QN IL GIORNO pag. 25 · 16-02-2019 «L’EURO HA 20 ANNI MA RESISTONO LE DISUGUAGLIANZE»
di ACHILLE COLOMBO CLERICI
L’ euro compie vent’anni. E’ tempo di un bilancio che, al solito, si presenta con luci ed ombre. Vediamo perchè.
Si crede comunemente che la moneta unica sia stata imposta dalla Germania il cui marco forte creava difficoltà alle sue esportazioni. Risponde al vero solo in parte. I Paesi più industrializzati – Germania, Francia, Olanda, e pure l’Italia, tarinata dal Nord – ritennero opportuno coalizzarsi per adeguarsi alla globalizzazione dotandosi di una Banca centrale, bloccando le svalutazioni competitive, mantenendo bassi i tassi di interesse e l’ inflazione. Obiettivi raggiunti. Ma non si pensò a meccanismi di intervento in caso di crisi in quanto era il “totem mercato” che avrebbe premiato i buoni (gli operosi e i parsimoniosi europei del Nord) e punito i cattivi (i meno inclini al rigore dell’Europa del Sud).
Il brusco risveglio dall’utopia avvenne nel 2008 e partì proprio dai templi di Wall Street. La crisi, prima soltanto finanziaria, si trasformò presto in crisi economica: ma mentre gli Stati Uniti inondavano banche e imprese con migliaia di miliardi di dollari, l’Eurozona imponeva, con rigidita’ degna di miglior causa, severe misure restrittive. La distruzione morale e materiale della Grecia servì da esempio agli altri Paesi Pigs: Portogallo, Italia, Spagna.
Il risultato. Contrazione della produzione, fallimento delle imprese, crescita della disoccupazione, caduta dei salari reali, crescita delle povertà e delle disuguaglianze non solo tra Paese e Paese ma anche all’interno di uno stesso Paese, tra città e campagna. E la nascita di un profondo risentimento verso la madre Europa rivelatasi feroce matrigna, che si è tradotto nei cosiddetti populismi. Siamo ancora lontani da un sano equilibrio. In un modello economico export led – basato sulla promozione delle esportazioni – quale è quello europeo, la Germania domina a danno dei Paesi meno forti. Continua ad esportare per il 36% del Pil (nel 2017 1.330 mld di dollari con un Pil di 3.680 mld di dollari) realizzando un surplus commerciale – la differenza tra esportazioni e importazioni – monstre
di 300 mld di dollari. Ma non reinveste, ne’ in consumi (la spesa per i consumi è scesa e oggi si attesta al 54% del Pil, a confronto del 69% in America e del 65% in Gran Bretagna), né in beni strumentali, ne’ nelle infrastrutture. In pratica, questo significa che altri Paesi si stanno depauperando, in particolare Italia, Grecia e Spagna.
In conclusione. L’euro non è né buono né cattivo; è, semplicemente, superato dai rapidi e talvolta tragici (Grande Recessione) cambiamenti che la storia sociale ed economica impone. Esso dunque suppone una Unione Europea diversa, e profonde modificazioni dell’attuale impostazione.