L’abbandonatrice di Stefano Bonazzi
Stefano Bonazzi nasce a Ferrara nel 1983, di professione webmaster e grafico pubblicitario. Le sue opere( ispirate all’arte surrealista) sono state esposte, oltre che in Italia, a Miami, a Londra, a Monaco e Seul. Nel 2004 esce allo scoperto con il suo primo romanzo “A bocca chiusa”pubblicato da Newton Compton. Una carriera che si moltiplica in una serie di sfide, si aggiungono emozioni legate alle sue mostre fotografiche,più ampia è la volontà di narrare e costruire un’intimità; una biografia che non può prescindere da colui il quale presentiamo:si tende a far conoscere il punto di vista che adottiamo narrando ciò che abbiamo vissuto, senza distinzione alcuna. Stefano Bonazzi nel 2017 decide di riproporsi ai suoi lettori, al suo pubblico, ai suoi amici con il libro “L’abbandonatrice”, edito da Fernandel: si tratta di un romanzo introspettivo,capace di ripercorrere le tappe della vita, dall’adolescenza all’età adulta, affiancando alle problematiche, ai disagi, alle relazioni delle ultime generazioni, alle differenze sociali una sorta di “scelta all’esistenza”. L’autore, nel romanzo descrive le relazioni quotidiane che attraversano ogni età e strato sociale, in ricordo di Sofia, l’amica di cui aveva perso le tracce da tempo, e che si è tolta la vita, di conseguenza si apre la storia con la brutta notizia della morte di Sofia , e a seguire l’incontro di Davide con Diamante, il figlio di Sofia, che dovrà fare i conti con Oscar, compagno di Davide ed emblema dei fallimenti e del disagio esistenziale in un andirivieni di abbandoni e solitudine dell’esistenza.
Stefano, la tua è una carriera basata sull’arte fotografica, una fotografia che cattura gli scatti surrealisti e che suscitano effetti speciali. Cosa ti ha spinto a pubblicare un romanzo introspettivo, dove l’identità che assumi si avvicina ai destinatari interiori, e soprattutto la storia che racconti è la storia della nostra incapacità di essere quello che vorremo essere. Perché questa scelta?
L’abbandonatrice può considerarsi una sorta di evoluzione sulla ricerca dell’incomunicabilità che ho iniziato con i miei lavori fotografici. Il tratto distintivo delle mie immagini è il volto coperto, la maschera intesa come protezione ma anche blocco/chiusura verso l’esterno. I personaggi del libro riflettono in parte questo stato morale, questo deficit, soprattutto Davide e Oscar. Ci sono molti momenti di silenzio, frammenti notturni in cui pare quasi che sia la città e la musica stessa a riempirne i vuoti, a nasconderne le cicatrici.
Cosa rappresenta per te il personaggio di Sofia? Ci sono frammenti di storie nascoste o diverse?
Sofia rappresenta la responsabilità. Anzi, la fuga dalla responsabilità. Come dice il mio editore, Sofia “è colei che abbandona prima di essere abbandonata”. Nel libro ci sono tre fughe principali: la fuga dalla vita (non si tratta di un colpo di scena visto che il libro inizia proprio con l’annuncio del suicidio di Sofia), la fuga dalla famiglia e la fuga dai sentimenti. Anche Davide e Oscar sono in fuga: Davide da una famiglia silente, Oscar da un padre fin troppo presente. Sono tre personaggi che fanno leva sulle loro mancanze per completarsi come i pezzi di un puzzle.
Che significato dai alla relazione che intercorre tra Davide, Oscar e Diamante?
Diamante è il fattore detonante. È l’imprevisto che non ti aspetti e che arriva nel momento peggiore, è il joker che stravolge le carte in tavola e per la prima volta costringerà Davide ad assumere una posizione ferma nei confronti del partner. Inizialmente il lettore può pensare che sia l’elemento omofobo del romanzo, un ragazzo rabbioso dalla frecciatina facile, in realtà è un ragazzo pieno di paura, attento e sensibile (un altro dei temi portanti del libro). Un giovane che si ritrova all’improvviso privato della madre e affidato a una coppia di ragazzi omosessuali di cui conosce poco o nulla, in una città nuova. Tutto nel giro di pochi giorni. Penso che il suo sbandamento sia comprensibile: a sedici anni ogni emozione è amplificata e i punti di riferimento vacillano.
C’è un personaggio del libro in cui ti rivedi tanto? Se sì perché?
Con Davide condivido la passione per la fotografia e gli attacchi di panico. Molti conoscenti leggendo il libro hanno pensato a me, ma in realtà io e Davide abbiamo caratteri molto diversi. Lui è diffidente, timoroso, troppo insicuro. Io non sono certo uno spavaldo showman ma penso di aver fatto un percorso di accettazione dei miei limiti e dei miei difetti che mi ha portato a una maggiore stabilità rispetto a lui.
Credi che la narrazione, il racconto di storie introspettive sia terapeutico? Come scrive M. White, quando una persona decide di recarsi da uno psicoterapeuta è segno di un voler conoscere a fondo il proprio disagio interiore e capire da cosa derivi. Nel libro fornisci in modo chiaro vari spunti di riflessione, a chi ti rivolgi in particolare?La scrittura, così come qualsiasi altra forma d’espressione artistica può essere profondamente terapeutica e catartica. Dico sempre alle presentazioni che: i mostri, su carta, fanno meno paura. Io non penso che questo libro possa fornire un sostegno psicologico o elargire chissà quali risposte per fronteggiare la paura, spero solo che leggendolo, le persone possano sentirsi un po’ meno sole. Perché in mezzo a certe paludi ci siamo passati tutti e magari anche solo riconoscersi in una riga, in un comportamento, o in una frase altrui, può essere d’aiuto
.Fra le molte osservazioni, trovo particolarmente interessante nel tuo libro, l’approccio che adoperi, cioè un approccio interattivo e di rielaborazione del dolore. Hai fatto esperienze di questo tipo, o tutto nasce da uno studio approfondito, tipico di chi osserva molto.
Ho sofferto per molti anni di attacchi di panico e questo mi ha portato a seguire tutto un percorso terapeutico che è passato dai check-up medici, alla psicologia per arrivare all’arte-terapia. Ogni passaggio segnava una piccola conquista e una consapevolezza. All’inizio ti senti completamente solo, isolato, sordo. Poi inizi ad accorgerti che quello che stai passando non è qualcosa di esclusivo, quotidianamente ovunque ci sono persone che hanno i tuoi stessi mancamenti e soffrono dei tuoi stessi incubi. Ho scoperto che molti artisti e scrittori trattano la tematica perché sono i primi ad esserne coinvolti in prima persona: ad esempio Simona Vinci che ha pubblicato una meravigliosa, intima, confessione sulla paura (Parla, mia paura – Einaudi) o il talentuoso Alessandro Baronciani (Quando tutto diventò blu – Black Velvet) che come me si è concentrato sul colore che assume spesso la paura: il Blu
.Cosa ti aspetti ancora da questo romanzo. Perché leggerlo?
Tutto quello che potevo chiedere da questo libro l’ho già ricevuto. Dopo l’uscita mi sono arrivati decine di messaggi e confessioni di lettori che si sono riconosciuti in uno dei tre personaggi e la cosa incredibile è che il target raggiunto è stato incredibilmente vario: dal ragazzino diciottenne alla madre di famiglia. Questo risultato mi ha confermato ancora di più quanto il tema della paura sia mai come oggi attuale, quanto la felicità esibita sui social network sia spesso solo un’esile facciata. Ho ricevuto molto calore e tanto supporto, il libro ha toccato corde ed “è arrivato” dove doveva arrivare. Di più non posso chiedere
.Quel che manca, in effetti, è il colore delle parole, a tal proposito vuoi chiedere qualcosa a qualcuno o preferisci lasciare un messaggio?
In realtà in questo libro le parole hanno un colore ed è il blu. Come spiega Oscar in un punto del libro, in alcune religioni africane i diavoli blu sono i portatori di malinconia e tristezza, mentre le note blu sono quelle generalmente usate nella musica jazz e folk per creare una sorta di tensione musicale. Il blu è anche il colore predominante che vede Davide durante il suo primo attacco di panico. Sul mondo cala questo sipario monocromatico che tornerà più volte nel corso del romanzo. Il blu è anche il colore del cielo notturno d’estate, un cielo che accoglie i personaggi durante tutta la prima parte del romanzo
.Qualche sogno nel cassetto ce lo vuoi anticipare?
Ho già ricevuto tante soddisfazioni, più di quante ne potessi immaginare. Spero solo di poter continuare a lasciare qualcosa con quello che faccio.
Concludiamo questa intervista con un interrogativo. Chi è l’altro per te?
L’altro è lo sconosciuto. Qualcuno che spaventa e attrae al tempo stesso. È paura e desiderio. È tesoro e prigione. È il salto che dobbiamo fare per non atrofizzarci in noi stessi
Matteo Spagnuolo