Si ingolfa all’ultimo miglio la manovra.
Il via libera definitivo da parte del Parlamento è destinato infatti ad arrivare dopo Natale. Non basta la maratona notturna in commissione Bilancio alla Camera per licenziare il testo e le sue centinaia di emendamenti, che continuano a cambiare e ad arrivare ai deputati sotto forma di riformulazioni che, protestano le opposizioni, sono troppe, complesse e confusionarie per essere valutate nel poco tempo concesso.
Uno fra tutti è l’emendamento sugli stipendi dei ministri, cambiato almeno due volte nell’arco di 24 ore. Una delle modifiche che vede il via libera definitivo è invece l’emendamento della Lega sulla flessibilità in uscita: per la prima volta si potrà cumulare previdenza obbligatoria e complementare per raggiungere un assegno pensionistico pari a tre volte il minimo, riuscendo ad anticipare la pensione a 64 anni.
Arrivano nuovi fondi al Ponte sullo Stretto. Nel fascicolo delle proposte di modifica alla manovra dei gruppi, riformulate dal governo per l’approvazione, risulta infatti anche un emendamento della Lega che incrementa complessivamente di 1,4 miliardi, rispetto agli 11,6 miliardi previsti dalla scorsa legge di bilancio, la dote per l’infrastruttura fino al 2032. Si tratta, però, di una cifra inferiore rispetto ai 3 miliardi inizialmente ipotizzati nell’emendamento a firma del capogruppo leghista Riccardo Molinari.
Dopo aver mancato l’obiettivo della mattina, cioè chiudere l’esame affidando il mandato al relatore, la commissione Bilancio si prende mezza giornata di pausa anche per assistere alle comunicazioni della premier in Aula. Nel caos il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti dà la sua disponibilità a presentarsi in commissione. Ma la richiesta ufficiale alla fine non arriva.
La seduta si riapre nel primo pomeriggio, ma i lavori procedono subito a rilento. Ma sui tavoli della commissione, per tutto il giorno, sono continuati ad arrivare nuovi fascicoli di emendamenti riformulati. La maggior parte riguarda temi di primo piano, come l’Ires premiale che aggiunge un nuovo requisito anti-elusione, oppure quello che riduce da 40 a 20 anni la proroga delle concessioni elettriche. E solo in serata, dopo un’interlocuzione durata tutto il giorno, arriva quello che modifica l’introduzione dei revisori del Mef nelle società che percepiscono fondi pubblici. Dopo la maratona notturna fallita, anche il nuovo obiettivo di chiudere in poche ore e assicurare l’approdo del testo in Aula mercoledì pomeriggio sembra lontano. La capigruppo slitta di ora in ora: licenziare la legge di bilancio 2025 entro Natale sembra sempre più improbabile, tanto che il Senato si prepara a lavorare il 27 e 28 dicembre.
Nel frattempo, le opposizioni protestano per il caos dei lavori. Contestano il metodo con cui viene condotto il voto sugli emendamenti alla manovra. “Ci apprestiamo all’approvazione per parti separate di un maxiemendamento, con un solo voto su materie assolutamente eterogenee e lontanissime tra di loro”, fa notare la deputata del Pd Cecilia Guerra. “Ciascuno di noi è obbligato ad esprimersi con un solo voto. Una prassi che non si deve ripetere e non può costituire un precedente. Prendiamoci un impegno collettivo affinché non diventi prassi, sarebbe una violenza nei confronti di parlamento e democrazia”, ha aggiunto. Ma non è solo il metodo che viene contestato, nel merito solleva parecchie critiche anche la norma sugli stipendi dei ministri che viene riscritta più volte. Le critiche sono talmente forti che anche la premier Giorgia Meloni ne parla in Aula, appoggiando il passo indietro per evitare inutili polemiche.
Nel pomeriggio, un’ulteriore riformulazione dell’emendamento dei relatori specifica che i rimborsi delle spese di trasferta per ministri e sottosegretari non eletti e non residenti a Roma riguardano il tragitto “da e per il domicilio o la residenza”. La riformulazione – cui in serata ha dato il via libera la Commissione Bilancio della Camera – conferma lo stop all’equiparazione dei compensi dei ministri e sottosegretari non parlamentari a quelli dei colleghi eletti, prevedendo solo il “diritto al rimborso delle spese di trasferta per l’espletamento delle proprie funzioni”. E anche la cosiddetta norma anti-Renzi viene ritoccata: il divieto ai compensi extra Ue vale anche per “i titolari di cariche di governo”.
Fonte: ansa.it