Home Rubrica LA STELE DI ROSETTA LE CITTA’ DELL’APOCALISSE – TIATIRA E SARDI.

LE CITTA’ DELL’APOCALISSE – TIATIRA E SARDI.

Entrambe citate nell’Apocalisse di San Giovanni erano famose per la loro ricchezza: Tiatira come centro industriale e Sardi per il suo commercio nonché per essere stata la prima città a coniare le monete.

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Il complesso delle Terme-Palestra a Sardi.

Continua il nostro viaggio attraverso le Città dell’Apocalisse. In questo percorso oggi incontriamo Tiatira e Sardi, la quarta e la quinta ad essere nominate da San Giovanni. Di Tiatira, purtroppo, non resta quasi più nulla: il suo passato potrebbe essere ancora sepolto sotto la tranquilla cittadina agricola. Ma in passato questa città, che non fu mai una grande metropoli, si impose come ricco centro industriale, noto per la produzione artigianale che includeva la tessitura, la lavorazione dell’ottone e la produzione della porpora. Di oscure origini, fece parte del Regno di Pergamo e poi dell’Impero Romano. Fu visitata da Adriano e Caracalla e fu teatro della battaglia che nel 366 vide l’imperatore Valente sconfiggere l’usurpatore Procopio. A Tiatira erano presenti molte associazioni corporative, la cui attività sociale, che comprendeva ambigue pratiche pagane, fece andare su tutte le furie il redattore dell’Apocalisse.

Sardi è legata alla figura di Creso, il leggendario sovrano famoso per la sua ricchezza, che traeva origine dalle acque cariche d’oro del fiume Pattolo, in cui Mida si lavò per scongiurare la maledizione che lo perseguitava. La posizione felice di Sardi ne fece un importantissimo crocevia commerciale, frequentato dai mercanti di tutto il mondo antico. La città è nota per essere stata la prima a coniare delle vere monete d’oro del mondo, rivoluzionando il commercio e gli scambi. Le monete d’oro fornivano una moneta stabile e riconoscibile, ampiamente accettata, che favoriva il commercio locale e internazionale. Il concetto di moneta standardizzata si diffuse in tutto il mondo antico, gettando le basi per i sistemi economici moderni. Ma Sardi fu famosa anche per aver investito nell’arte e nella cultura e per essere stata un esempio di resilienza ed innovazione, essendosi sempre adattata ai mutevoli scenari internazionali e traendo vantaggi sia economici che culturali dall’intrecciarsi di diverse culture, pur rimanendo, è bene sottolinearlo in questi tempi woke, sempre fedele alle sue origini lidie.

È quindi il momento di conoscere meglio queste due straordinarie città dell’Asia Minore, in questo nuovo articolo della Rubrica “La Stele di Rosetta” in esclusiva per IQ. Buona lettura!

INDICE DEI CONTENUTI:

TIATIRA

LA LOCALIZZAZIONE

LA STORIA

LA BATTAGLIA DI TIATIRA

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

LIDIA DI TIATIRA

LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

SARDI

LA LOCALIZZAZIONE

LA STORIA

GLI SCAVI

I MONUMENTI

UNA CURIOSITA’: I GUSCI D’UOVO DI SARDI

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

CONCLUSIONI

TIATIRA

All’angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli.

San Giovanni, Apocalisse 2,18-29

Cominciamo con la quarta delle città citate nell’Apocalisse: Tiatira, forse la meno importante, in quanto non fu mai una grande metropoli né ebbe grande rilievo o importanza politica; ma era un ricco centro industriale, noto per la sua produzione artigianale, che includeva tessitura, tintura, lavorazione dell’ottone, conciatura e ceramica. Le sue tintorie sono menzionate spesso nelle iscrizioni. I tintori di Tiatira usavano radice di robbia (Rubia tinctorum) per produrre il famoso colore scarlatto o porpora.

LA LOCALIZZAZIONE

Localizzazione della moderna città di Akhisar, l’antica Tiatira.

Città dell’Asia Minore, ai confini della Lidia e della Misia, nell’attuale Turchia, situata sul luogo dell’attuale Akhisar, a circa 65 km a sud-est di Pergamo, Tiatira era la principale città della valle del fiume Lico, un affluente dell’Ermo, nella parte settentrionale della Lidia, ma così vicina alla Misia che alcuni autori antichi la chiamavano “l’estremità della Misia”. Si trova in linea d’aria circa 250 km a S-SO di Costantinopoli e 370 a E di Atene e, a causa della sua posizione strategica, ospitava un presidio militare.

LA STORIA

Della sua oscura origine si sa che fu città sacra di Tirimna , dio solare dei Lidi, (ricordato nell’abbondante epigrafia della città) in seguito associato al dio Apollo detto Tirimnaio, venerato come il dio del sole, il cui culto al tempo dell’Impero Romano fu unito a quello imperiale.
Parte della leggenda di Tiatira parla dell’esistenza di un tempio dedicato a una divinità chiamata Sambate, dove una profetessa impartiva i suoi oracoli.

Periodo ellenistico

Busto di Seleuco I Nicatore (Museo archeologico nazionale, Napoli).

Dopo la disfatta di Creso e la fine del regno di Lidia, Tiatira fece naturalmente parte dell’impero persiano, e successivamente dell’impero macedone, passando da Alessandro Magno ad Antigono, a Lisimaco, ai Seleucidi che la tennero fino alla fine del sec. III.

Nel 290 la città venne rifondata da Seleuco Nicatore, con una colonia di Macedoni che la trasformò in uno dei nuclei ellenistici dell’Asia Minore occidentale. Secondo Stefano di Bisanzio, egli chiamò questa città “thuateira“, dal greco “θυγατήρ, θυγατέρα” (thugatēr, thugatera), che significa “figlia”, anche se è probabile che si tratti di un nome più antico, un nome lidio. Qui si veneravano Esculapio, Bacco, Artemide e soprattutto Apollo in onore del quale venivano celebrati dei giochi.

Nel 218 a. C. Tiatira è annessa al regno di Pergamo e nel 190 a.C. quando Antioco III il Grande, nella sua lotta contro Roma, la occupa. La battaglia tra lui e Lucio Cornelio Scipione Asiatico fu combattuta a Magnesia, circa 65 km a sud di Tiatira, che fortunatamente ne uscì indenne.

Periodo romano
Come abbiamo visto nel precedente articolo dedicato a Pergamo, esso venne lasciato in eredità a Roma che, nel 133 venne a costituire la Provincia romana d’Asia.

Busto realizzato in epoca augustea che, secondo la tradizione, ritrarrebbe Silla.

Si racconta che al termine della prima guerra mitridatica, qui si accampò Flavio Fimbria, il quale raggiunto ed assediato da Lucio Cornelio Silla, persa la stima e l’obbedienza da parte dei suoi soldati, ottenne da Silla l’autorizzazione a lasciare liberamente il suo accampamento, esonerato da ogni forma di comando. Recatosi a Pergamo, colto da una profonda disperazione, preferì darsi la morte nel tempio di Esculapio. Secondo invece Plutarco, Fimbria si diede la morte all’interno del suo campo.

Tiatira prospera vita durante i primi tre secoli dell’impero, come provano la sua monetazione, i titoli di μητρόπολις (“metropoli”), di λαμπροτάτη (“brillante”), di μεγιστη (“massimo”) che le iscrizioni le attribuiscono. La coniazione monetaria di Tiatira comincia con Eumene II di Pergamo, è ripresa poi con Claudio e arriva sino a Gallieno e a Salonina.

A Tiatira i vari mestieri artigiani erano organizzati in corporazioni, una delle più importanti era quella dei tintori, che conoscevano il segreto di tingere la porpora con la radice di robbia (invece di tingerla con i crostacei, come si faceva in altri centri produttori di porpora del mondo antico). In seguito, questo colorante venne chiamato “rosso Turchia“.

Le associazioni corporative gestivano una propria vita interna con divinità patronali, feste del gruppo, riunioni e banchetti comuni. In un contesto culturale di società sacrale tutto ciò assumeva un carattere spiccatamente religioso, necessario per capire le allusioni contenute nel testo dell’Apocalisse che vedremo più avanti.

Tiatira subì danni nel grave terremoto per il quale Tiberio invocò gli aiuti del Senato (Suet., Tib., 8), fu visitata da Adriano e da Caracalla che la fece capoluogo di un conventus iuridicus (suddivisione amministrativa di alcune province con funzioni di distretto giudiziario), distaccandola da quello di Pergamo al quale aveva sino allora appartenuto.

Ebbe a soffrire da irruzioni di Goti e più tardi di Arabi e forse anche dal passaggio dell’esercito crociato di Federico Barbarossa.

LA BATTAGLIA DI TIATIRA

Nel 366 il luogo della battaglia di Tiatira, in cui le truppe di Valente sconfissero Gomoario, il generale dell’usurpatore Procopio. Vale la pena soffermarsi su questo importante episodio storico.

Moneta recante il profilo di Procopio; l’usurpatore è raffigurato con la barba, come il cugino e imperatore Giuliano.

Procopio era nato e cresciuto in Cilicia, di nobili origini, ed occupava una posizione vantaggiosa fin dalla giovinezza, essendo un lontano parente (probabilmente un cugino da parte della madre) di Flavio Claudio Giuliano, che poi sarebbe diventato imperatore.

In seguito all’uccisione di Giuliano nel corso della ritirata dell’esercito romano dal territorio persiano e all’elevazione a imperatore di Gioviano, si diffuse la voce che Giuliano aveva disposto, sul punto di spirare, che il suo successore fosse Procopio; egli, informato della diceria e temendo che a causa di essa avrebbe potuto essere sospettato da Gioviano di voler aspirare alla porpora e conseguentemente condannato a morte, decise di ritirarsi a vita privata, dove trovò un rifugio sicuro nella dimora di un amico fidato nel distretto di Calcedonia.

Siliqua di Gioviano (363 circa) che celebra il suo quinto anno di regno come buon presagio. Gioviano, però, regnò solamente otto mesi.

Nel corso della sua permanenza a Calcedonia e delle sue sporadiche visite a Costantinopoli, apprese dai resoconti di chi stava fuggendo dalla Capitale dell’impopolarità del nuovo imperatore d’Oriente, Valente, accusato dai fuggitivi di essersi impadronito di beni che appartenevano legittimamente ad altre persone. Procopio cominciò a considerare la possibilità di approfittare del malcontento per usurpare la porpora, ritenendo che, promettendo un governo più equo di quello impopolare di Valente, avrebbe ottenuto ampi consensi.

Un solidus coniato da Valente intorno al 376. Sul rovescio, i due imperatori (Valente e Valentiniano) tengono insieme il globo crucifero, simbolo del potere.

Approfittando del fatto che l’imperatore Valente si fosse allontanato da Costantinopoli, Procopio decise di agire: era intenzionato a ottenere il supporto delle legioni Divitenses e Tungricani, di stanza alle Terme di Anastasia, nella Capitale d’Oriente. Recatosi lì, ricevette assicurazioni dai suoi emissari che, in un’assemblea tenutasi la notte precedente, tutti i soldati avevano dichiarato la loro adesione all’usurpazione; dopo aver ricevuto una garanzia di sicurezza, fu accolto dai soldati con tutti gli onori, anche se si trovò di fatto trattenuto quasi come ostaggio, e fu da essi innalzato al trono e proclamato imperatore.

L’usurpatore ricevette il sostegno di molti cortigiani e di molti veterani dell’esercito, mentre altre personalità fuggirono segretamente dalla capitale, e si diressero a tutta velocità in direzione dell’accampamento dell’imperatore Valente. L’Imperatore legittimo ordinò a due legioni, gli Ioviani e i Vittoriani, di avanzare in avanguardia per devastare l’accampamento nemico che però passarono dalla parte di Procopio il quale, dopo aver preso possesso della Bitinia, inviò un potente esercito per assediare Cizico, in quanto strategicamente importante; il possesso di questa città, dotata di mura molto resistenti e rinomata per i molti monumenti antichi, permetteva, infatti, il controllo dell’Ellesponto. Successivamente alla presa di Cizico,

Mappa con la localizzazione di Cizico.

Procopio ordinò che la casa del generale Arbizione, piena di arredi di innumerevole valore, fosse ripulita; l’usurpatore provava rancore nei confronti di Arbizione in quanto quest’ultimo aveva rifiutato in più occasioni di fargli visita, con il pretesto della vecchiaia e della malattia.

L’errore di inimicarsi Arbizione risultò così fatale a Procopio: infatti il vecchio generale era molto stimato da gran parte dei soldati al servizio dell’usurpatore, per cui, quando passò dalla parte di Valente, riuscì a spingere molti dei soldati di Procopio a defezionare in favore dell’imperatore legittimo.

L’esercito di Valente, condotto da Arbizione, passò per Sardi, e si scontrò, probabilmente agli inizi di aprile 366, con l’armata di Procopio nei pressi di Tiatira. L’esercito di Procopio era condotto dal magister equitum Gomoario e dall’altro generale Ormisda. Arbizione riuscì però facilmente a persuadere Gomoario, di cui era amico, a defezionare in favore di Valente con tutte le sue truppe. a causa del tradimento di parte dell’esercito di Procopio, la Battaglia di Tiatira si rivelò un successo per le truppe di Arbizione.

Quando ebbe luogo questo avvenimento inaspettato, Procopio, abbandonando ogni speranza di salvezza, smontò da cavallo e cercò un nascondiglio ai piedi delle colline, seguito da Florenzio e dal tribuno Barcalba. Nel corso della notte, Procopio, trovando impossibile fuggire, e rimasto senza risorse, fu all’improvviso catturato e legato dai suoi compagni e nel corso del mattino successivo (27 maggio) condotto all’Imperatore; fu immediatamente giustiziato. all’età di quarant’anni e dieci mesi.

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

Non è noto quando e da chi il cristianesimo sia stato introdotto per la prima volta a Tiatira. Non si ha notizia che Paolo o altri evangelisti siano mai stati nella città. Ciò che sappiamo è che una quarantina d’anni dopo a Tiatira c’era una congregazione cristiana abbastanza forte.

L’unica diretta testimonianza neotestamentaria sulla presenza cristiana a Tiatira è data dalla lettera dell’Apocalisse alla Chiesa locale nell’ultima decade del I secolo d.C. “All’angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Gezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli. Io le ho dato tempo per ravvedersi, ma essa non si vuol ravvedere dalla sua dissolutezza. Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si ravvedranno dalle opere che ha loro insegnato.
Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere. A voi di Tiatira, invece, che non seguite questa dottrina, che non avete conosciuto le profondità di satana — come le chiamano — non imporrò altri pesi; ma quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno. Al vincitore che persevera fino alla fine nelle mie opere, darò autorità sopra le nazioni; le pascolerà con bastone di ferro e le frantumerà come vasi di terracotta, con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese
” (Ap 2,18-29).

Gezabele. Dipinto di 
Byam Shaw.

Cosa significa questa lettera? La comunità cristiana di Tiatira, la quarta delle sette che ricevettero un messaggio ciascuna, fu lodata per l’amore, la fede e la perseveranza che aveva mostrato. Anche il suo ministero era approvato; le sue “opere ultime [erano] più numerose di quelle precedenti”. Ma pur avendo queste lodevoli qualità, nella congregazione si era sviluppata e perdurava una condizione deplorevole: una parte della comunità, chiaramente una minoranza, stava seguendo l’insegnamento e l’esempio di una profetessa, chiamata simbolicamente Gezabèle (v. 20). Si tratta senza dubbio di una donna, che occupava regolarmente questa posizione nella Chiesa, ma che era stata irretita dai Nicolaiti e ora propagandava la loro dottrina. Il caso era particolarmente grave a Tiatira, sia a causa della posizione di prestigio della donna, sia perché facilmente l’illuminismo lassista da essa patrocinato consisteva nella tolleranza delle dubbie pratiche pagane, religiose e morali, proprie delle espressioni di vita sociale connesse con le associazioni corporative delle varie industrie cittadine sotto la cui disciplina vivevano ancora molti cristiani. Questa “donna” probabilmente venne chiamata Gezabèle perché la sua cattiva condotta era simile a quella della moglie di Acab, e per il suo ostinato rifiuto di pentirsi.

LIDIA DI TIATIRA

Icona russa raffigurante Santa Lidia. patrona dei tintori.

Ad una “dissoluta” Gezabèle si contrappone la figura di Lidia, una donna citata negli Atti degli Apostoli. Originaria di Tiatira e abitante a Filippi, viene convertita al cristianesimo da san Paolo; è venerata come santa e la sua memoria si festeggia il 20 maggio o il 3 agosto. Essa viene descritta da san Luca come una figura esemplare di donna cristiana. Lidia, come narra il libro, vive a Filippi, prima città europea raggiunta da san Paolo, dove commercia stoffe pregiate. Lidia, quindi, è stata la prima persona ad essere battezzata in Europa.

Può darsi che fosse una rappresentante d’oltremare dei fabbricanti di Tiatira, una commerciante piuttosto abbiente, proprietaria di una casa abbastanza spaziosa da ospitare Paolo e i suoi compagni di viaggio durante la loro permanenza a Filippi quasi costringendoli. Per Luca, Lidia è una donna che si caratterizza per le sue fondamentali virtù: fede e ospitalità.

LE TESTIMONIANZE ARCHEOLOGICHE

Akhisar (Tiatira), le rovine del portico restaurate.

Akhisar è una tranquilla cittadina agricola occupa oggi il luogo dell’antica Tiatira. Di questa città romana non resta quasi nulla. Le rovine che potrebbero richiamare il suo glorioso passato sono evidentemente ancora nel sottosuolo. Il nome turco Akhisar – “castello bianco” (da Ak = bianco, Hisar = castello) – è dovuto alle rovine di un castello medievale nei pressi della città moderna.

Un’altra immagine del portico illuminato.

Tra il 1968 e il 1971, vennero effettuati degli scavi nel centro della città, nel sito ora chiamato Tepe Mezarlığı (“Cimitero della collina” in turco). Lì venne trovato un portico datato dal I al IV secolo, così come un edificio che era probabilmente una basilica civile del IV o V secolo.

La grande moschea fu costruita sulle fondamenta di un edificio che era stato un tempio greco convertito in chiesa cristiana e poi in moschea nel XV secolo dagli Ottomani.

L’altare di Tiatira
Un’iscrizione rinvenuta a Tiatira in Lidia ricorda un “archiatra di tutto quanto lo xystos” (xystos, termine architettonico greco antico per indicare il portico coperto della palestra , in cui si svolgevano gli esercizi durante l’inverno o quando pioveva), carica altrove non attestata epigraficamente e di eccezionale interesse, data la peculiare connotazione del medico in questione.

Il cosiddetto “Altare di Tiatira”.

L’epitaffio si trova inciso nel registro inferiore di un altare in marmo bianco, recante al centro una figura maschile seduta – probabilmente quella del defunto, quasi interamente coperta da un lungo mantello e con la testa gravemente danneggiata – e in alto, sulla cornice, il nome Ηλεις (Heleis). Il testo è un unicum nella documentazione epigrafica, anche in rapporto all’altra figura, quella rappresentata dallo ξυστάρχης (Xystarches), carica istituzionale che, in ogni caso, non aveva un legame diretto con l’esercizio della medicina.

L’iscrizione dell’Altare di Tiatira.

Heleis, dunque, non fu un medico di corte né un protomedico municipale e nemmeno fu a capo di un’associazione medica, bensì rappresentò una sorta di “direttore sanitario” di una “gilda” sportiva o, meglio, uno specialista responsabile di un’associazione di atleti. D’altra parte, non sorprende che un club sportivo avesse a disposizione un medico incaricato di seguire la dieta dei ginnasti, controllarne lo stato di salute, somministrare loro farmaci, prescrivere trattamenti fisioterapeutici e curare patologie quali contusioni o stiramenti.

SARDI

All’angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.
Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te.

San Giovanni, Apocalisse 3,1-6

E siamo alla quinta delle Città dell’Apocalisse: Sardi, un microcosmo dell’Europa antica e del Medio Oriente. Famosa per la sua cultura e le sue innovazioni economiche, tra cui la probabile origine della moneta coniata sotto il noto sovrano Creso. Devastata nel 17 d.C. da un forte terremoto, non si riprese più completamente eppure, in forza della sua collocazione geografica, rimase un nodo commerciale di grande importanza. Questo fatto si rispecchia nella presenza in Sardi di diversi templi (Artemide, Cibele, Giove Lidio, Tiberio…). L’importanza economica di Sardi, in quanto emporio e luogo di transito del commercio tra oriente e occidente, rende anche ragione del perché in essa trovò posto una fiorente comunità giudaica talvolta malvista dall’amministrazione cittadina, eppure, garantita nei suoi diritti e nelle sue autonomie dal governo romano.

LA LOCALIZZAZIONE

Situata nell’Anatolia occidentale, presso la confluenza del Pattolo e dell’Ermo ai margini della fertile pianura dell’Ermo e ai piedi dei monti Tmolo, su una via principale che collega l’Egeo con la Turchia interna, attorno a una cittadella naturalmente difendibile dalle rive di un fiume con sabbie dorate, Sardi era benedetta da molti vantaggi naturali. La posizione geografica privilegiata della città, all’incrocio delle principali rotte commerciali che collegavano il Mediterraneo alle regioni interne dell’Asia Minore, la rese un epicentro del commercio. Collocata lungo la via regia, che congiungeva Efeso con Susa, nel periodo greco, Sardi appartenne alle città più distinte dell’Asia Minore e fu sede di un conventus iuridicus (sede di giudizio). Oggi, Sardi si trova vicino all’attuale villaggio di Sart nella provincia di Salihli, in Manisa, Turchia, a circa 4 chilometri (2,5 miglia) a sud del fiume Ermo.

LA STORIA

Segni di attività umane risalenti al neolitico sono stati ritrovati alla confluenza dei fiumi Ermo e Pattolo. Verso la fine del II millennio a.C. una piccola comunità si stabilì ai piedi dell’acropoli.

Gige in un ritratto del Promptuarii Iconum Insigniorum.

Una possibile citazione di Sardi appare già nell’Iliade di Omero con il nome di Hyde. Viene citata esplicitamente per la prima volta nella tragedia di Eschilo intitolata i “I Persiani” (472 a.C.). Erodoto riferisce che “in Lidia regnavano gli Eraclidi … discendenti di Eracle e di una schiava di Iardano … che esercitarono il potere per ventidue generazioni, cioè 505 anni, passandoselo di padre in figlio fino al tempo di Candaule“. Costui fu ucciso da Gige, sua guardia del corpo, che “ottenne il regno e vide confermato il suo potere dall’oracolo di Delfi, perché quando già i Lidi, considerando la gravità dell’assassinio di Candaule, presero le armi, i sostenitori di Gige e gli altri Lidi vennero a un accordo: se l’oracolo lo avesse confermato re dei Lidi, allora Gige avrebbe regnato, altrimenti avrebbe restituito il regno agli Eraclidi. L’oracolo gli fu favorevole e così Gige fu re“.

In epoca ittita la città si chiamava probabilmente Uda. Dal VII secolo a.C. Gige e i suoi discendenti, i Mermnadi (tra cui il famosissimo Creso), regnarono su Sardi, che divenne la capitale di un regno in espansione che andava dal Mar Egeo all’Anatolia centrale.

Creso, particolare di un quadro di Claude Vignon.

Creso L’apice della prominenza storica di Sardi è spesso associato al dominio del re Creso.
Conosciuto come il più ricco re dei Lidi, Creso regnò dal 560 al 546 a.C. La sua leggendaria ricchezza era così vasta da far nascere l’espressione “ricco come Creso”, usata ancora oggi per indicare una grande ricchezza.

L’origine di questa ricchezza può essere fatta risalire alle risorse naturali presenti nei dintorni di Sardi, in particolare al fiume Pactolus (Pattolo), carico d’oro, che attraversava la città. Secondo la leggenda, l’oro del fiume proveniva dal re Mida che aveva lavato via il suo tocco d’oro maledetto.

Creso e l’invenzione della moneta

Creseide, 8,06 g, zecca di Sardi.

Questa abbondanza d’oro permise a Creso di coniare le prime vere monete d’oro del mondo, rivoluzionando il commercio e gli scambi. L’introduzione della moneta d’oro da parte di Creso facilitò notevolmente il commercio. Queste monete, note come Creseidi, recavano impressi un leone e un toro, simbolo del potere e della ricchezza della Lidia. Le monete d’oro fornivano una moneta stabile e riconoscibile, ampiamente accettata, che favoriva il commercio locale e internazionale. Il concetto di moneta standardizzata si diffuse in tutto il mondo antico, gettando le basi per i sistemi economici moderni.

Creso e il commercio
La ricchezza di Sardi sotto il dominio di Creso non si limitava all’oro. La città era anche un centro di produzione tessile, in particolare della famosa tintura di porpora lidio, molto apprezzata in tutto il mondo antico. La combinazione di oro e tessuti rese Sardi una delle città più prospere del suo tempo divenendo un centro di commercio che attirava mercanti da tutto il mondo antico.

Creso e la cultura

Vista generale del tempio di Apollo a Delfi.

La prosperità economica portata dall’oro permise a Creso di investire in progetti culturali e religiosi. È famoso per le generose donazioni all’Oracolo di Delfi, che consolidarono la sua reputazione e la sua influenza. La ricchezza di Sardi finanziò anche la costruzione di magnifici edifici e templi, contribuendo al patrimonio culturale e architettonico della città, che ospitava un’imponente acropoli e altre grandiose strutture architettoniche, a testimonianza delle avanzate capacità ingegneristiche dei Lidi.

Vista della fortificazione lidia di Sardi (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College)

La cittadella di Sardi era famosa nel corso della storia come “il posto più forte del mondo”, e la città bassa era difesa da una possente fortificazione spessa 20 metri. I tumuli della necropoli reale di Sardi a Bin Tepe – che vedremo più avanti – sono tra i più grandi del mondo.

Creso e Solone

Creso riceve Solone in un quadro di Gerard van Honthorst del 1624 (Solon en Croesus).

Il regno di Creso simboleggia lo zenit del potere lidio e l’età dell’oro di Sardi. La sua grandiosità durante la dominazione del leggendario re è stata ben colta da Erodoto, che ha narrato la storia di Solone, lo statista ateniese che visitò Sardi. Fu colpito dalla sua ricchezza e dalla magnificenza della corte di Creso. Tuttavia, Solone avvertì Creso che la ricchezza da sola non poteva garantire la felicità, prefigurando la drammatica caduta del Regno di Lidia sotto la conquista persiana.

La conquista persiana

Il percorso della Via Regia descritto nelle Storie di Erodoto.

Anche se il dominio di Creso terminò con l’invasione persiana, la leggenda della sua ricchezza e della prosperità di Sardi continuò a vivere. Conquistata dai Cimmeri e poi da Ciro il Grande nel 546 a.C. Sardi divenne poi la capitale della satrapia persiana della Lidia con il nome di Sparda, riuscendo a mantenere la sua importanza economica ed integrandosi perfettamente nell’impero persiano. La città fu anche il punto di partenza della Strada Reale Persiana, lunga 2.500 km e diretta a Persepoli nonché il punto di raccolta per le invasioni della Grecia sotto i grandi re Dario e Serse. Molte delle tombe note risalgono a questo periodo, e gli scavi dei cimiteri di Sardi dal 1910 al 1914 hanno prodotto splendidi esempi di gioielli di questo periodo, ora nel Museo archeologico di Istanbul.

Nel 499 a.C., Sardi e i suoi templi furono distrutti dai Greci durante la Rivolta Ionica, vendicata da questi ultimi nelle successive Guerre Persiane.
Sardi anche fu il punto di partenza della marcia dei Diecimila descritta da Senofonte nell’Anabasi.

Tissaferne, satrapo a Sardi dal 413 a.C. circa, sostenne gli Spartani nella Guerra del Peloponneso con la mediazione di Alcibiade. Nel 401 a.C., il potente satrapo di Sardi combatté contro il principe ribelle Ciro, che fu ucciso.

La fase ellenistica

L’esercito macedone guada il fiume Granico
(August Petryl, 1909).

Con la vittoria di Alessandro Magno nella battaglia del Granico del 334 a.C., Sardi entrò nella sfera di potere ellenistica. e costituì la capitale occidentale dell’impero seleucide. Fu probabilmente sotto il patrocinio della dinastia che il grande Tempio di Artemide fu iniziato sul sito di un precedente santuario.

L’integrazione di Sardi nel mondo ellenistico portò a profondi cambiamenti nel suo paesaggio culturale e architettonico. È in questo periodo che la città, pur conservando elementi del suo passato lidio, inizia a mostrare caratteristiche greche distinte. Il Teatro di Sardi, ora tristemente in rovina, fu costruito per la prima volta in questo periodo come parte della conversione di questa capitale anatolica in una polis ellenistica.

Le testimonianze archeologiche mostrano un’impennata nella costruzione di edifici in stile greco, tra cui un grande ginnasio e una nuova agorà, la piazza pubblica e centro della vita cittadina. La Sardi ellenistica era una città di splendore artistico e architettonico, con le sue strutture ornate da intagli e sculture che riflettevano l’estetica greca. Inoltre, fu testimone dell’attuazione della pianificazione urbanistica ippodamica (da Ippodamo di Mileto 498– 408 a.C. architetto e urbanista greco), caratterizzata da un sistema di griglie ortogonali.

Volo attraverso Sardi: il teatro, lo stadio e la terrazza lidia. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

Dal punto di vista culturale, Sardi adottò le tradizioni greche, la lingua e persino il pantheon greco, anche se il sincretismo era evidente nella fusione di pratiche religiose greche e lidiane. La popolazione della città partecipò alla vita politica in stile greco e Sardi divenne una polis, una città-stato autogovernata caratteristica del periodo ellenistico.

La fase romana

Sardi fu ancora conquistata da Antioco III il Grande alla fine del III secolo a.C. e nel 189 a.C. entrò a far parte del regno di Pergamo che, essendo poi stato ceduto in eredità a Roma, entrò a far parte dei possedimenti della Repubblica costituendo nel 133 a.C. la Provincia romana d’Asia in cui la città continuò a svolgere un ruolo importante.
Come città chiave della provincia d’Asia, rifletteva la grandezza architettonica e l’organizzazione sociale tipiche dell’Impero Romano. I Romani incorporarono Sardi nella loro estesa rete stradale, migliorando la sua connettività e consolidando la sua posizione di snodo commerciale vitale.

Sotto la dominazione romana, Sardi fu testimone di un’altra ondata di costruzioni che trasformarono ulteriormente il suo paesaggio urbano. Tra questi, un complesso romano di terme e palestre, un teatro e un nuovo viale pavimentato in marmo – un’aggiunta che avrebbe dato alla città un aspetto decisamente romano. L’architettura della città in questo periodo era monumentale, con grandiosi edifici pubblici e spazi costruiti con le caratteristiche tecniche dell’ingegneria romana.

Tempio del Culto Imperiale Romano (“Tempio di Wadi B”) (©Esplorazione Archeologica di Sardi/Presidente e Fellows dell’Harvard College).

Anche sotto i Romani Sardi ebbe una vivace vita sociale e culturale. La città ospitava vari festival e gare atletiche, simili a quelli di altre città romane, allineando ulteriormente la sua vita culturale al più ampio mondo romano. In ambito religioso, Sardi si distinse per la sua diversità, con templi dedicati a divinità romane, greche e orientali. È notevole che sia diventata anche un primo centro del cristianesimo, con una delle prime chiese cristiane costruite qui.

Distrutta nel 17 d.C. da un terremoto, fu ricostruita e rimase in età imperiale città di una certa importanza economica, grazie al tempio di Artemide, che fu sempre un centro bancario di prim’ordine.

Il declino
Come molte altre città antiche, Sardi cedette alle pressioni del tempo. Essa fiorì senza interruzione fino a Cosroe II, la cui incursione (circa 615 d. C.) pose fine alla vita di Sardi come città classica.

L’Acropoli di Sardi, che mostra le fortificazioni bizantine (“Torri volanti”) (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College)

Nel VI e VII secolo d.C., la città bassa era stata in gran parte abbandonata. Tuttavia, la formidabile acropoli, descritta dallo storico Polibio come “il luogo più forte del mondo”, rimase una roccaforte vitale per tutto il periodo bizantino fino al 1304.

Con i turchi Selgiuchidi iniziò la sua decadenza, che si concluse con la distruzione da parte di Tamerlano (a cui abbiamo dedicato un curioso articolo) nel 1402.

L’antico nome della città, Sfar- in lidio, Sparda in persiano e Σάρδεις o Σάρδις in greco, si riflette ancora nel nome moderno della città, Sart.

GLI SCAVI

Sardi. Scavi nel Tempio di Artemide. Foto del 1911.

Il nome di Sardi non si è mai perduto. Dopo Ciriaco di Ancona (1426), Tavernier (1670) propose per primo l’identificazione. Furono intrapresi scavi di spedizioni americane guidate da H. C. Butier, nel 1910-14, da T. L. Shear, nel 1922, e da G. M. A. Hanfmann, A. H. Detweiler, nel 1958.

La prima spedizione liberò il tempio di Artemide e aprì 1100 tombe sulla riva ovest del Pattòlo. La seconda concentrò gli sforzi sulla città e sulla cittadella, localizzando edifici lidi sul Pattòlo e l’area di un mercato lidio a sud della strada maestra di Salihli. Strati persiani ed ellenistici sono stati trovati nelle medesime aree. Nella sesta campagna di scavi sono state trovate iscrizioni databili fra 215 e 216 a. C. con una lettera di Antioco il Grande. Scavi di edifici romani e del primo periodo bizantino sono stati intrapresi in varie aree. Tutte e due le spedizioni americane hanno lavorato al cimitero reale di Bin Tepe, che si estende per circa 9 km da est a ovest e comprende 100 tumuli.

Un’altra foto degli scavi del Tempio di Artemide a Sardi nel 1911.

La scoperta più sorprendente è stata però la sinagoga ricavata da una sezione della basilica di epoca romana, dove sono state rinvenute iscrizioni in greco e in ebraico e numerosi mosaici. Si tratta della più grande sinagoga finora ritrovata nel mondo mediterraneo, e ha completamente cambiato l’opinione degli studiosi circa la situazione degli ebrei nel tardo Impero Romano, fornendo prove della vitalità delle comunità giudaiche dell’Asia Minore e della loro importanza in un’epoca in cui si pensava che il Cristianesimo le avesse praticamente cancellate.

I MONUMENTI

Di questa antica città restano alcune significative rovine, soprattutto dell’epoca ellenistico-romana. Gli scavi e i restauri fatti recentemente danno un senso di grandiosità ai reperti restaurati, inseriti in un paesaggio dolce e melanconico. Vediamoli nel dettaglio.

Il Tempio di Artemide

Vista del Tempio di Artemide. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

Questo tempio, uno dei più grandi al mondo, era originariamente dedicato ad Artemide. Era rivolto a ovest come altri templi anatolici di Artemide come quelli di Efeso e Magnesia. Le due colonne complete sono rimaste intatte fin dall’antichità e non sono mai state restaurate. Nella tarda antichità fu in parte convertita in una chiesa cristiana , ed è ancora visitata da tour di fedeli.

Il tempio fu iniziato durante l’era ellenistica, nel terzo secolo a.C. Solo l’edificio principale (cella) fu costruito durante questo periodo. Il suo tetto era sostenuto da due file di colonne interne. Le colonne attorno all’esterno dell’edificio devono essere state pianificate ma non furono iniziate.

Planimetria del Tempio di Artemide, di Fikret Yegül. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

In epoca romana (primo o secondo secolo d.C.) la cella fu divisa in due parti uguali costruendo un muro trasversale e una nuova porta fu tagliata attraverso il muro orientale per creare due camere schiena contro schiena. Ciò fu forse fatto per ospitare il culto della famiglia imperiale e quello di Artemide. Le colonne interne potrebbero essere state rimosse e statue alte 8,5 m degli imperatori romani e delle loro mogli furono collocate nella cella.

Graffiti cristiani sulla porta est del Tempio di Artemide. (Archivio Howard Crosby Butler, Dipartimento di Arte e Archeologia, Università di Princeton)

Il declino del culto di Artemide è poco compreso. Il riconoscimento ufficiale del cristianesimo nel IV secolo d.C. portò alla chiusura dei santuari pagani, ma l’edificio probabilmente rimase in uso. La piccola chiesa all’estremità orientale fu costruita nel V secolo d.C., e croci e slogan cristiani (“luce”; “vita”) furono incisi sulla porta orientale del tempio. Dal VII secolo in poi, l’edificio cadde in rovina e molte delle sue pietre furono riutilizzate o bruciate per ricavarne la calce.

Dopo scavi limitati nel 1750, 1882 e 1904, il tempio fu completamente portato alla luce tra il 1910 e il 1914 dalla spedizione di Howard Crosby Butler.

Sebbene sia stato utilizzato per oltre 800 anni, il tempio di Artemide non è mai stato completato e le parti incompiute dell’edificio danno un’impressione fuorviante. Ad esempio, le uniche colonne finite sono quelle su alti piedistalli all’estremità orientale. Le loro proporzioni snelle, la definizione nitida e le forme ritmiche mostrano come sarebbero apparse le altre colonne, rozzamente rifinite e non scanalate, se fossero state completate. Ma queste parti incompiute dell’edificio rivelano come i muratori hanno progettato il tempio, lavorato la pietra e sollevato i blocchi in posizione. Inoltre, diverse tecniche di costruzione aiutano a datare diverse parti del tempio al periodo ellenistico o romano. La perfezione del progetto e della costruzione del tempio di Artemide attesta l’elevato impegno professionale dei suoi antichi costruttori ed è fonte di ispirazione per tutti coloro che visitano il tempio oggi.

Come il Partenone di Atene e altri prestigiosi edifici greci, il Tempio di Artemide contiene lievi deviazioni dall’orizzontalità e dalla verticalità, che furono introdotte per ragioni estetiche.

Ricostruzione della fase romana completamente restaurata del Tempio di Artemide, vista da sud-est, di Fikret Yegül. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Le iscrizioni sul tempio offrono ulteriori dimensioni per comprendere questo edificio unico. Le pareti dei templi greci erano spesso utilizzate come “bacheche” per documenti pubblici. Nel IV-V secolo d.C., termini di significato cristiano, “luce” (ΦΩΣ) e “vita” (ΖΩΗ), erano incisi sullo stipite sud della porta. Come le croci incise su entrambi gli stipiti della porta e sul muro sud del portico, erano “senza dubbio intese a scacciare i demoni del paganesimo” (Buckler e Robinson).

Volo attraverso Sardi: panorama dall’alto del tempio di Artemide. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

L’Altare di Artemide L’Altare di Artemide (o “Altare Lidio”) è l’edificio più antico conservato nel santuario di Artemide, ed era il fulcro del suo rituale e cerimoniale. Ha due fasi costruttive principali, la prima delle quali è probabilmente più antica del tempio, la seconda contemporanea alla fase ellenistica del tempio di Artemide.

Ricostruzione dell’altare LA-2 (fase 4) (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Fase 1: questa è forse la struttura più antica del santuario, risalente al periodo in cui Sardi era governata dai Persiani achemenidi, forse 500-400 a.C. Non ci sono prove di un tempio in questo periodo.

Fase 2: in un periodo successivo, questo edificio fu in parte smantellato e alcuni dei suoi blocchi furono incorporati in una nuova struttura più grande che racchiudeva e seppelliva completamente le fondamenta precedenti. Questo nuovo edificio probabilmente costituiva un recinto o una piattaforma per un altare più piccolo, il cui pavimento era più alto del livello conservato oggi, su cui venivano fatti sacrifici di animali, libagioni e altre offerte. Una serie di scale di marmo attraverso la parte anteriore dell’edificio conduceva a questo livello più alto. Questi blocchi furono per lo più derubati nell’antichità, ma alcuni sopravvivono ai lati dell’edificio. Le pareti erano originariamente finemente intonacate; tracce di stucco sono conservate e alcune sono protette da malta moderna.

L’altare è stato restaurato nel 2010-2012, con il supporto del JM Kaplan Fund. I blocchi di travertino della scala sono sostituzioni moderne delle scale originali in marmo, per proteggere le antiche fondamenta. I muri sono stati ricostruiti nello stato in cui erano stati trovati nel 1910 e ricoperti di ardesia.

Chiesa M
Il piccolo edificio in mattoni e macerie situato vicino all’angolo sud-est del Tempio di Artemide è noto come Chiesa M. La struttura fu probabilmente costruita verso la fine del IV secolo e fu utilizzata dai residenti locali come luogo di culto cristiano fino all’inizio del VII secolo. La massiccia frana medievale che seppellì l’estremità orientale del Tempio è responsabile dell’eccezionale conservazione della Chiesa M, che fu scoperta da Butler nel 1911 e bonificata l’anno successivo.

Vista della chiesa M (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

La costruzione di una piccola chiesa o cappella all’interno del temenos di un tempio classico riflette i cambiamenti di vasta portata che hanno travolto il tardo Impero Romano durante il IV secolo. Il riconoscimento statale del cristianesimo da parte dell’imperatore Costantino fu presto seguito dalla fondazione di una nuova capitale orientale a Costantinopoli. Mentre il Tempio di Artemide probabilmente era caduto in disuso prima di questo periodo, le sue mura massicce e le sue imponenti colonne continuavano a dominare la zona. Piccole croci incise e graffiti religiosi ancora visibili vicino all’ingresso orientale del Tempio riflettono gli sforzi degli abitanti locali per sconsacrare l’edificio e neutralizzare qualsiasi potere spirituale persistente del culto classico. La chiusura dei templi romani sotto l’imperatore Teodosio negli anni ‘390 potrebbe aver incoraggiato alcuni residenti di Sardi a costruire case nella zona e a smantellare la struttura classica per la pietra. La chiesa M potrebbe essere stata pensata sia per uso devozionale da parte delle famiglie che vivevano nelle vicinanze sia per commemorare questo importante cambiamento nelle tradizioni religiose lidie.

Pianta della chiesa M (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

La posizione insolita e le piccole dimensioni della Chiesa M riflettono questi tempi di transizione. L’edificio si trova immediatamente fuori dal Tempio, di fronte al colonnato orientale con la sua porta principale incorniciata asimmetricamente dalle due colonne più a sud.

Gli scavi del 1912 hanno portato alla luce un tesoro di 25 monete di bronzo che erano state nascoste qui intorno al 400, quando l’edificio era chiaramente in funzione. Un blocco irregolare di pietra posto in cima a una breve colonna nell’abside occidentale potrebbe essere servito come altare improvvisato quando l’edificio fu abbandonato nel VII secolo o poco dopo.

Il complesso delle Terme-Palestra

Vista di Marble Court, 1973 (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Il bagno faceva parte di un’importante tradizione sociale romana, che si diffuse in tutto l’Impero Romano. Tale tradizione enfatizzava i benefici del tempo libero e combinava il piacere di fare il bagno in acqua tiepida, calda e fredda con la conversazione, l’esercizio fisico e le attività intellettuali. Gli edifici termali romani sono la manifestazione fisica di tale tradizione e i loro resti aiutano a chiarire la nostra comprensione di essa. Nel tradizionale bagno turco, o hamam, vediamo un’estensione distante ma diretta delle terme e del bagno romano.

Pianta del complesso Bath-Gymnasium e delle strutture adiacenti (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Questo complesso di Sardi è uno di almeno due monumentali edifici termali della città e copre 23.000 metri quadrati. Appartiene a un tipo abbastanza standardizzato di bagno “imperiale” noto in altre città dell’Asia Minore come Efeso e in tutto l’Impero Romano. In pianta, le stanze e le sale sono disposte simmetricamente, con piscine di acqua calda e fredda (calidarium e frigidarium) situate sull’asse centrale. La metà orientale del complesso era una corte aperta (palestra) che forniva spazio per esercizi e cerimonie. La metà occidentale era l’unità termale, composta da molte grandi sale coperte da volte.
Lo spazio colonnato a due piani noto come Corte di Marmo era originariamente separato dai bagni e veniva utilizzato per cerimonie speciali.

Iscrizione sulla corte di marmo, edicola 8 (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Un’iscrizione sul primo piano (con lettere dipinte di rosso) dedica questo spazio alla famiglia imperiale romana: gli imperatori Caracalla e Geta e la loro madre Giulia Domna; e registra che la sala fu dorata dalla città e da due dame di rango consolare; il sarcofago di una di queste dame, Claudia Antonina Sabina, fu trovato a Sardi e si trova nel Museo archeologico di Istanbul.

Il complesso fu probabilmente completato alla fine del II o all’inizio del III secolo d.C. Riparato e modificato nei secoli successivi, inclusa la conversione di una delle sue sale in una sinagoga, il bagno cadde in rovina nel VII secolo d.C.
La Corte di Marmo, la Sinagoga e altre parti delle Terme furono restaurate tra il 1964 e il 1973.

La Sinagoga

La sinagoga durante gli scavi.

La sinagoga monumentale era il centro della vita religiosa ebraica a Sardi durante il periodo tardo romano. Scoperto nel 1962, l’edificio e le sue decorazioni sono stati in parte restaurati.

Modello 3D della Sinagoga.

L’ingresso alla sinagoga avveniva da est in un cortile colonnato. Il cortile era coperto ai lati ma aperto al cielo al centro). Oltre si trova la sala principale dell’assemblea, lunga oltre 50 m e abbastanza grande da contenere quasi mille persone. Enormi pilastri in pietra sostenevano il tetto della sala principale a un’altezza di circa 14 m dal pavimento.

La sinagoga occupava l’angolo del bagno-palestra romano, convertendo parte di questo edificio pubblico in una casa di culto ebraica. I pavimenti a mosaico, gli arredi e le decorazioni murali in marmo furono installati in momenti diversi; la maggior parte di quelli rimasti risale al IV e V secolo. La sinagoga fu abbandonata dopo un terremoto insieme a gran parte del resto della città all’inizio del VII.

Fontana nel piazzale. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

Il grande cratere o urna al centro del piazzale, una replica dell’originale in marmo, era una fontana presso la quale i fedeli si lavavano le mani prima della preghiera. L’acqua era fornita da tubi di argilla sotto il pavimento. Un’ingegnosa valvola controllava il flusso dell’acqua.

Centinaia di pezzi di marmo tagliato, di vari colori, sono stati trovati durante gli scavi. Questi pezzi formavano pannelli di intarsio (skoutlosis) per la decorazione delle pareti. I motivi geometrici sono simili ai motivi dei mosaici pavimentali. Sono stati trovati anche pezzi per disegni floreali e rappresentazioni di un cammello, uccelli e pesci. Nuovi pezzi di intarsio sono stati utilizzati nel restauro.

La parete curva dell’abside era originariamente traforata da tre nicchie e due passaggi a volta. Le aperture furono poi bloccate e la parete fu quindi ricoperta da fasce di marmo bianco e colorato. In alto, l’abside era probabilmente sormontata da una mezza cupola. Tre ordini di panche ricoperte di marmo all’interno dell’abside forse servivano come sedili per gli anziani della sinagoga.

Vista della sala principale della sinagoga con l’abside restaurato. (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

I mosaici pavimentali costituiscono la parte più estesa della decorazione della Sinagoga e coprono un’area totale di circa 1400 mq. La loro disposizione riflette l’architettura della sala principale, con grandi pannelli rettangolari che occupano le sette campate strutturali e pannelli laterali posti tra pilastri adiacenti. Brevi iscrizioni che nominavano i singoli donatori erano originariamente al centro dei grandi pannelli.

Menorah della sinagoga, dedicata da Socrate. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

La Menorah o candelabro a più bracci era una parte importante dell’arredamento interno della sinagoga. Nella sala principale sono state trovate diverse immagini di menorah. La più grande è un pannello rettangolare in rilievo di una menorah con lulav e shofar laterali, che potrebbe essere appartenuto a una bassa barriera o schermo.

La sinagoga conteneva un numero notevole di blocchi, iscrizioni e sculture riutilizzati. Alcuni di questi sono stati riutilizzati semplicemente come materiale da costruzione; altri oggetti, tuttavia, sono stati deliberatamente esposti nell’edificio. Tra i materiali provenienti da spoliazioni ci sono un certo numero di sculture e blocchi che hanno origine nel santuario di Cibele, la dea indigena della Lidia. I più definitivi sono una serie di blocchi di marmo costruiti nei pilastri, che appartenevano alle ante di un tempio.

Vista aerea della sinagoga e del complesso termale-ginnasio mirabilmente restaurati. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Quando fu scavata negli anni ’60, la Sinagoga era una rovina, troppo fragile per sopravvivere all’esposizione alle intemperie o ai visitatori. Nel 1965, quindi, la Spedizione Sardis e il Ministero dell’Istruzione turco decisero di conservare e restaurare parzialmente la Sinagoga.
La squadra ha ricostruito le pareti e le colonne della Sinagoga e ha ricostruito la decorazione murale in marmo colorato utilizzando principalmente elementi moderni. Arredi come il cratere nel piazzale sono stati portati al Manisa Museum e sostituiti con calchi in cemento .

Vista dei santuari nella sala principale. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Completato nel 1973, il restauro offre ancora una buona impressione dell’aspetto originale di questo sontuoso edificio antico e lo rende uno dei pochi edifici al mondo in cui i visitatori possono stare in piedi in sicurezza su antichi mosaici.
Tuttavia, nel mezzo secolo trascorso dal restauro della Sinagoga, la pioggia e le intemperie hanno causato il deterioramento delle basi di cemento dei mosaici. Nonostante riparazioni come questa, eseguite dai restauratori Kent Severson e Jennifer Kim, l’esposizione continuata causerebbe danni irreparabili ai mosaici.

Piazzale della sinagoga con il nuovo tetto. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Dopo un ampio studio e una pianificazione, nel 2021 è stato costruito un rifugio protettivo leggero, con l’autorizzazione del Ministero della Cultura e del Turismo e della Commissione per la protezione dei beni culturali di Smirne.
Il tetto è appoggiato sui muri moderni costruiti negli anni ’60, non su resti antichi. La trave di cemento che sostiene il tetto è stata nascosta da un guscio di pietra e muratura in mattoni per assomigliare alla costruzione romana originale. Il tetto proteggerà i mosaici e impedirà ulteriori danni, e renderà inoltre lo spazio più confortevole per i visitatori e consentirà ulteriori pulizie e restauri in questo magnifico e sacro edificio antico.

Volo attraverso la sinagoga durante la costruzione di un tetto protettivo, 2021, e dopo la pulizia dei mosaici. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Le Botteghe bizantine

Vista dei negozi (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

Le strade della tarda Sardi romana erano fiancheggiate da edifici che servivano a vari scopi residenziali, commerciali e industriali. La fila di piccole stanze situate dietro il portico nord del viale romano faceva parte di un vivace quartiere commerciale nel V-VI secolo. La posizione prominente sul lato della strada e la costruzione coerente, quasi modulare lungo il lato sud del complesso delle Terme-Palestra suggeriscono che queste modeste strutture furono sviluppate dalle autorità municipali e affittate a singoli proprietari come un modo per sostenere l’economia locale nonché i costi della manutenzione civica. I singoli negozi erano facilmente suddivisi o uniti per soddisfare le mutevoli esigenze dei loro occupanti. La maggior parte degli spazi fu occupata fino alla fine del V secolo, ma fu abbandonata dopo che un incendio divampò nel quartiere all’inizio del VII secolo.

La ristrutturazione di questa parte della città nella tarda antichità includeva la costruzione di latrine pubbliche all’angolo sud-occidentale del complesso Terme-Palestra. Le due lunghe stanze rettangolari erano disposte in modo simile e potrebbero aver servito uomini e donne separatamente, e potrebbero aver ospitato fino a due dozzine di visitatori alla volta. Il pavimento in marmo della latrina più grande include un bordo rialzato con un canale incassato che trasportava un flusso continuo di acqua davanti alle panche.

Vista della latrina (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College)

Nella loro forma finale, le 34 stanze dei negozi bizantini sembrano aver costituito circa una dozzina di unità funzionali. La maggior parte di questi negozi era accessibile da più porte e aveva pavimenti in marmo o piastrelle. Scale o scale di legno davano accesso a un piano superiore, che forniva spazio di stoccaggio e alloggi che si affacciavano sul portico trafficato e sulla strada rumorosa. La disposizione e l’uso delle stanze cambiarono frequentemente nel corso dei 200 anni in cui furono occupate.

Piatto “Asia Minor Light-Colored Ware” dal ristorante E1 (per gentile concessione del Museo Vedat Nedim Tör, Istanbul).

Manufatti e arredi recuperati suggeriscono le diverse identità dei singoli negozi: alcuni erano taverne o ristoranti, alcuni potrebbero essere stati specializzati nella preparazione, nell’uso o nella vendita di tinture o vernici, altri erano coinvolti nella vendita o nel riciclaggio di vetreria o ferramenta in metallo. In alcuni casi la presenza di panche, sedili per latrine e bacini d’acqua sarebbe stata ugualmente appropriata per residenze non commerciali, forse per i proprietari locali. Nomi personali e simboli religiosi incisi su manufatti o pareti riflettono la diversità culturale dei residenti della zona.

Il Pattolo nord: Chiese, Villa romana, raffineria di oro e Altare di Cibele
Edifici e strati dell’epoca persiana achemenide, tra cui due edifici absidali, sono stati scavati sotto una stretta strada romana che attraversa il settore.

Mosaici della villa romana nel settore PN (Pattolo Nord) – (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Nella parte centrale del settore si trova parte di una villa romana, con pavimenti a mosaico nelle stanze più grandi e con un piccolo bagno privato. I pavimenti a mosaico, che mostrano animali, uccelli e creature acquatiche di vario genere, sono ora nel Museo di Manisa.

Dall’altra parte della stretta strada rispetto alla villa si trova una chiesa basilicale del IV secolo d.C., di cui è stata scavata solo una parte.

Coppelle per la separazione dell’argento, scavate nel settore PN (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College)

La “raffineria dell’oro” contiene installazioni per separare l’elettro, una lega (naturale o artificiale) di oro e argento, nei suoi elementi componenti. Fu utilizzata durante la prima metà del VI secolo a.C. nell’era del re lidio Creso, durante il periodo in cui vennero coniate le prime monete d’oro e d’argento del mondo.
Le tecniche principali erano la cementazione, la fusione e la coppellazione. La cementazione era usata per recuperare l’oro puro dall’elettro. Sottili fogli di elettro venivano posti in un vaso di ceramica, separati da una miscela di sale e polvere di mattoni. La miscela veniva cotta a basse temperature in forni finché non rimaneva solo oro puro. La fusione e la coppellazione erano tecniche per recuperare l’argento dalla polvere di mattoni, dal sale e dalla ceramica. I materiali ricchi di argento venivano fusi con piombo per produrre un amalgama argento-piombo; che poi veniva riscaldato in coppelle (“focolari a ciotola”) per isolare l’argento metallico. Centinaia di coppelle furono recuperate durante gli scavi.

Vista dell’altare di Cibele (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Nelle vicinanze si trova un altare di piccole pietre di scisto, costruito poco dopo gli impianti di raffinazione, probabilmente dedicato a Kuvava (Cibele) e forse creato come offerta di ringraziamento per il successo nei processi di raffinazione. Piccole statue di leoni in pietra calcarea erano poste sugli angoli di questo altare. Nel V secolo a.C. un nuovo altare costruito con pietre più grandi fu costruito sopra la struttura originale, coprendo i leoni lidi.

Bin Tepe: il Tumulo di Alyattes e Karniyarik Tepe

Vista di Bin Tepe da Karnıyarık Tepe, guardando verso Sardi e il Tmolo (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).


Le tombe a tumulo di Bin Tepe, il cimitero a nord di Sardi, sono i monumenti antichi più evidenti della Lidia, visibili da lontano e che caratterizzano la regione come un luogo di magia peculiare. Bin Tepe è il più grande cimitero a tumulo della Turchia, forse del mondo; molto più grande dell’altopiano di Giza in Egitto. Oggi a Bin Tepe sopravvivono circa 115 tumuli; negli anni ’40, ce n’erano almeno 149, ma molti sono stati distrutti dall’agricoltura.

Vista del tumulo di Aliatte (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

Il tumulo di Alyattes è tra i più grandi tumuli del mondo, con un diametro di circa 355 m e un’altezza di 63 m. È stato calcolato che contiene più di 785.000 mc di terra e pietra e che avrebbe potuto essere costruito in due anni e mezzo con una forza lavoro di circa 2.400 uomini e 600 animali da tiro. Il suo muro di crepis “di grandi pietre” non sopravvive più, ma come la maggior parte dei tumuli lidi, ha una camera costruita con blocchi squisitamente scolpiti, con travi del tetto in calcare massiccio che pesano più di 16 tonnellate. Di nuovo, come la maggior parte delle tombe lidie, la camera è situata ben lontana dal centro del tumulo, per renderne più difficile la scoperta da parte dei saccheggiatori. La camera fu scoperta, già saccheggiata nell’antichità, dal console prussiano del XIX secolo Ludwig Peter Spiegelthal. Il Tumulo di Alyattes è uno dei tre enormi tumuli che coronano la cresta di Bin Tepe, facendo impallidire tutti gli altri tumuli.

Vista di Karnıyarık Tepe (©Esplorazione archeologica di Sardis/Presidente e membri dell’Harvard College).

Il tumulo centrale di questi tre giganti è Karnıyarık Tepe. Con un diametro di 230 m e un’altezza di 53 m a sud, la sua impronta è grande quanto la Grande Piramide di Cheope a Giza. Poiché la tomba di Alyattes era già stata aperta nell’antichità, la spedizione Sardis nel 1962 scelse di esplorare Karnıyarık Tepe come parte della sua ricerca archeologica. Dopo la prospezione geofisica e il carotaggio nel 1962 e nel 1963, l’interno del tumulo è stato esplorato con tunnel nel 1964, 1965 e 1966. Ulteriori prospezioni geofisiche sono state effettuate nel 1992, seguite da un programma di carotaggio nel 1995. Un altro ciclo di prospezioni geofisiche è stato intrapreso nel 2011 e lo scavo di tunnel è stato ripreso nel 2012, in un progetto congiunto con il Manisa Museum.

Non sappiamo chi fu sepolto in questo tumulo. Le sue enormi dimensioni suggeriscono che appartenga a un membro della famiglia reale lidia. Gli archeologi un tempo credevano che appartenesse a Gige, il primo re della dinastia dei Mermnadi, basandosi in parte su un passaggio del poeta contemporaneo Ipponatte. Tuttavia, la ceramica del riempimento del tumulo suggerisce che il tumulo più grande non sia anteriore a circa il 600 a.C. Poiché Gige morì intorno al 644 a.C., non può essere la sua tomba.

UNA CURIOSITA’: I GUSCI D’UOVO DI SARDI

Gli abitanti di Sardi spesero decenni a ricostruire la città dopo un devastante terremoto nel 17 d.C. Per allontanare i demoni e i futuri disastri, alcuni abitanti potrebbero aver utilizzato dei gusci d’uovo sotto i loro nuovi pavimenti come rituali per allontanare forze maligne.

Depositi di gusci d’uova ed altri oggetti ritrovati sotto i pavimenti di un edificio civile di Sardi, in Turchia (Foto: Harvard University).

Nell’estate del 2013 gli archeologi stavano scavando un edificio di Sardi quando, sotto il pavimento, hanno trovato due particolari contenitori con dentro piccoli oggetti di bronzo, un guscio d’uovo e due monete, il tutto proprio sopra le rovine di una costruzione precedente distrutta dal terremoto. Uno dei gusci d’uovo è stato trovato sorprendentemente ancora intatto.

Lo storico romano Plinio scrisse di come le persone rompevano o bucavano i gusci d’uovo per allontanare i malefici. In Iraq e in Iran sono stati rinvenuti gusci all’interno di “trappole per demoni” per attirare e disarmare le forze malevoli. E a volte, delle uova intere venivano sepolte alla porta di qualcuno per lanciargli una maledizione.
Forse i gusci di Sardi sono serviti per proteggere gli abitanti di questo edificio dalle forze maligne, inclusi i futuri terremoti, e forse da maledizioni lanciate da qualcun altro.

LA CITTA’ DELL’APOCALISSE

Non sappiamo a quale preciso momento del periodo neotestamentario risalga la nascita della comunità cristiana di Sardi. Il fatto che di essa ne parli solo l’Apocalisse induce a pensare che i primi missionari qui giunti appartenessero alla cerchia delle cosiddette comunità giovannee.

La lettera inviata alla Chiesa da San Giovanni, pur nella sua brevità, rivela con sufficiente chiarezza la situazione verso la fine del I secolo d.C.: “All’angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.
Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te. Tuttavia, a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese
” (Ap 3,1-6).

Come si vede, all’inizio ci fu un’adesione entusiasta al Vangelo, ma in seguito, a eccezione di pochi fedelissimi, l’insieme dei battezzati ritornò alla vita pagana di prima, sì da far pensare che la comunità fosse ormai quasi morta. Vi è perciò nello scritto un energico richiamo alla vigilanza, a riprendere e portare a termine con costanza l’impegno assunto nel battesimo per essere preparati quando sopraggiungerà la difficoltà improvvisa e non trovarsi cancellati dal libro della vita.

La lettera prende forma, in parte, dalle memorie storiche di Sardi. Nessuna città dell’Asia Minore ebbe un passato più brillante. Ma essa capitolò, perché la fiducia nella propria forza — e nell’imprendibilità della sua rocca naturalmente protetta — le fece trascurare la vigilanza sul nemico. Così al tempo di Creso, così al tempo di Antioco il Grande. In tal modo la storia della comunità cristiana è una dolorosa replica della storia della città e rivela che il carattere dei suoi abitanti rimane immutato.

Mappa della diocesi civile di Asia (V secolo).

Sembra che la lettera avesse ottenuto l’esito desiderato, perché il cristianesimo sopravvisse e nei secoli successivi il vescovo di Sardi è metropolita della Lidia e sesto in ordine di precedenza fra tutti i vescovi soggetti al Patriarcato di Costantinopoli. Nel secondo secolo Sardi costituì uno dei centri della cosiddetta Cultura Asiatica, ovvero di una cultura cristiana aperta a influssi popolari di origine giudaica e a influssi colti di carattere filosofico (stoicismo) e caratterizzata da un marcato materialismo. I riflessi di questo materialismo teologico sono percepibili in una forte accentuazione della componente umana di Cristo, in un’antropologia che identifica l’uomo creato a immagine di Dio con l’uomo tratto dal fango, con il risultato che alcuni attribuivano a Dio delle fattezze umane (antropomorfismo).
Altri tratti di questa cultura asiatica, diffusa a Sardi e fortemente influenzata dal giudaismo colà residente, sono la credenza in un regno glorioso di Cristo, simile al regno messianico, della durata di mille anni e precedente al giudizio finale.

CONCLUSIONI

In ogni fase, Sardi ha assorbito e riflesso la rispettiva cultura dominante, conservando allo stesso tempo elementi del suo patrimonio lidio. Si tratta di un caso di studio esemplificativo per la comprensione di importanti società antiche, della loro evoluzione culturale e della loro influenza sull’Europa moderna. La storia di Sardi non è solo una storia di ricchezza e prosperità; è anche una storia di resilienza e adattamento.

Larry Majewski lavora alla reinstallazione dei pannelli del pavimento a mosaico nella sinagoga nel 1973. (©Archaeological Exploration of Sardis/President and Fellows of Harvard College).

Dopo la caduta di Creso e la successiva conquista persiana, Sardi riuscì a mantenere la sua importanza economica. La città si integrò perfettamente nell’impero persiano e in seguito prosperò incorporata negli imperi greco e romano, dimostrando una straordinaria capacità di adattarsi e prosperare in paesaggi politici mutevoli.
Sardi, in tutte le sue fasi storiche e dimensioni culturali, rappresenta un interessante caso di studio di sintesi culturale, resilienza e innovazione. Il suo viaggio da vibrante capitale lidia a polis greca e poi a metropoli romana sottolinea il profondo impatto delle interazioni interculturali. È un potente promemoria del nostro patrimonio comune e del potere duraturo dell’ingegno umano.

Con la sua ricca storia e i resti ben conservati, non sorprende che la Città Antica di Sardi sia stata inserita nella Lista Provvisoria dell’UNESCO nel 2013. Oggi, i resti dell’antica Sardi continuano ad affascinare storici, archeologi e visitatori. Sono la testimonianza silenziosa di un passato grandioso definito dal commercio, dall’innovazione culturale e dall’adattabilità di fronte ai cambiamenti. Gli echi della vivace storia di Sardi – la sua ascesa come centro commerciale, l’opulenza sotto il re Creso, le trasformazioni culturali durante il periodo ellenistico e romano – risuonano tra le rovine che punteggiano il paesaggio di Sart.

Volo attraverso Sardi: complesso termale-ginnasio, sinagoga e arco monumentale (©Esplorazione archeologica di Sardi/Presidente e membri dell’Harvard College).

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