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La norma sul part-time agevolato verso la pensione si preannuncia un flop

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La norma sul part-time agevolato verso la pensione si preannuncia un flop, così come accaduto per quella sul Tfr in busta paga: dal 2 giugno 2016, data di entrata in vigore del decreto che dà la possibilità ai lavoratori che avrebbero maturato il requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia entro il 31 dicembre 2018 di andare in part time verso la pensione, le domande accolte dall’Inps sono state appena 200.

Cosa prevede la norma

La norma prevede l’accordo tra lavoratore e impresa ma vantaggi soprattutto per il dipendente. In particolare, il part-time agevolato per chi è vicino alla pensione (previsto da un decreto firmato la scorsa primavera dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti e dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan) il decreto consente ai lavoratori dipendenti del settore privato che sono a non più di tre anni dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia di fare un accordo con il datore di lavoro per passare dal regime a tempo pieno a un orario parziale (dal 40 al 60% di quello normale) prendendo però una retribuzione pari a circa i due terzi di quella ordinaria. In pratica, l’orario si dimezza ma la paga no. Questo perché l’azienda verserà in busta paga i contributi di sua competenza che avrebbe invece dovuto versare all’Inps sulla parte di orario che viene ridotta (circa la metà del 24%). Questa somma si aggiungerà esentasse allo stipendio ricalcolato sulla base dell’orario ridotto. Per esempio, un lavoratore che prende 1.500 euro netti al mese e passa ad un part-time al 50% non prenderà 750 euro bensì intorno ai mille euro al mese, circa il 70%.

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