di Cristiano Ottaviani (*)
Ho sempre considerato Marco Pannella un maestro di libertà e democrazia, pur non condividendo quasi nulla della sua cultura iper individualista.
Leader naturale e oratore trascinante, era un grande tribuno capace anche di argomentare con squisita e raffinata intelligenza.
Egocentrico, narciso, prepotente e furbissimo, Pannella riscattava tutti i difetti della sua particolare e straripante personalità con la natura genuina e la calda umanità che lo contraddistingueva. Anche se si sentiva nato per la politica, non era un vero uomo di potere, ma un guru.
Abruzzese, classe 1930, dopo la guerra è un convinto monarchico, difensore dell’italianità di Triste. Leader studentesco partecipa alla scissione della sinistra liberale nei primi anni 50 e venticinquenne è tra i fondatori del primo partito Radicale. Sogna con un gruppo di intellettuali liberaldemocratici e liberalsocialisti di laicizzare l’Italia, sprovincializzandola dal clericalismo cattolico e social/ comunista. In quell’ambiente molto borghese è considerato un “figlio discolo e ribelle”, ma stimato. A metà anni sessanta Pannella raccoglie del partito ciò che resta, divenendone il padre padrone.
Antimilitarista e anticlericale il leader radicale è, dai primi anni settanta, il punto di riferimento della cultura libertaria non marxista.
Si impone sulla scena per la sua originale comunicativa e per i metodi di lotta non violenta in un periodo in cui incombe il terrorismo. Digiuni e iniziative clamorose si accompagnano all’originale struttura di un partito moderno che confedera leghe e associazioni su temi specifici e che, negli anni 80, sarà la prima forza al mondo transpartitica e transnazionale ottenendo persino il riconoscimento Onu.
Pannella è stato l’alfiere del divorzio e dell’aborto. Con maggiore e minore intensità, è stato riferimento degli ecologisti, delle femministe, dei garantisti, del movimento di emancipazione degli omosessuali e di chi si è battuto per la sostituzione del “regime partitocratico” con forme istituzionali autenticamente liberali.
Deputato a 46 anni, ha avuto affianco intellettuali come Pasolini e Sciascia, ma anche pornostar e banditi che hanno sfruttato il suo ingenuo narcisismo. Amico e nemico di Craxi, ne avversa l’involuzione politica e antilibertaria, ma nel 1992 è il primo a difenderlo dall’orda giustizialista.
Crollata la prima repubblica avrebbe potuto essere ministro e sfiora gli esteri quando Berlusconi, di cui fu il primo mentore, ottiene la presidenza nel 1994. Barocco e inconcludente nei disegni politici, quanto abile come uomo d’azione Pannella si fa fautore, da fuori del palazzo, di referendum a favore di un sistema presidenziale, federale e uninominale e delle riforme liberiste, ma non vince più le sue battaglie. La stessa Italia che lo aveva seguito venti anni prima cambiando pelle nella sua antropologia, non lo segue più nella sua, pur modernizzante, visione politica.
Nel 1999 quando passa alla Bonino la leadership, i radicali ottengono un grande successo. E’ una meteora. ma significativa: i temi libertari piacciono, lui non più.
Pannella è stato contemporaneamente, come scrive in un brillante saggio Massimo Teodori, il gurù del Partito Radicale, il leader dei diritti umani e un fine politico liberale e riformista. Non avendo optato però per nessuna di queste sue tre diverse nature le ha lasciate parimenti incompiute.
Oggi tutto l’Occidente è radicale e ciò spiega perché Pannella nell’ultimo saluto ai compagni si congedi dicendo “ la nostra è la cultura che ha vinto”
E’ interessante tuttavia constatare come all’ affermarsi del radicalismo di massa sia corrisposto il declino politico del leader che di questa cultura fu avanguardia e precursore. La mia personalissima idea è che le sue bellissime e condivisibili battaglie a favore del diritto e dei diritti, della democrazia e del capitalismo liberale, così come la sua stessa visione illuministica della vita, su una cultura relativista e edonistica, quale è quella libertaria, non possano trovare vita né radici.
Una volta alla radio, verso le tre di notte, gli sentì raccontare una lezione che aveva appreso dal suo maestro Benedetto Croce: “nel 40 i tedeschi non furono fermati dai francesi che avevano la repubblica, ma dagli inglesi sudditi del Re”. Pannella, simpatizzante di Casa Savoia, riduttivamente aveva interpretato quella frase come elogio di un’istituzione a discapito di un’altra, ma il filosofo liberale avrebbe potuto benissimo citare come esempio, al posto degli indomiti sudditi di sua maestà, gli Usa di Roosevelt o la resistenza francese del generale De Gaulle. Croce infatti non si riferiva alla monarchia ma alla contrapposizione tra moderno laicismo e la solida laicità della tradizione occidentale; l’unica a suo avviso in grado di difendersi dalle invasioni barbariche che sempre incombono.
Pannella, tribuno con la forza di un Danton e l’intelligenza politica di un Gobetti, aveva titanicamente creato un mondo troppo piccolo per lui.
Se fosse vissuto nel Risorgimento avrebbe combattuto affianco a Garibaldi e se fosse stato adulto nel fascismo forse sarebbe morto comandante partigiano.
Penso che persino in America avrebbe potuto essere un reverendo protestante, leader dei diritti civili, come Martin Luther King.
Ma Pannella ha avuto il torto di nascere non solo in una terra sbagliata, ma in un’epoca consumistica ed edonistica che non sa più riconoscere gli eroi e che non poteva essere pienamente piu anche grazie a lui, la sua. Come per Churchill energia e poesia lo riassumevano tutto. Il rimpianto è che la rivoluzione liberale, l’unica desiderabile, che in lui avrebbe potuto avere artefice e guida, ancora attende, forse alla ricerca di una nuova formula e e di originale alchimia.
Oggi però tace il tempo, e la storia saluta Marco Pannella riconoscendo in lui non un comprimario, ma uno dei pochi veri protagonista.
(*) Giornalista Pubblicista – Vicecaporedattore Informazione Quotidiana