Città e siti che non dovrebbero esistere, almeno per l’archeologia ortodossa, e che però esistono e impongono una riflessione sulle origini della civiltà umana. Si, perché secondo la letteratura scientifica convenzionale, la più antica civiltà del mondo è quella sumera. Antecedente ad essa, l’uomo era un cacciatore-raccoglitore che, proprio per la natura della sua attività, non aveva necessità di insediamenti stabili, i quali vennero realizzati solo dopo il passaggio all’agricoltura, e con essi la costituzione di una società organizzata a più livelli divenne il nuovo modus vivendi dell’essere umano. Tuttavia, alcune recenti scoperte archeologiche mettono in seria discussione la narrazione che abbiamo imparato sui banchi di scuola e allargano in modo esponenziale l’orizzonte della Storia. Sapere che alcune città sono più antiche delle piramidi egizie (e non di pochi anni, ma di migliaia di anni!) potrebbe essere sconvolgente perché le implicazioni di tali affermazioni rivoluzionerebbero le nostre conoscenze, obbligandoci a porci domande sulla vera storia dell’umanità. Riprendendo una consuetudine iniziata l’anno scorso (vedi “Una giornata con l’imperatore”), trascorreremo il periodo estivo con una serie monotematica, che si concluderà poco prima dell’equinozio d’autunno. Ogni puntata sarà dedicata ad un sito diverso che, per le sue caratteristiche, sfida ogni nostra conoscenza convenzionale, supera le barriere del tempo, piegandole fino a farlo diventare un sito inspiegabile, un sito, appunto, impossibile.
In questa nuova puntata delle “Città impossibili”, in esclusiva per IQ, visiteremo un importante centro abitato di epoca neolitica dell’Anatolia dalla singolare caratteristica urbanistica: non aveva strade ed era composta da case ammassate l’una sull’altra, a scopo difensivo, a cui si accedeva tramite scale a pioli poggiate sui tetti. Le case potevano essere a più piani, avevano poche stanze, presentavano un’intelaiatura in legno ed un rivestimento, che veniva annualmente intonacato, costituito da mattoni, fatti di fango e paglia essiccati. Le abitazioni recano i resti archeologici di rituali, comprese le sepolture intramurali, con alcuni scheletri con tracce di coloranti e pitture murali. Benvenuti a Çatal Hüyük, la più antica città del mondo ad oggi conosciuta.
TABELLA DEI CONTENUTI
UNA CITTA’ SENZA STRADE: LA VITA SUI TETTI
UNA COLLINA POCO PROMETTENTE
Il sito di Çatal Hüyük è legato al nome di James Mellaart (14 novembre 1925 – 29 luglio 2012). Nel 1951 Mellaart iniziò a dirigere gli scavi nei siti in Turchia con l’assistenza della moglie turca Arlette, che era segretaria del BIAA (British Institute of Archaeology di Ankara). Nel 1956 un insegnante locale del villaggio di Hadjilar gli parlò di una piccola collina che si trovava nelle vicinanze dove i contadini si imbattevano occasionalmente in vari reperti. La collina, alta venti metri e con un diametro di 130-140 metri, non sembrava molto promettente. Mellaart, che in seguito ammise di non contare affatto su alcunché di sensazionale volle comunque controllare cosa si nascondesse all’interno di quel modesto monticello.
Nel 1958 Mellaart e il suo team iniziarono a scavare il sito di Çatal Hüyük, trovando più di 150 stanze ed edifici, alcuni decorati con affreschi, rilievi in gesso e sculture: il giovane archeologo si era imbattuto nel primo insediamento organizzato mai concepito dalla razza umana!
CARATTERISTICHE DEL SITO
Il sito di Çatal Hüyük è considerato importante in quanto ha contribuito allo studio delle dinamiche sociali e culturali del Vicino Oriente ed è il più grande e sofisticato sito neolitico finora scoperto. Esso rappresenta un importante punto di svolta nello sviluppo della civiltà dalla vita nomade alle comunità permanenti che alla fine svilupparono l’agricoltura. Il sito si affaccia sulla pianura di Konya, sull’altopiano anatolico meridionale, incastrata perfettamente nella cosiddetta “Mezzaluna fertile”, nel mezzo di importanti risorse idriche, di fronte al Mediterraneo, a pochi passi dal fiume Eufrate, dalla Mesopotamia, dal Mar Rosso, dal Mar Caspio e dal Golfo Persico.
La parola çatal è turca e significa “forchetta”, mentre hüyük significa “tumulo”, quindi il nome significa approssimativamente “tumulo biforcuto”. Il sito, infatti, comprende due tell che si innalzano fino a 20 metri. Il tell è un tipo di sito archeologico, risultato dell’accumulo e della seguente erosione di materiali depositati dall’occupazione umana in lunghi periodi di tempo. Solitamente un tell è formato per la maggior parte di mattoni di fango o di altre strutture architettoniche contenenti una grande percentuale di pietre o limo. In archeologia la parola tell viene usata comunemente come un termine generico, specialmente nell’archeologia del Medio Oriente. L’equivalente turco della parola tell è, appunto, hüyük.
Gli scavi del tell orientale hanno rivelato 18 livelli di occupazione neolitica – di cui i primi dieci sono stati datati usando il metodo del carbonio 14 – risalenti al 7.400-6.200 a.C. che hanno fornito prove uniche dell’evoluzione dell’organizzazione sociale preistorica e delle pratiche culturali, facendo luce sul primo adattamento degli esseri umani alla vita sedentaria e all’agricoltura. Gli scavi del tell occidentale hanno rivelato principalmente livelli di occupazione calcolitica dal 6.200-5.200 a.C., che riflettono la continuazione delle pratiche culturali evidenti nel precedente tumulo orientale. Da segnalare anche la presenza di un insediamento bizantino a poche centinaia di metri a est. Gli insediamenti preistorici sui tumuli furono abbandonati prima dell’età del bronzo. Un canale del fiume Çarsamba un tempo scorreva tra i due tumuli e l’insediamento fu costruito su argilla alluvionale che potrebbe essere stata favorevole all’agricoltura primitiva.
Il sito è eccezionale per le sue dimensioni sostanziali e la grande longevità dell’insediamento. La storia di Çatal Hüyük è abbastanza nota a partire da circa il 6500 a.C., per cui vi sono circa duemila anni ancora da studiare e decifrare. Molti studiosi pensano che sarebbe logico modificare, entro certi limiti, l’attuale divisione della preistoria, in quanto quello che vale per l’Europa settentrionale non può essere valido per la Cina o per l’Asia Minore. A Çatal Hüyük, per esempio, nella così detta età della pietra, erano già in uso manufatti di rame, che altrove non sono presenti in quel periodo.
LA STORIA DA RISCRIVERE
La scienza è stata a lungo dominata dalla convinzione che la civiltà più antica fosse quella dei Sumeri e che la cultura agricola si diffuse dapprima nel Vicino Oriente e che solo successivamente si vide la comparsa di centri in Turchia e in Europa. Per quanto riguarda l’Anatolia, essa ha avuto da sempre la reputazione di “periferia barbarica”. Ma Çatal Hüyük, come anche Gobekli Tepe (a cui abbiamo già dedicato un articolo), ha rivoluzionato questa narrazione storica convenzionale. Quindi, anche i cacciatori-raccoglitori costruivano centri abitati. E questo insediamento non è solo antico: è l’insediamento organizzato più antico del mondo. Tanto per capirci: si parla di un tempo in cui l’essere umano non era in possesso neanche della ruota (che sarebbe stata inventata 2 o 3.000 anni dopo); si parla di una città che ha avuto 2.000 anni di storia e di persone che, appena uscite dall’Età della pietra, cominciarono ad organizzarsi in centri abitati, persone che hanno preceduto i Sumeri di 3.000 anni! Potremmo definire Çatal Hüyük come il primo esempio di urbanizzazione dopo l’ultima glaciazione, quando da altre parti la maggior parte delle tribù vivevano in piccoli villaggi.
Ma Çatal Hüyük è nota anche per altre caratteristiche che non esitiamo a definire “strane” e che andremo a vedere.
UNA CITTA’ SENZA STRADE: LA VITA SUI TETTI
Sembra strano, ma è proprio così. Gli edifici ritrovati, distribuiti intorno alle corti, formavano dei quartieri integrati nella proto-città. Essa era costruita secondo una logica completamente diversa da quella moderna: le case erano monocellulari e raggruppate in un labirinto a nido d’ape, addossate l’una all’altra; essendo poi di altezze diverse, ci si spostava passando da un tetto ad un altro e per molte case l’ingresso su quest’ultimo era l’unica apertura. La circolazione e gran parte delle attività domestiche avveniva dunque al livello delle terrazze. Con il bel tempo, molte attività quotidiane potrebbero anche aver avuto luogo sui tetti, che presumibilmente formavano una piazza all’aperto. In periodi successivi, sembra che su questi tetti siano stati costruiti grandi forni comuni. L’assenza di aperture verso l’esterno, nonché di porte a livello del terreno, difendeva la comunità dagli animali selvatici e da eventuali incursioni di popolazioni confinanti, anche se resta oscuro il livello di conflittualità tra le diverse comunità dell’epoca. Le sole vie d’accesso all’intero complesso erano scale che potevano facilmente essere ritirate in caso di pericolo. Tra una casa e l’altra c’erano dei cortili usati come stalle per capre e pecore.
L’accesso agli spazi interni avveniva, come già detto, attraverso i tetti, che erano fatti di legno e canne intonacate di fango. La maggior parte era accessibile tramite buchi nel soffitto, che erano raggiunti da scale interne ed esterne. Le aperture nel soffitto servivano anche come unica fonte di ventilazione, lasciando entrare aria fresca e consentendo al fumo dei focolari e dei forni aperti di fuoriuscire.
LE ABITAZIONI
Tutte le case trovate a Çatal Hüyük sono diverse per forma e dimensioni, ma la maggior parte segue una disposizione generale. Ogni abitazione era divisa in due stanze. Quella centrale, la più grande, aveva al centro un focolare rotondo ed intorno dei sedili, un forno sotto le scale dove le persone svolgevano lavori domestici come cucinare. Le piattaforme rialzate costruite lungo le pareti delle stanze principali erano utilizzate per sedersi, lavorare, dormire e altre attività domestiche. Queste piattaforme e tutte le pareti interne erano accuratamente intonacate fino a ottenere una finitura liscia sulla quale sono stati realizzati elaborati dipinti raffiguranti scene di caccia e motivi geometrici. Le stanze laterali erano accessibili dalla stanza centrale, fornendo aree di stoccaggio essenziali. Le pareti erano costruite con mattoni di fango. Le prove suggeriscono che la miscela di argilla bagnata veniva posta direttamente sulla parete tra assi di legno o costruita usando malta e mattoni essiccati al sole. Questa tradizione sembra essere portata avanti nel tempo fino ai giorni nostri, poiché vediamo metodi di costruzione simili utilizzati nella regione locale. Spessi pali di legno venivano eretti nella stanza centrale e potrebbero essere stati utilizzati per rafforzare la struttura, nonché per creare divisioni interne dello spazio.
Cura della pulizia
Sembra che tutte le stanze fossero tenute scrupolosamente pulite. Gli archeologi hanno identificato pochissima spazzatura o immondizia all’interno degli edifici, ma hanno scoperto che i cumuli di spazzatura all’esterno delle rovine contengono liquami e rifiuti alimentari, nonché notevoli quantità di cenere di legna.
LE DECORAZIONI
A differenza di Mohenjo-Daro dove – come abbiamo visto nel secondo episodio – non esistevano decorazioni, quasi ogni casa scavata a Çatal Hüyük è stata trovata con decorazioni sulle pareti e sulle piattaforme, più spesso nella stanza principale della casa. Inoltre, questo lavoro veniva costantemente rinnovato; l’intonaco della stanza principale di una casa sembra essere stato rifatto con una frequenza tale da essere ogni mese o stagione. Vedremo più avanti l’ipotesi che spiegherebbe questi rifacimenti.
L’arte è ovunque tra i resti della città: disegni geometrici e rappresentazioni di animali e persone. Ripetute losanghe e zigzag danzano su pareti di intonaco liscio, persone sono scolpite nell’argilla, coppie di leopardi sono formate in rilievo una di fronte all’altra ai lati delle stanze, gruppi di cacciatori sono dipinti mentre aizzavano un toro selvaggio. Il volume e la varietà dell’arte a Çatal Hüyük sono immensi e devono essere intesi come una parte vitale e funzionale della vita quotidiana dei suoi antichi abitanti.
I dipinti figurativi mostrano solo il mondo animale, come, ad esempio, due gru una di fronte all’altra in piedi dietro una volpe, o in interazione con le persone, come un avvoltoio che becca un cadavere umano senza testa o scene di caccia. I rilievi murali si trovano a Çatal Hüyük con una certa frequenza, il più delle volte raffiguranti animali, come coppie di animali una di fronte all’altra e creature simili a esseri umani. Questi ultimi rilievi, che si pensa rappresentino orsi, dee o normali esseri umani, sono sempre rappresentati distesi, con la testa, le mani e i piedi rimossi, presumibilmente al momento dell’abbandono della casa.
I bucrani
Il bucranio è per definizione il teschio di bue usato spesso come elemento decorativo. L’arte più notevole trovata a Çatal Hüyük, tuttavia, sono le installazioni di resti animali e tra queste le più sorprendenti sono i bucrani di toro. In molte case la stanza principale era decorata con diversi teschi di tori intonacati incastonati nelle pareti (più comuni sulle pareti est o ovest) o su piattaforme, in cui le corna appuntite sporgevano nello spazio comune. Spesso i bucrani erano dipinti di rosso ocra. Oltre a questi, i resti di teschi, denti, becchi, zanne o corna di altri animali erano incastonati nelle pareti e sulle piattaforme, intonacati e dipinti.
Come possiamo comprendere questa pratica di decorazione d’interni con resti di animali? Un indizio potrebbe essere nei tipi di creature trovate e rappresentate. La maggior parte degli animali rappresentati nell’arte di Çatal Hüyük non erano addomesticati; gli animali selvatici dominano l’arte del sito. È interessante notare che l’esame dei rifiuti ossei mostra che la maggior parte della carne consumata era di animali selvatici, in particolare tori. I ricercatori ritengono che questa selezione nell’arte e nella cucina abbia a che fare con l’età di maggiore addomesticamento degli animali e ciò che viene celebrato sono gli animali che facevano parte della memoria del recente passato culturale, quando la caccia era molto più importante per la sopravvivenza.
Le statuette
Una caratteristica sorprendente di Çatal Hüyük sono le sue statuette femminili. Mellaart sosteneva che queste statuette ben formate e realizzate con cura, scolpite e modellate in marmo, calcare blu e marrone, scisto, calcite, basalto, alabastro e argilla, rappresentavano una divinità femminile. Queste statuette realizzate con cura sono state trovate principalmente in aree che Mellaart riteneva fossero santuari. Tuttavia, si sa che il culto era ancora domestico: una, maestosa dea seduta affiancata da due leoni, è stata trovata in un silos per il grano, che Mellaart suggerisce potrebbe essere stato un mezzo per garantire il raccolto o proteggere la scorta di cibo. Altre statuette sono state trovate più frequentemente nelle fosse della spazzatura, ma anche nelle pareti dei forni, nei muri delle case, nei pavimenti e lasciate in strutture abbandonate. Le statuette spesso mostrano dei segni, come se fossero state punzecchiate, graffiate o rotte, e si ritiene generalmente che funzionassero come gettoni dei desideri o per allontanare gli spiriti maligni.
LA MAPPA PIU’ANTICA DEL MONDO
Una mappa murale di Çatal Hüyük è attualmente riconosciuta come la mappa più antica del mondo. La mappa fu trovata nel 1963 e descrive la pianta di quella antica città; essa fu disegnata sulle pareti settentrionali ed orientali di un edificio che si ritiene possa essere stato un tempio sacro. La maggior parte della mappa (circa due terzi) fu disegnata sulla parete settentrionale, che formava il lato lungo del luogo “santo”, e l’altra parte sulla parete orientale più corta. La mappa fu disegnata su un intonaco murale brunito di uno spessore di 1-1,5 cm cosa che fa pensare che fu appositamente preparato un substrato per il suo disegno.
Nella vista frontale, sono visibili delle case rettangolari, di diverse dimensioni, con terrazze inclinate. Sul retro appare un vulcano in eruzione che mostra due aperture, con punti che rappresentano le rocce lanciate dal vulcano in eruzione e la lava che scorre a valle: una testimonianza curiosa in quanto i vulcani locali si estinsero alcuni secoli dopo, per cui la loro presenza nel disegno ha un valore documentale notevole. La mappa mostra anche la montagna Hasan, l’unica con cime gemelle nell’Anatolia centrale, situata ad est di Konya e visibile anche da Çatal Hüyük.
Il suolo fu disegnato di color crema e le case, adiacenti l’una all’altra, in rosso.
La parte principale della mappa, che si trovava sulla parete settentrionale, è attualmente esposta nel Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara. L’estrazione non fu ottimale e della mappa furono estratte quattro parti di cui tre parti sono in mostra ed una è conservata nel magazzino del Museo.
Se si considera in dettaglio il livello di civiltà del Neolitico, la mappa di Çatal Hüyük risulta essere un’opera d’arte incredibilmente avveniristica che ci tramanda un’immagine del mondo anatolico di 8 millenni orsono.
Ma non tutti sono d’accordo…
Meno noto invece è il fatto che nel 2006, una ricercatrice di Cambridge, Stephanie Meece, ha sottoposto a revisione l’interpretazione tradizionale inserendo la rappresentazione nella nutrita serie di dipinti murali, sempre localizzata nel sito, con motivi decorativi geometrici. Secondo la studiosa, il cosiddetto “vulcano” sarebbe una rappresentazione di una pelle di leopardo, elemento simbolico che ricorre in talune figurazioni parietali, mentre l’abitato sarebbe una partizione decorativa, forse imitante inserti (formelle) ceramici. Lo studio rappresenta uno spunto per una interessante critica sull’interpretazione topografica delle “mappe” preistoriche nella sua globalità, che ne uscirebbe sicuramente ridimensionata alla luce di queste importanti considerazioni.
I MORTI SOTTO IL LETTO
Gli abitanti di Çatal Hüyük seppellivano i loro morti, divisi per sesso, all’interno del villaggio. Resti umani sono stati trovati in fosse sotto i pavimenti, e specialmente sotto i focolari, le piattaforme all’interno delle stanze principali, e sotto i letti. Talvolta i teschi venivano rimossi e intonacati e dipinti con ocra per assomigliare a volti vivi. Queste teste potrebbero essere state usate nei rituali, poiché alcune sono state trovate in altre aree della comunità.
In una sola casa gli archeologi hanno portato alla luce ben 60 scheletri, ed è un caso isolato il recupero di un cranio modellato: giaceva fra le mani di una giovane donna.
Le ossa venivano parzialmente dipinte, dissotterrate più volte e seppellite di nuovo. Ma c’è di più, non tutti gli scheletri sono dipinti, solo i “prescelti”, e avevano una gamma di colori diversa per uomini e donne. Uno studio mostra che l’ocra rossa era più comunemente usata in Çatal Hüyük, presente in alcuni adulti di entrambi i sessi, e nei bambini, e che il cinabro e il blu/verde erano associati rispettivamente a uomini e donne. È interessante notare che il numero di sepolture in un edificio sembra essere associato al numero di strati successivi di intonaco e dipinti architettonici. Ciò suggerisce un’associazione contestuale tra la deposizione funeraria e l’applicazione di coloranti nello spazio domestico. Questo significa che, quando seppellivano qualcuno, dipingevano anche i muri di casa.
Le “Torri del Silenzio”
I cadaveri venivano per lungo tempo esposti all’aria, in modo che gli avvoltoi e gli agenti climatici consumassero il cadavere fino a quando non ne fossero rimaste solamente le ossa. a questo punto potevano essere seppellite. Tale tipo di sepoltura risulta attestata anche all’interno della tradizione persiana, di religione Zoroastriana, e tuttora praticata tra i Parsi, a Bombay, che si servono delle cosiddette “Torri del silenzio”: queste sono delle grandi costruzioni, cave all’interno, sopra le quali vengono depositati i cadaveri, le cui ossa, alla fine della scarnificazione, vengono conservate nella cavità centrale della torre, distinte per sesso ed età.
Le motivazioni
Secondo un principio molto antico la parte essenziale dell’uomo sono le ossa, perché la carne si deteriora e quello che si seppelliva sotto il letto non era il cadavere, bensì l’”imperituro”, cioè le ossa.
La tumulazione dei morti in casa (per quanto oggi tale pratica possa apparire macabra) presumeva un sentimento di amore verso di loro, in quanto essi continuavano a fare parte della famiglia anche dopo morti, godendosi il sopore eterno nel focolare domestico. Conservando le ossa del defunto in casa, i suoi cari richiamavano su di loro la sua benedizione e protezione. In alcuni casi venivano costruite appositamente delle case solide e robuste, per conservare i defunti, in modo che gli stessi venissero ingannati e credessero di essere ancora in vita. Le costruzioni meglio conservate che ci sono pervenute sono quelle legate ai defunti, proprio perché dovevano avere una funzione duratura nel tempo.
LA VITA QUOTIDIANA
La gente di Çatal Hüyük sembra aver vissuto vite relativamente egualitarie senza apparenti classi sociali, poiché finora non sono state trovate case con caratteristiche distintive (appartenenti a re o sacerdoti, ad esempio). Le indagini più recenti rivelano anche una scarsa distinzione sociale basata sul genere , con uomini e donne che ricevevano nutrizione equivalente e apparentemente avevano uno status sociale relativamente uguale. I residenti coltivavano grano e orzo, così come lenticchie, piselli, veccia amara e altri legumi . Allevavano pecore e capre e le prove suggeriscono anche l’inizio della domesticazione del bestiame. Tuttavia, la caccia continuò a essere una delle principali fonti di carne per la comunità. La fabbricazione di ceramiche e la costruzione di utensili in ossidiana erano industrie importanti. Gli utensili in ossidiana erano probabilmente sia utilizzati che scambiati per oggetti come conchiglie del Mediterraneo e selce dalla Siria.
UN PO’ DI MISTERO…
Inutile dire che alcuni dei manufatti ritrovati a Çatal Hüyük hanno suscitato perplessità e molte domande, soprattutto da parte dei cultori del mistero. Dobbiamo ammettere che alcune cose ci lasciano, come dire, un po’ basiti. Infatti, rispetto alla storia dell’Europa e del vicino Oriente, questa città è un “caso” assolutamente unico, che non ha niente a che fare con le culture, le tradizioni, la storia e le forme sociali dei popoli della stessa area geografica durante lo stesso periodo, ma addirittura, come mostrano alcuni oggetti venuti alla luce grazie agli scavi archeologici, ci sono cose che risultano inspiegabili anche, ed ancora, rispetto ai nostri stessi giorni. Andiamo a vedere, dunque, cosa ci ha restituito questo straordinario sito anatolico.
Tessuti…stampati?
Tra i resti umani di alcune abitazioni sono stati trovati brandelli di stoffa tessuti con lana d’angora. Una giovane donna indossava una gonna lunga, realizzata con strisce di tessuto ai cui orli erano appese perline di rame. Durante quel periodo storico tutti gli altri popoli della regione vivevano ancora nell’età della pietra… Altre stoffe recavano ancora disegni impressi con la tecnica della stampa a caldo! Non furono mai trovati telai, fusi, arcolai o ancora tinozze per tinture in nessuna delle case riportate alla luce dagli scavi. Quei vestiti non erano prodotti dalle singole famiglie, ma da qualche fabbrica collocata da qualche parte, che li produceva per la popolazione. È inconcepibile che nel Neolitico Superiore potessero esistere fabbriche di qualcosa, ma allo stesso tempo non esistono plausibili ipotesi alternative per spiegare questi dati incredibili.
Il portauovo
A Çatal Hüyük fu ritrovato un portauovo di legno, del tutto simile a quello che potremmo trovare noi oggi in un supermercato, perfettamente lavorato al tornio.
Specchi di ossidiana
Furono trovati specchi in ossidiana, un vetro vulcanico da cui si possono ottenere, spaccandolo, delle ottime lame ma da cui è impossibile ottenere degli specchi perché questo vetro naturale si presenta in forma di sassi la cui pasta, nel solidificarsi, ha conservato le linee dalle fibre ricurve e variamente ondulate della originaria estrusione. Ebbene questi sassi di vetro furono segati senza romperli o frantumarli; le superfici così ottenute furono fresate … con tanto di macchina fresatrice e, sempre con macchine ad alta precisione, rettificate, per eliminare anche la più piccola deformazione, ed infine lucidate con una qualche pasta abrasiva che le aveva rese assolutamente lisce, senza neanche il minimo graffio o smerigliatura.
Va aggiunto che l’ossidiana nera è un potente talismano. È conosciuta anche come la pietra sciamanica. In cristalloterapia viene considerata una pietra che protegge dalle negatività. Oggi, gli specchi in ossidiana sono considerati uno strumento energetico e divinatorio per proteggere la psiche e purificare l’aura. Forse anche a Çatal Hüyük essi avevano una funzione simile?
Le perline “impossibili”
Tra i ritrovamenti, anche perline di pietra dura, da usare per ornamento, bucate al centro con un foro così sottile che oggi, attraverso quel foro, non ci passa neanche il più sottile ago da cucito. Ancora oggi, non è spiegabile come avessero fatto a realizzarle. Ma viene anche da domandarsi di che materiale doveva essere il filo, evidentemente ultrasottile, da infilare in quelle perline…
LA FINE DI ÇATAL HÜYÜK
Çatal Hüyük fu abbandonata intorno al 5.700 a.C. Nessuno sa perché; forse a causa di un incendio o di un’eruzione vulcanica. venne fondata una nuova città nei pressi della precedente: Çatal Hüyük Ovest, che fu abitata per circa 700 anni e poi abbandonata anch’essa a causa di un incendio.
Un’ipotesi avanzata dagli studiosi, attribuisce al cambiamento climatico la causa dell’abbandono del sito, cambiamento di certo non provocato dalle Panda inquinanti di 9.000 anni fa, no? Questo per dire che il clima del pianeta è sempre stato dinamico e in continuo mutamento, con un alternarsi di periodi caldi e freddi. Attribuire all’uomo il potere di influire sul clima di un pianeta (di un PIANETA, capite?) significa non rendersi conto della sua totale irrilevanza sulle faccende cosmiche. Interessi economici hanno confezionato una storiella che porterà benefici solo a pochi, a quel famoso 1% di super ricchi e privilegiati della finanza apolide.
Per tornare al cambiamento climatico dell’epoca in questione: a causa dell’aumentata desertificazione del Medio Oriente e dell’erosione della qualità della terra che circondava la città, gli abitanti furono forse costretti a cercare cibo e risorse in altre terre.
Altre ipotesi
Secondo i bioarcheologi della National Academy of Sciences (PNAS) gli abitanti furono sterminati da violenze, sovraffollamento, malattie. Nel corso dello studio durato 25 anni, gli scienziati hanno scoperto che circa il 25% dei teschi presenti mostrava segni di trauma, ferite provocate da piccoli proiettili. E che circa il 10-13% dei denti degli adulti aveva tracce di carie dentali. Inoltre le abitazioni, costruite l’una sull’altra, erano sovraffollate, costituendo un focolaio per gli agenti patogeni che alimentavano le malattie infettive, cosa sicuramente comune in epoca tanto remota.
Fatto sta che Çatal Hüyük e altri centri neolitici orientali, furono abbandonate: una dopo l’altra si trasformarono in deserti di pietre, resti silenziosi di una cultura perduta.
Soltanto nel IV millennio a.C. sorsero di nuovo grandi centri abitati nella Mezzaluna fertile, ma questa volta la struttura sociale alla loro base sarebbe stata un’altra. Resti di tombe reali, di luoghi monumentali di culto ed abitazioni molto differenziate dimostrano che la società pacifica di tipo ecumenico ed egalitario fu soppiantata da una struttura dominante, gerarchica e guerriera. Era l’epoca in cui in Mesopotamia, fra il Tigri e l’Eufrate, nascevano le città-stato sumere. Ma questa è un’altra storia.
ÇATAL HÜYÜK OGGI
Come abbiamo già detto, il sito fu scavato tra il 1961 e il 1965. Gli archeologi del team di James Mellaart abbandonarono improvvisamente il loro lavoro dopo cinque anni e le rovine furono lasciate scoperte. In seguito si seppe che Mellaart fu bandito dalla Turchia per il suo coinvolgimento nell’affare Dorak, in cui pubblicò disegni di presunti importanti manufatti dell’età del bronzo che in seguito andarono perduti. Il sito rimase inutilizzato fino al 12 settembre 1993, quando iniziarono le indagini sotto la guida dell’archeologo britannico Ian Hodder dell’Università di Cambridge, nel corso delle quali furono intrapresi lavori di restauro conservativo in loco.
Le trincee aperte durante gli scavi degli anni ‘60 e lasciate così dopo l’abbandono delle ricerche, avevano permesso ai muri e all’arte associata di disintegrarsi. L’associazione “Çatal Hüyük Friends” e altre organizzazioni raccolsero denaro per costruire un tetto in cima per proteggere i dipinti murali. Un’altra grave minaccia derivava dal grave calo della falda freatica dovuto a un progetto di irrigazione locale. L’Autorità turca per l’acqua (DSI) suggerì, pertanto, di scavare un canale per l’acqua intorno alle rovine da usare in caso di emergenza per salvare i manufatti ancora da scoprire all’interno della città sepolta. Oggi gli scavi sono protetti da un’imponente ed avveniristica struttura.
Çatal Hüyük è stata elencata nel 1996 come uno dei 100 siti più minacciati del mondo dal World Monuments Fund (fondo mondiale dei monumenti), e da luglio 2012 è elencato nella lista del Patrimonio Culturale Mondiale dell’UNESCO.
Nel prossimo episodio: in Libano, nella fertile Valle della Beqaa, a circa 65 km ad est della capitale Beirut, si trovano le imponenti rovine di un antichissimo sito archeologico la cui architettura sfida realmente le leggi della fisica. Diversi archeologi e ricercatori indipendenti sono della convinzione che i Romani, per l’edificazione dei loro imponenti templi, usarono come fondazione una preesistente e gigantesca acropoli che già si imponeva nel sito e che non ebbe paragoni nell’antichità, principalmente per l’enormità dei blocchi di pietra usati per la sua costruzione. La piattaforma su cui poggia il tempio di Giove, infatti, ha delle dimensioni incredibili, e tre delle pietre che compongono la base, costituiscono quello che viene chiamato Trilithon. In pratica tre enormi monoliti, lunghi ognuno circa 20 metri, con una profondità e un’altezza di circa 5 metri e pesanti qualcosa come 1.000 tonnellate. Benvenuti nel misterioso sito di Baalbek.
Se ti sei perso gli episodi precedenti…