Città e siti che non dovrebbero esistere, almeno per l’archeologia ortodossa, e che però esistono e impongono una riflessione sulle origini della civiltà umana. Si, perché secondo la letteratura scientifica convenzionale, la più antica civiltà del mondo è quella sumera. Antecedente ad essa, l’uomo era un cacciatore-raccoglitore che, proprio per la natura della sua attività, non aveva necessità di insediamenti stabili, i quali vennero realizzati solo dopo il passaggio all’agricoltura, e con essi la costituzione di una società organizzata a più livelli divenne il nuovo modus vivendi dell’essere umano. Tuttavia, alcune recenti scoperte archeologiche mettono in seria discussione la narrazione che abbiamo imparato sui banchi di scuola e allargano in modo esponenziale l’orizzonte della Storia. Sapere che alcune città sono più antiche delle piramidi egizie (e non di pochi anni, ma di migliaia di anni!) potrebbe essere sconvolgente perché le implicazioni di tali affermazioni rivoluzionerebbero le nostre conoscenze, obbligandoci a porci domande sulla vera storia dell’umanità. Riprendendo una consuetudine iniziata l’anno scorso (vedi “Una giornata con l’imperatore”), trascorreremo il periodo estivo con una raccolta monotematica, che si concluderà poco prima dell’equinozio d’autunno. Ogni puntata sarà dedicata ad un sito diverso che, per le sue caratteristiche, sfida ogni nostra conoscenza convenzionale, supera le barriere del tempo, piegandole fino a farlo diventare un sito inspiegabile, un sito, appunto, impossibile.
In questa puntata conclusiva delle “Città impossibili”, in esclusiva per IQ, andremo sulle sponde del Lago Titicaca, dove un sito archeologico precolombiano sfugge ad ogni comprensione: una città modulare dalle linee stranamente moderne, pulite e razionali. Quando i Conquistadores chiesero chi l’avesse costruita gli Incas risposero: “Non siamo stati noi. L’hanno costruita gli antichi dei in una sola notte”. Blocchi di diorite e granito sembrano fatti a stampo e si incastrano alla perfezione. Porte finemente intagliate e blocchi di pietra pesanti fino a 130 tonnellate perfettamente levigati, senza la minima traccia di segni di scalpello. Ma ciò che più lascia perplessi archeologi e ingegneri è la presenza di misteriosi moduli in pietra a forma di “H”, tutti della stessa dimensione. L’impressione che si ha è quella di produzione in serie, come se si fosse utilizzato uno stampo. Posizionate sull’altopiano andino ad un’altezza di 4 mila metri, alcuni stimano che siano tra le rovine più antiche delle Terra. Benvenuti a Puma Punku, in Bolivia, uno dei siti archeologici più intriganti e misteriosi dell’antichità.
TABELLA DEI CONTENUTI
PIETRE SQUADRATE E SUPERFICI PERFETTE
IL SISTEMA DI FISSAGGIO: L’ENIGMA DEL METALLO
CHI COSTRUI’ PUMA PUNKU E TIWANAKU?
LA MISTERIOSA FIGURA DI VIRACOCHA
IL COMPLESSO ARCHITETTONICO DI TIWANAKU
CONTATTI CON ALTRE CIVILTA’ LONTANE?
LA SCONVOLGENTE TEORIA DI POSNANSKY
LA DISTRUZIONE DI TIWANAKU E PUMA PUNKU
IL SITO DI PUMA PUNKU
Una città fiorente nel bel mezzo di un desertico altopiano andino. In Aymara, la lingua del popolo delle Ande, Puma Punku significa “Porta del Puma“, nome legato alla statua di un leone di montagna trovata tra le macerie. E’ un sito archeologico che cattura sia l’occhio che l’immaginazione. Posizionato a poco meno di 72 km ad ovest della capitale boliviana di La Paz su un altopiano desertico vicino al margine meridionale del lago Titicaca, è stato la culla di una delle più importanti culture precolombiane del Sud America. Le rovine di Puma Punku (talvolta indicate come Pumapunku) sono i mattoni di un grande complesso di templi, le cui origini si perdono nella sabbia del tempo. Indubbiamente, la città precede la presenza Inca in questa parte del Sud America.
Il sito presenta dimensioni notevoli, con una lunghezza di 116,7 metri e una larghezza di 167,36 metri, comprendendo una corte occidentale e orientale senza mura, una spianata centrale e un tumulo con piattaforma terrazzata rivestita in pietra. I megaliti sul sito raggiungono fino a 8 metri di lunghezza e pesano oltre 100 tonnellate ciascuno.
Le rovine di Pumapunku formano un sito archeologico precolombiano, parte dell‘antico complesso di Pumapunku e Tiwanaku. Questo sito è rinomato per il suo gran numero di pietre tagliate e disposte in modo impressionante. Ha affascinato storici, archeologi e ingegneri per secoli. Ed è la sbalorditiva complessità e precisione della lavorazione della pietra che ha creato l’aura che circonda il mistero di Puma Punku. Ancora oggi, nessuno sa come i costruttori originali abbiano potuto realizzare questa impresa.
LA CULTURA TIWANAKU
Oggi Puma Punku è un assortimento di rovine in pietra, in parte divorate dalle intemperie climatiche. Una volta però si trattava di un meraviglioso esempio di costruzione ed edilizia della cultura locale Tiwanaku. Città precolombiana nelle Ande meridionali, è stata per secoli la capitale di un vasto e potente impero che doveva la sua supremazia all’uso di materiali e tecniche innovative per migliorare la produzione agricola, aumentando così il suo potere economico. Fu da Tiwanaku che si diffuse l’omonima cultura, che raggiunse il suo apice tra il 500 d.C. e il 900 d.C. contando la presenza di 400.000 persone. Da lì, la sua influenza si irradiò su un vasto territorio che comprendeva la Bolivia occidentale, il Perù sudoccidentale e l’Argentina e il Cile settentrionali. Tuttavia la zona conobbe un inspiegabile decadimento e abbandono a seguito del primo millennio. Si dice dovuto alla grave siccità e ai conseguenti disordini popolari.
In seguito al crollo della sua cultura nel XIII secolo Tiwanaku fu brutalmente saccheggiata. Il luogo attirò come una calamita i cacciatori di tesori nascosti, e gran parte del suo prezioso patrimonio scomparve. Numerosi documenti storici mostrano anche che il sito divenne una cava, da cui estrarre materiali per costruire edifici moderni, la cui testimonianza è ancora visibile nel centro della città vicina, e persino a La Paz, la capitale boliviana.
LA SCOPERTA
Anche se il celebre esploratore Humboldt (1810) non visitò Tiwanaku, la sua menzione del sito come culla di un’antica civiltà ispirò visioni della passata gloria andina. Dopo la pubblicazione fondamentale di Humboldt, ci furono una serie di resoconti di viaggiatori su Tiwanaku e i primi tentativi di ricerca sistematica. Questo periodo vide un’ondata di spedizioni europee in Sud America, spinte dal pubblico europeo ansioso di storie allettanti di civiltà perdute in terre esotiche. Tiwanaku fu uno dei punti caldi dell’archeologia americana.
Arthur Posnansky, un personaggio controverso
All’inizio del XX secolo l’ingegnere tedesco Arthur Posnansky (1873-1946) dedicò lunghi anni delle sue ricerche alle rovine di Tiwanaku. L’ingegnere concentrò i suoi studi su una zona del villaggio, dove alcune pietre erano disposte verticalmente. Da questo lo studioso dedusse che in quel luogo, migliaia di anni prima sorgeva un osservatorio astronomico. Così il sito di Tiwanaku richiamò altri studiosi i quali scoprirono un altro sito presente a poche centinaia di metri di distanza, Puma Punku.
Arthur Posnansky fu l’illustre pioniere dell’archeologia di Tiwanaku, ricordato come un personaggio donchisciottesco, stravagante e spavaldo. Era un ufficiale di marina, un uomo d’affari e uno studioso. Dedicò quasi cinquant’anni della sua vita allo studio del passato andino, che risuona attraverso la storia dell’archeologia boliviana. Sebbene non fosse chiaramente esperto nel campo, la sua presenza autorevole e la sua smisurata eredità potrebbero renderlo lo zar dell’archeologia di Tiwanaku. Sviluppò una narrazione iperbolica di Tiwanaku come la “culla dell’uomo americano” e la promosse instancabilmente in Europa e nelle Americhe. Come molti pionieri, non era un archeologo formato. Le sue teorie si basavano su poche informazioni concrete, ma le difendeva con invidiabile passione: una di queste fu la sua proposta di datazione delle rovine del sito, che scatenarono feroci polemiche e che vedremo più avanti.
La sua mancanza di metodi, la personalità abrasiva e le idee stravaganti rendono allettante liquidarlo nella celebre storia dell’archeologia di Tiwanaku. Dopo la sua morte, l’archeologia di confine (chiamata ingiustamente pseudo-archeologia) si è appropriata delle sue teorie considerate infondate. Può anche essere messo in discussione per motivi etici: era un sostenitore dell’antropologia razzista e presumibilmente comprava e vendeva manufatti. Tuttavia, sembra affrettato relegare questa figura “donchisciottesca” a una nota a piè di pagina nell’archeologia di Tiwanaku. I suoi difetti non diluiscono il suo impatto decisivo e duraturo sullo sviluppo dell’archeologia a Tiwanaku e oltre.
PIETRE SQUADRATE E SUPERFICI PERFETTE
La singolarità del sistema modulare degli artefatti, situati a 4mila metri di altezza e ricchi di caratteristiche tecniche inspiegabili per la tecnologia del periodo, rappresenta un altro dei grandi misteri del Sudamerica e della nostra storia remota. L’aspetto più sorprendente di Puma Punku è rappresentato dalla perfezione che caratterizza le strutture, con aperture finemente intagliate e blocchi di pietra pesanti più di 130 tonnellate, perfettamente levigati, assemblati senza l’uso di malta e senza traccia alcuna di ricorso a scalpelli e martello. Le massicce pietre di Puma Punku, realizzate in andesite e arenaria rossa, sono tra le più grandi mai trovate. Sebbene la base del tempio sia stata costruita con la tecnica di stratificazione e deposito secondo gli ingegneri moderni, il taglio, la lucidatura e il trasporto delle pietre rimangono un mistero.
Le lastre di Puma Punku sono fatte di granito e di diorite. La diorite è una roccia estremamente dura, ma questo potrebbe non aver rappresentato un problema nella lavorazione, dato che esempi di lavorazione della diorite sono stati ritrovati in giro per il mondo, come per gli Egizi, che utilizzavano sfere di diorite per lavorare il granito, o per realizzare vasi ed intarsi di notevole qualità. Il problema è che pare improbabile che gli Egizi e chiunque sia riuscito a lavorare così finemente questo materiale fossero a conoscenza di come manipolare a livello millimetrico la roccia: alcuni intarsi di Puma Punku sono spessi infatti solo sei millimetri, cosa estremamente difficile da realizzare anche al giorno d’oggi. Pare improbabile che siano stati fatti con strumenti di pietra o di bronzo, ma in qualche modo sono stati realizzati.
Puma Punku è speciale perché la tecnica ingegneristica (as-a-Whole) di questo antichissimo manufatto è unica al mondo. Soprattutto, si fa davvero grande fatica a pensare che possa essere stata farina del sacco di popolazioni neolitiche primitive che non conoscevano il metallo né facevano uso della ruota.
IL SISTEMA DI FISSAGGIO: L’ENIGMA DEL METALLO
Per fissare le pietre venivano utilizzate delle cambrette di metallo, metodo conosciuto dagli archeologi dopo gli scavi di Delfi città greca dell’antichità dove risiedeva uno tra i più famosi oracoli di tutti i tempi.
I monoliti presentano infatti scanalature convergenti – dette “a coda di rondine” – in cui veniva colato metallo fuso che, solidificandosi, li teneva uniti. E qui va segnalato un altro fatto abbastanza sorprendente: si utilizzava una lega di rame con ferro, silicio e nichel. Cosa c’è di strano? Intanto che non si sa come i costruttori abbiano potuto fondere il metallo in loco, a 4.000 metri di altezza dove non c’è neppure un albero da tagliare per accendere il fuoco. Inoltre, il nichel non è presente in Bolivia. E i problemi non finiscono qui: in altri fissaggi analizzati sono state rilevate tracce di platino e alluminio. Solo che il platino fonde a 1800 gradi, temperatura difficile da raggiungere con il focherello di un falò, mentre l’alluminio è stato scoperto ufficialmente solo nel 1800 dopo Cristo. Questa civiltà, quindi, sarebbe stata in grado di creare una fonderia portatile di altissimo livello, utilizzata in un territorio ostile in cui mancava persino la legna da ardere.
IL MISTERO DEI BLOCCHI AD “H”
A Puma Punku è stato posto in essere un sistema edilizio senza precedenti, senza ulteriori esempi sul pianeta Terra e soprattutto mai più imitato. Una sorta di gigantesco sistema di assemblaggio, (tipo gioco dei mattoncini LEGO per intenderci), mediante enormi “H” in pietra molto dura che fungevano da raccordi intercambiabili per assemblare blocchi in pietra sapientemente squadrati ed a dir poco ciclopici. Questi incredibili moduli in pietra a forma di H, con circa 80 facce ciascuno, sono noti per la loro precisione nei tagli e negli angoli e sono tutti della stessa dimensione e perfetti nei particolari, tanto da far pensare a una produzione in serie ottenuta con degli stampi. La levigatura è altrettanto perfetta, come le scanalature combacianti, che fanno ipotizzare l’attitudine a un assemblaggio a incastro per consentire una costruzione modulare, suggerendo possibili tecniche di prefabbricazione e produzione di massa. Questo indica una conoscenza avanzata degli antichi costruttori, anticipando gli Inca. Geniale, semplicissimo e soprattutto assolutamente naturale, ma impossibile da realizzare anche oggi: il frutto – sembrerebbe – di una tecnologia sconosciuta.
La precisione delle giunture, inaccessibili anche a una lama di rasoio, rivela una sofisticata conoscenza del taglio della pietra e della geometria. Gli studiosi tradizionali ritengono che i blocchi siano stati formati “a mano” con strumenti “primitivi”, ma la levigatura precisa delle pietre suggerisce un processo diverso, forse realizzato con strumenti avanzati.
Le pietre mostrano lavorazioni intricate, quasi simili a quelle realizzate con macchine utensili o laser. Angoli retti perfetti e piccoli fori distanziati uniformemente sollevano interrogativi sulla possibile utilizzazione di macchinari avanzati dagli antichi costruttori di Puma Punku. Questa caratteristica alimenta la speculazione e il mistero intorno alle tecniche di costruzione e agli strumenti impiegati dagli abitanti di questa antica città. La situazione è resa ancora più complicata dal fatto che le cave di granito e diorite si trovavano a circa 60 chilometri dalla città, di cui 20 chilometri solo di deserto boliviano. Sul trasporto dei blocchi, sono state formulate diverse ipotesi. Per gli archeologi non si discostano dai metodi ipotizzati per altri monumenti antichi, come Stonehenge e le piramidi. Si compongono sostanzialmente di olio di gomito, di barche e di altri materiali come corde e rulli di legno.
L’ASPETTO DI PUMA PUNKU
Gli ingegneri che costruirono Puma Punku e Tiwanaku dimostrarono abilità non solo nella costruzione di monumenti, ma anche nello sviluppo di infrastrutture civiche, inclusi sistemi di irrigazione, meccanismi idraulici e linee fognarie impermeabili.
Puma Punku, nonostante le sue attuali rovine, è stato descritto come “un luogo inimmaginabilmente meraviglioso” durante la sua epoca di splendore. Il sito presentava caratteristiche distintive, come placche di metallo lucido, ceramica colorata e ornamenti tessili, che contribuivano a creare un ambiente visivamente straordinario. La presenza di questi elementi suggerisce una ricca cultura artistica e artigianale che si è espressa attraverso una varietà di materiali e tecniche.
Le placche di metallo lucido potrebbero aver conferito al sito un aspetto brillante e riflettente, contribuendo a creare un’atmosfera affascinante. La ceramica colorata e gli ornamenti tessili indicano un’attenzione particolare ai dettagli e una sofisticata comprensione delle arti decorative. L’uso combinato di questi materiali ha contribuito a trasformare Puma Punku in un luogo di grande bellezza estetica.
Le leggende narrano di cittadini che frequentavano il luogo vestiti in modo elaborato, con preti e membri dell’élite adornati da gioielli esotici. La ricchezza e la sofisticatezza degli elementi presenti suggeriscono uno stile di vita lussuoso e una cultura avanzata, lasciando intravedere una società che aveva raggiunto un alto grado di raffinatezza artistica e sociale.
CHI COSTRUI’ PUMA PUNKU E TIWANAKU?
Nonostante la datazione ufficiale collocata intorno al 500 d.C., alcuni ricercatori avanzano l’ipotesi che Puma Punku, insieme a Tiahuanaco, possa avere origini antecedenti alla cultura Inca. Questa teoria è sostenuta dal fatto che alcune caratteristiche architettoniche e artistiche dei siti sembrano differire significativamente dalle realizzazioni degli Inca, suggerendo l’esistenza di una cultura indipendente e avanzata che potrebbe essere fiorita molto prima dell’ascesa degli Inca.
L’archeologia classica attribuisce il monumento agli indigeni locali Aymara, gli unici che abitavano il luogo al tempo della presunta costruzione del complesso. Gli enormi e sofisticati blocchi di pietra, da centinaia di tonnellate ciascuno sarebbero stati secondo la solita soporifera versione ufficiale della storia tagliati, lavorati, assemblati ed incastrati uno sull’altro come un gigantesco puzzle tridimensionale da una tribù arretrata come quella degli indigeni Aymara che, come gli stessi accademici ortodossi che tutto sanno insegnano, in tempi remoti non avevano nemmeno acquisito l’uso della ruota e della scrittura, ossia i requisiti minimi e basilari per considerare una tribù o “società” abbastanza avanzate da poter portare a compimento un qualche tipo di progetto.
Gli Aymara però all’arrivo dei cronisti spagnoli nel XVI secolo raccontarono una storia ben diversa, storia che gli era stata tramandata oralmente di generazione in generazione dai loro antenati:
Molti esperti ritengono che il sito risultasse già abbandonato da molti secoli quando vi si insediarono gli Incas, intorno al 1470. Questi ultimi serbavano solo vaghi racconti tramandati di generazione in generazione. Sapevano solamente che era stato edificato in una sola notte dagli dei e consideravano la zona come quella della venuta di Viracocha, il dio creatore delle genti originarie che popolarono il mondo. Un dio proveniente dal mare, su una barca senza remi, secondo le antiche leggende e, curiosamente, raffigurato come un saggio barbuto, da un popolo come quello degli indigeni sudamericani a cui la barba non cresce proprio.
Nelle leggende locali, inoltre, si racconta che il vicino tempio di Tiwanaku sia stato costruito nell’antichità dagli uomini proprio per ricordare l’arrivo degli dei dal cielo nella vicina Puma Punku. Si dice anche che questi dei fossero i superstiti di Atlantide, giunti sull’altopiano andino per ripristinare la civiltà dopo il diluvio. Secondo altre interpretazioni, la città fu costruita in quella posizione appositamente per integrarsi con il monte Illimani, dove secondo la credenza di Tiwanaku vivevano gli spiriti dei morti. Per gli scettici, invece, i templi di Puma Punku costituivano solamente il centro spirituale di Tiwanaku.
LE TEORIE PREVALENTI
Mentre l’archeologia tradizionale attribuisce le meraviglie di Puma Punku all’ingegno umano, il sito continua a essere un punto focale sia per la ricerca accademica sia per le teorie alternative, ciascuna delle quali cerca di svelare come questa antica società abbia raggiunto una tale eccellenza architettonica.
La cultura Tiwanaku La teoria più plausibile e ampiamente accettata tra le comunità archeologiche e scientifiche è che non ci sia alcun mistero su Puma Punku. Sulla base delle probabilità, è stato molto probabilmente costruito dalla civiltà Tiwanaku. Questa teoria è supportata dalla datazione al carbonio dei materiali organici nel sito, che si allinea con il periodo di massimo splendore della cultura Tiwanaku intorno al 500-600 d.C. Anche i manufatti e gli stili architettonici trovati a Puma Punku assomigliano a quelli di altri siti Tiwanaku, rafforzando la convinzione che fosse un prodotto di questa avanzata società precolombiana nota per le sue innovazioni agricole, la metallurgia e la ceramica.
Una civiltà sconosciuta
Alcuni teorici suggeriscono che la complessità e la precisione di Puma Punku indicano che potrebbe essere stata costruita da una civiltà sconosciuta, forse più avanzata, precedente alla storia conosciuta. Questa teoria afferma che potrebbe essere esistita una civiltà perduta con una tecnologia o una conoscenza non ancora comprese o scoperte dagli archeologi moderni, o addirittura, come abbiamo detto prima, una che è venuta da lontano, ha costruito Puma Punku e se n’è subito andata, senza lasciare traccia della sua occupazione.
Gli alieni Puma Punku
Beh, tra le teorie più stravaganti non poteva mancare l’idea che gli extraterrestri abbiano costruito Puma Punku o fornito tecnologia agli antichi. I sostenitori di questa teoria sostengono che le imprese architettoniche sono troppo precise e complesse per essere state realizzate da una qualsiasi civiltà antica conosciuta senza tecnologia avanzata, che secondo loro potrebbe essere stata fornita da visitatori alieni.
Miti locali
Collegate a leggende e mitologia, alcune narrazioni suggeriscono che Puma Punku sia stato costruito da esseri sovrumani o mitici. Queste storie spesso coinvolgono dei o semidei che usano poteri incredibili, riflettendo un tema mitologico comune di intervento divino o soprannaturale. Mentre questi racconti sono preziosi culturalmente e mitologicamente, non costituiscono una prova storica o archeologica di come è stato costruito Pumapunku.
Mentre la prima teoria è supportata dalla maggior parte della comunità archeologica, le ultime teorie, nonostante la loro popolarità in certi circoli, mancano di prove empiriche sostanziali e sono generalmente viste con scetticismo dagli studiosi tradizionali. Tuttavia, il mistero duraturo di Puma Punku continua a ispirare sia la ricerca scientifica che la speculazione fantasiosa.
LA MISTERIOSA FIGURA DI VIRACOCHA
Vale la pena, a questo punto, aprire una parentesi per comprendere meglio la figura del dio Viracocha.
Molti testi sacri antichi di diverse civiltà narrano di esseri superiori che avrebbero avviato l’uomo sulla via della civiltà.
Nel Vecchio Testamento e nel libro di Enoch vengono chiamati rispettivamente figli di Dio e figli del cielo.
Per gli antichi Egizi fu Osiride che portò la civiltà agli uomini.
Nelle civiltà precolombiane dell’America Centrale (Olmechi, Mixtechi, Toltechi, Aztechi, Maya e Quiché) si narra che questo compito venne svolto dal “serpente piumato”, chiamato Quetzalcóatl da Toltechi ed Aztechi, Kukulkan dai Maya, Gukumatz dai Quiché.
Tra gli Incas dell’America Meridionale si narrava che fu Viracocha ad avviare questo popolo sulla strada della civiltà.
Gli Incas raccontarono agli spagnoli giunti al seguito di Francisco Pizarro che Viracocha era un uomo dalla pelle bianca, con gli occhi azzurri, i capelli biondi ed una folta barba, tutte caratteristiche completamente assenti in quella popolazione.
Secondo questi racconti, Viracocha, proveniente dal nord con molti suoi seguaci, giunse nella regione del lago Titicaca prima dell’arrivo degli Incas in quel luogo, e lì fondò la città di Tiwanaku, dove fiorì una misteriosa civiltà pre-incaica.
Pare che gli Inca abbiano ereditato da questa civiltà le misteriose tecniche di architettura, come si può osservare nelle mura ciclopiche dei loro siti di Machu Picchu e Cuzco, dove blocchi pesanti anche decine e decine di tonnellate sono incastrati alla perfezione.
Gli Incas raccontarono ai cronisti spagnoli che, prima dell’arrivo di Viracocha, le popolazioni di quel luogo avevano vissuto come selvaggi, ma, successivamente, grazie all’arrivo dei viracocha (così gli Incas chiamavano Viracocha ed i suoi compagni) furono civilizzati e contribuirono anch’essi allo sviluppo della civiltà di Tiahuanaco.
Sempre secondo questi racconti, i viracocha insegnarono agli indigeni locali l’agricoltura, l’uso del cotone, l’architettura, l’astronomia e dettero loro anche insegnamenti morali ed una legislazione, inoltre, analogamente ai racconti biblici, i viracocha si accoppiarono con le donne indigene locali.
Secondo il cronista spagnolo Pedro Pizarro (cugino del più famoso Francisco), i membri delle classi dirigenti Inca erano biondi con la pelle chiara e, secondo gli Incas, essi erano discendenti dei viracocha, che si erano accoppiati con le donne native.
Purtroppo tutte le statue (ricoperte d’oro) di Viracocha furono distrutte dai missionari cristiani al seguito di Pizarro, per cui, per quanto riguarda il suo aspetto, dobbiamo accontentarci delle descrizioni tramandate dagli Incas.
Dopo aver dato l’avvio alla civiltà del lago Titicaca, Viracocha ed il suo seguito andarono via ma, proprio come fece Quetzalcóatl secondo gli Aztechi, promise che un giorno sarebbe tornato e, per questo motivo, quando i Conquistadores di Pizarro giunsero in contatto con la civiltà Inca, furono accolti come amici perché, dato il colore bianco della loro pelle, furono ritenuti inviati di Viracocha il cui ritorno sarebbe quindi stato imminente. Questo tragico equivoco costò caro a quella popolazione che avrebbe potuto facilmente annientare gli invasori spagnoli, dato il loro esiguo numero, se avesse agito in tempo.
IL COMPLESSO ARCHITETTONICO DI TIWANAKU
Abbiamo visto come il dio Viracocha sia considerato come la divinità creatrice delle genti originarie che popolarono il mondo. Non troppo distante dalle maestose rovine di Puma Punku si trova l’antico complesso architettonico di Tiwanaku, situato sugli altopiani centrali boliviani, vicino al lago Titicaca nel dipartimento di La Paz. Sui muri del tempio troviamo scolpite una serie di teste umane.
Il fatto curioso e per certi versi inspiegabile è che questi volti sembrano possedere svariati tratti somatici. Se si osserva con attenzione, è possibile riconoscere volti di persone con nasi ampi o sottili, con labbra carnose o fini, che indossano turbanti e persino dal teschio allungato: è come se su quel muro vi fossero rappresentate tutte le etnie della terra e questo è un fatto alquanto curioso perché all’epoca le popolazioni sudamericane non avevano contatti con altri popoli (almeno secondo la storiografia ufficiale).
Se continuiamo a scorrere la serie di teste, le sorprese non finiscono: ne troviamo infatti una molto particolare. Questa sembra avere caratteri che non si riscontrano in nessun popolo della terra, ma che sorprendentemente, per gli appassionati dell’argomento, ricordano le moderne rappresentazioni di un alieno. Va detto, tuttavia, che l’erosione può aver conferito al volto originario tali fattezze, generando un equivoco.
La scultura barbuta
Un’altra scultura ha generato molte discussioni, vale a dire quella che si trova al centro del quadrilatero che aveva all’epoca funzione di tempio, identificata da alcuni ricercatori con il dio creatore Viracocha.
Questa figura presenta barba e baffi, caratteristiche molto strane giacché gli indiani americani, come abbiamo detto prima, non hanno barba e baffi o quantomeno non così pronunciati, sia per genetica sia per cultura.
Viracocha invece sfoggia attributi che possono essere identificati con quelli tipici delle statue della cultura sumera, se non fosse quasi impossibile riuscire a concepire come i Sumeri, una civiltà stabilitasi nel 4.000 a.C. e a 13.000 chilometri di distanza possano essere entrati in contatto con gli abitanti di Tiahuanaco. Ce n’è d’avanzo per poterci ricamare sopra le teorizzazioni più ardite.
CONTATTI CON ALTRE CIVILTA’ LONTANE?
A supporto di tale ipotesi vi è da segnalare la presenza di un manufatto che a chiamarlo fuori contesto è dire poco. Parliamo del vaso denominato della Fuente magna con criptiche iscrizioni portato alla luce negli anni ’60. Fu l’esperto in iscrizioni antiche Clyde Ahmed Winters che si espresse in un modo che non lasciava dubbi. Lo scritto aveva caratteri simili a quelli di etnie afro-mediorientali: infatti, ritenne che le iscrizioni fossero molto somiglianti a quelle del sumero antico, del dravidico indiano, dell’elodita iraniano e del berbero libico di 5000 anni fa: sono lingue tutte africane e asiatiche. Lo scritto del Vaso Fuente magna rimandava, pertanto, a popoli situati su territori quasi opposti sulla superficie della Terra.
In ogni modo, Winters riuscì nel suo intento di decifrare lo scritto dell’interno del vaso, concludendo, fra l’altro, che ai suoi tempi era usato per fare offerte alla dea Nammu, la dea sumera delle acque primordiali, protettrice della purezza, della gioia, del carattere.
Questa la traduzione di Winters:
Qualcuno lo ha definito la “Stele di Rosetta delle Americhe” per attirare l’attenzione sul fatto che le sue iscrizioni, stilate in una scrittura che richiama il sumero antico, denuncerebbero un contatto avvenuto nell’antichità fra i Sumeri e i Boliviani, anche se la storiografia è del parere che ciò non possa essere mai avvenuto. Del resto è un’ipotesi che non ha prove a suo favore, però è dimostrato che la popolazione sumerica aveva abili navigatori; l’unico dubbio che potrebbe restare, eventualmente, riguarda la capacità o meno delle sue imbarcazioni, adeguate alla navigazione nelle acque interne, di affrontare quelle tempestose dell’Oceano Atlantico. Alcuni studiosi hanno abbozzato delle spiegazioni, in verità non sempre solide. In certi casi ipotizzando che i sumeri potrebbero aver circumnavigato l’Africa, sbarcando poi sulla costa brasiliana alla ricerca di minerali preziosi, e fermandosi alla fine nei territori sudamericani. In altri casi azzardando che i sumeri sarebbero originari della foresta amazzonica e solo successivamente sarebbero salpati alla volta di altre terre. Ma, com’è intuibile, non v’è prova di queste asserzioni.
Tuttavia, desideriamo sottoporre ai nostri lettori l’immagine qui sotto:
Se osservate queste due barche, esse appaiono molto simili. Ad un’analisi superficiale potremmo anche dire che sono state costruite dallo stesso cantiere. Ebbene, quella in basso è una barca che solcava le acque del lago Titicaca e l’altra è un’imbarcazione dell’antico Egitto: stessa forma, stessa tecnica costruttiva, stesso sistema di alberi e vele. La differenza sta nel materiale di costruzione: papiro per gli Egizi e tortora per questo popolo boliviano. Ad aggiungere ulteriori spunti di riflessione, il fatto che le barche egizie sono a loro volta copie di quelle costruite in Mesopotamia.
QUANTO È ANTICA PUMA PUNKU?
La datazione del complesso di Puma Punku è ancora oggetto di dibattito tra i ricercatori, perché, come è noto, non è possibile eseguire la datazione al carbonio-14 della pietra. Secondo i risultati della datazione presentati dal professore di Antropologia William H. Isbell, il sito sarebbe stato costruito tra il 500 e il 600 a.C. L’analisi al radiocarbonio è stata eseguita sul materiale organico dello strato più basso e più antico del sito di Puma Punku. Tuttavia, sono in molti a ritenere il metodo presentato da Isbell come estremamente impreciso. Infatti, come è ovvio, ciò non dimostra affatto l’età dei blocchi di pietra che potrebbero essere lì da molto tempo prima dei resti organici. Come se si determinasse, insomma, l’età del Colosseo in base ai resti di una pizza lasciata lì da un turista moderno. Alcune caratteristiche architettoniche del sito, infatti, farebbero pensare che si tratta di una realizzazione molto più antica: per capire l’età di Puma Punku bisogna guardare Tiwanaku.
Nella cittadella si trovano svariate raffigurazioni di animali andati estinti nel 9.600 a.C., come i Toxodonti, e addirittura incisioni di elefanti che, come si sa, gli antichi abitanti di Tiwanaku non avrebbero mai potuto incidere, essendo l’elefante un animale non presente in quelle terre.
Quando gli Inca (il cui periodo va dal 1200 d.C. al 1533 d.C.) conquistarono la valle nel 1470 d.C., il settore monumentale di Tiwanaku era già stato completamente abbandonato. Nel 1549, mentre erano alla ricerca della capitale dell’impero Inca, i Conquistadores spagnoli guidati da Pedro Cieza de Leon, passarono dal Perù meridionale alla Bolivia scoprendo così le rovine di Tiwanaku. Come abbiamo visto, quando essi chiesero agli Incas che cosa fosse Puma Punku si sentirono rispondere che non erano stati loro, e neppure i loro padri, a costruirlo, ma che era stato fatto dagli dei in una sola notte. Logica vuole che di fronte a una precisione e una grandiosità come quelle di Puma Punku un re avrebbe dovuto essere fiero dell’operato del suo popolo e farsene vanto, mentre in questo caso ha delegato il merito ad altri. Ciò dimostra già da sé che la datazione ufficiale non può essere quella giusta. In fondo, basterebbe leggere le fonti, no?
LA SCONVOLGENTE TEORIA DI POSNANSKY
Arthur Posnansky passò gran parte della sua vita a studiare questo sito archeologico. Questo valente ingegnere austriaco, nato nel 1873 e morto nel 1946, esaminò a lungo il misterioso sito e dimostrò che gli antichi costruttori avevano realizzato un colossale osservatorio astronomico allineato agli astri. La sua intuizione aprì nuove prospettive sulla realtà dell’antico luogo e sulla sua reale datazione. Si delineò infatti la possibilità di risalire al momento della sua costruzione seguendo un serio criterio di datazione astronomica.
L’allineamento astrale
Posnansky osservò che nel primo giorno di primavera, il Sole sorgeva esattamente al centro della porta principale del tempio: è l’inizio di una straordinaria scoperta.
Questi allineamenti astronomici, infatti, gli consentirono di datare il sito: per tutto l’anno il Sole sorge ogni giorno in un punto differente dell’orizzonte. Il primo giorno di primavera si può vedere il sole sorgere esattamente al centro.
Studiando la disposizione del complesso, Posnansky dedusse che il primo giorno d’inverno o d’estate, il Sole dovrebbe sorgere agli angoli, cioè in corrispondenza dei pilastri sui lati del tempio. Dato che ormai ciò non avviene, l’ingegnere cercò di individuare il periodo del passato in cui ciò invece si verificava. Misurando la diagonale delle pietre angolari, e comparando l’angolo alla posizione attuale del sorgere del Sole, calcolò che il tempio doveva avere almeno 17mila anni! Gli archeologi “ortodossi” affermarono che si sia trattato semplicemente di un errore da parte dei costruttori.
Osservando la perfezione con cui è stato costruito il sito, sembra davvero molto improbabile che i costruttori abbiano potuto compiere un errore così grossolano, sbagliando i marcatori dei solstizi.
Non convinto dell’ipotesi errore, l’archeologo Neil Steede compì un accurato controllo dei calcoli di Posnansky. Ripercorse il meccanismo utilizzato per fare i calcoli relativi alla posizione del sole nel suo periodo e ritornare, a ritroso, a quello segnato dalle pietre astronomiche del tempio. Tenendo presente, a questo proposito, che l’inclinazione dell’asse terrestre nel passato – fenomeno conosciuto come precessione degli equinozi -era diversa da quella attuale e che la posizione delle stelle e del sole variano nel tempo, anche Steede andò a stabilire in quale periodo il solstizio invernale e quello estivo combaciavano esattamente con le pietre angolari del tempio, e la conclusione è stata sorprendente.
“Grazie agli strumenti astronomici più precisi che oggi abbiamo a nostra disposizione, possiamo dire che la datazione reale di Tiahuanaco risalga a 12 mila anni fa”, conclude Steede. “E questo, dovrebbe far riflettere tutti noi sulla vera origine della civiltà”.
Se fosse vero, Puma Punku sarebbe la città più antica del mondo! Posnansky difese questa teoria sia per le prove astronomiche precedentemente menzionate e, anche, per aver trovato ossa di animali estinti di quell’epoca – vedi i Toxodonti di cui sopra – e resti umani nello stesso strato di terra, indicando che coabitavano sul pianeta nello stesso tempo.
Il libro di Posnansky Le sue ricerche conclusive, poi raccolte in un libro dal titolo “Tiahuanaco, la culla dell’uomo americano” rappresentano il risultato di circa 50 anni di studi approfonditi. Nella prima parte del testo, Posnansky espone la sua teoria sulla fondazione di Tiwanaku da un punto di vista geologico e iconografico. Secondo la sua visione, a Tiwanaku ci furono tre periodi, di cui almeno i primi due risalgono all’antico diluvio.
Secondo Posnansky, durante il primo e secondo periodo, Tiwanaku si trovava su un altopiano situato a un’altitudine inferiore rispetto agli attuali 3.843 metri sul livello del mare, probabilmente 300 metri più in basso. Inoltre, egli sostenne che Tiahuanaco era originariamente posizionata sulle sponde del lago, fungendo così da città portuale.
La prima parte del libro include anche uno studio approfondito dell’articolata iconografia dei simboli di Tiahuanaco, in particolare quelli scolpiti nella Porta del Sole. Attraverso questo studio iconografico, Posnansky interpretò, nella seconda parte del libro, il calendario di 12 mesi, che secondo lui è rappresentato sulla Porta del Sole.
LA DISTRUZIONE DI TIWANAKU E PUMA PUNKU
Non è ancora stato possibile appurare come sia avvenuta la distruzione di Puma Punku e di Tiwanaku. Nel caso di Puma Punku inoltre le devastazioni sono ancora più estese. Le pietre che costituivano la struttura dei numerosi edifici sono sparse nel raggio di oltre 2 chilometri. Sembra il sito di una violentissima esplosione dichiarò l’archeologo italiano Giampaolo Dionisi Piomarta (1886-1939).
Infatti è quasi impossibile riconoscere la struttura degli edifici ed esistono solo poche pietre vicine l’una all’altra, mentre a Tiwanaku sporadicamente è ancora possibile vedere alcuni muri e strutture definite.
Gli studiosi per lo più concordano che a distruggere Puma Punku sia stato un terremoto. Ipotesi del tutto possibile data la posizione geografica in zona altamente sismica del sito, ma poco conciliabile con l’ampio sparpagliamento dei blocchi di pietra rinvenuti nel sito.
Ed inoltre un terremoto così devastante avrebbe dovuto provocare ingenti danni anche a Tiwanaku. Poiché non vi sono segni di distruzione tellurica a Tiwanaku, gli scienziati presumono che Puma Punku sia molto più antica. Ma se si è trattato di un terremoto, come hanno fatto blocchi di pietra pesanti tonnellate a volare e distribuirsi tutto intorno all’epicentro, come se vi fosse stata una gigantesca esplosione? E perché non si è rinvenuto alcun cratere di questa esplosione? Quale energia ha fatto “esplodere” i palazzi di Puma Punku?
Dove sono andati a finire gli uomini e le donne di questa fiorente civiltà?
Probabilmente A partire dall’anno Mille molte colonie di Tiahuanaco furono abbandonate o distrutte. Gli abitanti si rifugiarono probabilmente nei tanti piccoli villaggi che sorgevano in quel periodo nelle stesse valli.
Anche la capitale cominciò a risentire della crisi. La costruzione di nuovi monumenti si fermò e diminuì gradualmente anche il commercio di beni esotici e di lusso. La decadenza durò ancora un secolo, ma nel 1100 la città era ormai spopolata. Probabilmente la sua fortuna fu anche la causa del suo declino. Infatti, molte altre culture andine appresero e fecero proprio il modello statale di Tiahuanaco, copiandone anche i manufatti e le tecniche. In questo modo cambiarono gli equilibri di potere e le vie commerciali, lasciandosi indietro il vecchio dominatore.
PUMA PUNKU OGGI
Puma Punku è stato dichiarato sito UNESCO dal 2000, per il quale “gli edifici di Tiwanaku sono esempi eccezionali di architettura e arte cerimoniale e pubblica di una delle più importanti manifestazioni delle civiltà della regione andina”. Gli scavi al momento sono fermi. Complice di questa situazione di stallo, la sospensione di tutti i permessi di scavo alle istituzioni internazionali e i tagli alla ricerca scientifica apportati dal governo boliviano dal 2010 per ripianare il debito pubblico. Solamente 50 dei 450 ettari sono stati portati alla luce, lasciando aperte molte domande su questo sito.
Ogni 21 giugno (solstizio d’inverno nell’emisfero australe) qui si celebra il Capodanno Aymara o Machaq Mara.
Feste più piccole e tradizionali si tengono il 21 dicembre (solstizio d’estate) e durante gli equinozi di marzo e settembre.
Nel 2010, con un rito ancestrale svoltosi a Tiwanaku, il presidente della Bolivia Evo Morales – il primo presidente indigeno della storia del paese – ricevette gli antichi simboli di «guida spirituale» dei popoli indigeni del suo paese.
Ma questo sito, oggi, è in rovina e le sue vestigia sono sparse sul terreno. Pertanto, possiamo solo immaginare la grandezza e la bellezza di questa città, qualcosa che Edmund Kiss, architetto e archeologo tedesco, ha cercato di catturare nei disegni pubblicati nel suo libro di ricerca su questa città.
CONCLUSIONI
Puma Punku rimane uno dei siti archeologici più intriganti e misteriosi del mondo antico. Sebbene gli studiosi abbiano cercato di decifrare la sua storia e le sue origini, molte domande rimangono senza risposta. La possibilità di una civiltà avanzata o di influenze extraterrestri continua ad alimentare teorie alternative. Puma Punku rappresenta un enigma che, nonostante gli sforzi di ricerca, continua a svelare solo una parte della sua storia, lasciando aperte molte porte alla speculazione e all’interpretazione.
RINGRAZIAMENTI
Con questo sesto episodio si conclude la serie estiva “LE CITTA’ IMPOSSIBILI”, a ridosso dell’equinozio d’autunno del quale stiamo avendo un assaggio, nonostante tutto ciò che affermano i menagrami catastrofisti per i quali – ormai giunti ad un evidente quanto inquietante cortocircuito ideologico – fa freddo a causa del riscaldamento globale (!), provocato dalla tua Panda.
L’Autore coglie l’occasione per ringraziare la testata IQ, il Direttore Editoriale Angela Bernardo e tutta la Redazione per aver permesso la realizzazione di questo progetto editoriale, giunto al secondo anno consecutivo.
Grazie a tutti i lettori che hanno avuto la pazienza e la bontà di seguirmi in questa avventura ai limiti dell’inspiegabile.
“Le Città Impossibili” ci ha permesso di conoscere (per chi non ne aveva mai sentito parlare) e di approfondire (per chi già ne era edotto) dei siti incredibili, che a volte il mondo accademico sembra volutamente ignorare, ma che esistono, sono proprio sotto i nostri occhi e non possiamo non parlarne.
Mentre il mondo intorno a noi ci parla di un passato che pochi conoscono, dovremmo fare un piccolo sforzo per comprendere che la storia, forse, è da riscrivere.
Se ti sei perso gli articoli precedenti…