccenda della morte di Lord Carnarvon, che morì prima che i resti di Tutankhamon venissero effettivamente scoperti. L’ammonimento che si diceva fosse sull’ingresso della tomba aveva un piccolo problema: non esisteva. Carter nei suoi libri non ne parla mai e pertanto l’ipotesi più probabile è che si sia trattato di uno dei tanti “abbellimenti” aggiunti dalla stampa dell’epoca, affamata di notizie sempre nuove. Qualcuno disse che il collare d’oro trovato attorno al collo del faraone rappresentava un altro avvertimento ai violatori della tomba, ma in realtà dal collo di Tutankhamon pendeva un grande scarabeo di resina nera su cui era scritto un noto rituale, detto “Benu”, dal nome della divinità egizia simbolo della resurrezione. Da nessuna parte della bardatura che copriva la mummia furono trovate minacce di morte, ma anzi tra gli ornamenti si potevano leggere espressioni di benvenuto degli dèi, espressioni che confermano che le preoccupazioni principali degli Egizi non erano rivolte a scacciare e maledire eventuali intrusi dalla tomba, ma ad assicurare al faraone un tranquillo viaggio verso il regno di Osiride.
Morti misteriose…ma non troppo
Come abbiamo già detto nel precedente articolo, uno dei motivi per cui Lord Carnarvon si era recato in Egitto nel 1903 era per beneficiare del suo clima secco, dal momento che i suoi polmoni erano in cattivo stato dopo l’incidente automobilistico. La sua salute era quindi particolarmente precaria quando venne punto da quella zanzara nel 1923. Tagliandosi accidentalmente la ferita con un rasoio, si procurò un’infezione che gli causò la febbre. A Luxor il medico lo mette a dieta e gli proibisce di alzarsi. Carnarvon, però, non segue gli accorti consigli del medico e preferisce continuare con la sua vita, bevendo ogni sera la sua bottiglia di vino francese. Non stupisce, quindi, che le sue condizioni, anziché migliorare, peggiorino al punto da essere ricoverato al Cairo. Qui l’infezione guarisce, ma subito dopo subentra la polmonite di cui il Lord è facile preda, polmonite che gli sarà fatale. Qui dobbiamo dire che, nonostante tutti i suoi problemi di salute, Carnarvon visse fino a 57 anni, un’età piuttosto avanzata per un inglese del suo tempo in cui l’età media si aggirava intorno ai 46 anni. Le reali circostanze in cui perse la vita Carnarvon rimangono tuttavia poco chiare poiché già molto tempo prima del decesso il nobile britannico manifestò evidenti sintomi di avvelenamento da arsenico. Il conte, infatti, dopo aver contratto l’infezione, cominciò a soffrire anche per la frequente caduta dei denti e del loro continuo sgretolamento, che sono le tipiche conseguenze dell’avvelenamento da arsenico. Ma, come dimostrarono le indagini chimiche e batteriologiche condotte nella tomba già dal mattino seguente dell’apertura ufficiale, tale sostanza risultò essere del tutto assente dalle camere funerarie del faraone. E che dire di quell’improvviso blackout che ci fu al Cairo al momento della morte, ammesso che non si trattasse di una trovata giornalistica? Beh, all’epoca era un evento frequentissimo che si ripete anche oggi nelle grandi città nonostante il grande progresso tecnologico raggiunto. Una storia affermava anche che una macchia scura fosse comparsa sulla guancia della mummia di Tutankhamon nello stesso punto in cui il conte era stato punto: peccato che non esista nessuna macchia… La storia della cagnolina di Carnarvon morta nello stesso momento del suo padrone si basa su una presunta testimonianza di suo figlio, il quale affermò che il padre morì poco prima delle 2, ora del Cairo e che la bestiola alle 4 del mattino, ora di Londra, quindi nello stesso momento. Ma qualcosa non quadra perché la differenza di fuso orario tra Londra e il Cairo è sì di due ore, ma non nella direzione indicata dal figlio di Carnarvon: quando al Cairo sono le 2, momento in cui muore il conte, a Londra non sono le 4, ma mezzanotte! Inoltre, non sappiamo se la fox terrier fosse l’unico cane presente ad Highclere, non sappiamo quanti anni avesse e in quale stato di salute si trovasse. Stando così le cose, la morte di Carnarvon non sembra così misteriosa, e per nulla legata ad una improbabile maledizione del faraone, e non può esserlo in nessun modo perché quando Carter scoprì la tomba, il conte si trovava, come abbiamo visto, in Inghilterra, e morì un anno prima che gli scavi consentissero di arrivare alla sala del sarcofago, e ben due anni prima del ritrovamento della mummia!
Secondo i sostenitori della maledizione, George Jay Gould, l’amico di Carnarvon che si recò in Egitto per vedere la tomba con i suoi occhi, morì nel giro di 24 ore dopo averla visitata. Peccato che sia falso: Gould morì a Mentone, in Francia, di polmonite e non di peste bubbonica.
Archibald Reed, il radiologo che sarebbe morto per aver preparato i resti di Tutankhamon per l’analisi biologica, non si è mai avvicinato alla sua mummia perché era morto ancora prima di lasciare l’Inghilterra!
Ma nell’elenco delle morti misteriose compaiono persone che non hanno avuto assolutamente nulla a che fare con la scoperta della tomba, come l’archeologo Evelyn-White, che nel 1909 aveva semplicemente preso parte ad una spedizione nella necropoli tebana e quindi non c’entrava niente, come l’infermiera che assistette Carnarvon, la quale morì di parto, o George Maxwell, che aveva come unica colpa quella di essere amico di Carnarvon. Quindi ci chiediamo per quale motivo questi individui dovessero essere colpiti dalla “maledizione” se non entrarono mai in contatto con la tomba? E per quale motivo altre persone che invece vi lavorarono giorno e notte vissero tranquillamente per anni?
Richard Bethell, il segretario personale di Carnarvon, non partecipò mai ai lavori per la scoperta della tomba e morì per un collasso sei anni dopo la sua apertura. Suo padre, che si uccise per il dolore, aveva 78 anni ed era instabile mentalmente, ma venne fatto entrare a forza nell’elenco dei “maledetti”, anche se non visitò mai la tomba, con l’episodio del suo carro funebre che investì un ragazzo ad un incrocio, come se gli incidenti agli incroci non avvenissero di frequente.
Arthur Mace, l’egittologo del Metropolitan Museum e Georges Benedict, l’egittologo del Louvre, erano sì stati a diretto contatto con gli scavi, ma morirono l’uno dopo cinque anni e l’altro dopo tre anni. Mace aveva 69 anni e il caldo tropicale della Valle dei Re si era dimostrato fatale per lui.
Nell’elenco dei “maledetti” furono inclusi altri due egittologi, Herbert Winlock e Pierre Lacau, morirono il primo a 66 anni, ben 27 anni dopo l’apertura della tomba, e il secondo a 92 anni, ben 42 anni dopo l’apertura della tomba! Una maledizione fulminante, non c’è che dire…
Douglas Derry, che sottopose il corpo di Tutankhamon a tutte le analisi e di cui possiamo trovare in rete i risultati del 1925, sarebbe morto, secondo i ricercatori del mistero, nel 1929. Ma è falso: è morto nel 1939, ottantenne.
Alfred Lucas, chimico del governo egiziano, che condusse le analisi sui tessuti della mummia e sugli oggetti della tomba, morì a 79 anni, ben 27 anni dopo la sua apertura.
E Gustave Lefevre, che aveva ordinato la collezione nel museo del Cairo morì a 78 anni, ossia 34 anni dopo l’apertura della tomba.
Alan Gardiner, il filologo che esaminò tutto il materiale scritto, era ancora in vita 42 anni dopo che la “maledizione” lo avrebbe colpito.
Lady Almina, la moglie di Carnarvon, morì nel 1969, e non visitò mai la tomba, a differenza di sua figlia, Lady Evelyn Herbert, che fu presente nei momenti più importanti e fu addirittura una delle tre persone che entrarono nella camera sepolcrale. Morì 57 anni dopo l’evento.
Ed infine, se la maledizione fosse stata reale, allora perché Carter, l’uomo simbolo del ritrovamento di Tutankhamon, colui che per primo avrebbe dovuto risentirne gli effetti, perché non è morto stecchito all’istante non appena aperta la prima porta del sepolcro? Chi più di lui sarebbe dovuto essere punito? E invece lavorerà ancora a lungo nella tomba, scrivendo libri sull’argomento. Morirà nel 1939, a 66 anni.
Dei milioni di persone che negli anni visitarono la tomba e i tesori di Tutankhamon sembra che solo una ventina siano state colpite dalla “maledizione”, e sono morte in media solo 23 anni dall’ apertura.
Nel 2002 sul British Medical Journal, il ricercatore australiano Mark Nelson pubblicò un articolo per dimostrare scientificamente l’inesattezza della maledizione; prendendo in esame i 44 europei presenti ufficialmente in Egitto all’epoca della scoperta, li divise in due gruppi: 25 “esposti” alla maledizione perché presenti fisicamente al momento della scoperta o all’apertura del sarcofago o all’autopsia della mummia; e i 19 semplici accompagnatori mai entrati in contatto con la tomba. L’età media della morte supera i 70 anni e il tempo medio dall’”esposizione” al decesso e di più di vent’anni. Eventi inventati ad arte, clamorose supposizioni soprannaturali, semplici coincidenze hanno creato una delle leggende più dure a morire che riguardano il mondo dell’archeologia dell’antico Egitto.
Come è nata la leggenda?
Un’ipotesi interessante è che la leggenda della maledizione possa essere stata messa in giro proprio da Howard Carter, allo scopo di tenere lontani ladri e curiosi. Ciò potrebbe anche spiegare perché scelse un venerdì 17 per aprire la camera contenete il sarcofago. Ma potrebbero esserci anche altri motivi. Ad esempio, egli stesso raccontò che non appena il Times pubblicò il primo servizio sulla scoperta, nessuna potenza al mondo è stata più in grado di sottrarsi alla pubblicità che si era abbattuta sul team, rendendo la situazione imbarazzante: dopo una prima ondata di telegrammi giunti da ogni parte del mondo fu la volta delle lettere e dei giornalisti calati nella Valle in gran numero. Carter prosegue raccontando che se non si fosse preso qualche provvedimento, il team avrebbe trascorso l’intera stagione a fare da cicerone senza riuscire a svolgere la minima attività: i guai nascevano quando si trattava di persone alle quali, per un motivo o per un altro, si doveva per forza mostrare la tomba, rendendo praticamente fermo il lavoro di ricerca. Carter fece quindi riempire nuovamente l’ingresso della tomba per qualche giorno e così il flusso dei visitatori diminuì. Non è peregrina quindi l’ipotesi che per scoraggiare nuovi seccatori abbia pensato di ricorrere anche alla leggenda della maledizione. Ciò trova conferma nelle rivelazioni di Richard Adamson, uno degli addetti alla sicurezza della tomba, che passò molte notti nel sepolcro: durante un programma televisivo della rete americana NBC andato in onda nel 1980, Adamson, che da 57 anni eludeva la morte, spiegò che avevano fatto in modo che la storia della maledizione circolasse perché li aiutava a ridurre i rischi di furti durante la notte. Adamson dormì per sette anni vicino al sarcofago dorato e alla mummia. Beh…
Una trovata pubblicitaria
Il mistero della maledizione è un mistero che semplicemente non c’è. Si tratta, in conclusione, di una grande trovata pubblicitaria. Il 9 gennaio 1923, per 5000 sterline e il 75% dei proventi sulle vendite mondiali degli articoli, Carter e Carnarvon avevano ceduto i diritti esclusivi sulla divulgazione della loro scoperta al Times di Londra, tagliando fuori tutti gli altri mezzi di informazione. Questo portò ad una situazione paradossale in cui i giornali erano costretti a riportare notizie solo di seconda mano; e lo stesso governo egiziano poteva seguire l’evoluzione dei lavori solo attraverso quotidiani stranieri. Iniziò una campagna denigratoria nei confronti della scoperta. La leggenda nacque con la morte del canarino di Carter, mangiato dal cobra. Rivestire questo episodio di un significato simbolico e nefasto fu la cosa più semplice del mondo per Arthur Weigall che, forse imbeccato da Carter stesso, riportò la notizia sul Daily Mail, di cui era corrispondente. E quando Carnarvon morì, i giornali non aspettavano altro: titoli sensazionalistici esplosero ovunque. Anche Arthur Conan Doyle, scrittore di storie fantastiche ed inventore del personaggio di Sherlock Holmes, accanito sostenitore dello spiritismo, in una intervista al Times, riferì che la scomparsa del conte era da attribuirsi ad una maledizione o a qualche spirito protettivo invocato dagli antichi sacerdoti egizi.
Fatto sta che la leggenda ha ispirato nel tempo numerosi libri e film, come “La mummia” del 1932 con Boris Karloff, e i successivi remake più recenti. Molti autori del mistero hanno fatto soldi a palate, scrivendo di qualcosa che non esiste e molte volte narrando fatti mai avvenuti e inventati di sana pianta. Ciò che invece è autentica è l’enorme notorietà raggiunta da un giovane vissuto migliaia di anni fa, ottenendo così quello che gli antichi egizi bramavano: l’immortalità.
Foto del sigillo intatto della tomba di Tutankhamon.