“Rispetto”.
Del voto dei cittadini. Di uno dei paesi fondatori dell’Europa unita. Il terzo per economia e popolazione. E quello con il governo “più stabile”. Giorgia Meloni non nasconde in Parlamento la sua irritazione per l’intesa sui nuovi vertici europei trovata a tre, tra popolari, socialisti e liberali, che certo non è “democrazia”, visto che peraltro sono i conservatori il terzo gruppo della nuova Eurocamera. Contesta il “metodo e il merito” delle scelte, e si dice pronta a “tornare a sottolinearlo” anche alla riunione del Consiglio europeo chiamato a esprimersi sui cosiddetti top jobs.
Se non una dichiarazione di guerra, poco ci manca. Difficile, se non ci saranno cambiamenti del quadro nelle prossime ore, che il dissenso italiano si possa trasformare in un sì al pacchetto di nomine, con la carta dell’astensione pronta sul tavolo che sarebbe clamorosa e senza precedenti per l’Italia. E che certo complicherebbe la strada a un bis di Ursula von der Leyen appeso, ripete più volte la premier, a una “maggioranza fragile” e che è tutta da dimostrare al momento del voto (segreto) dell’europarlamento. Lo scenario preoccupa non poco Antonio Tajani, che da giorni spinge perché la sua famiglia europea, il Ppe, apra a Ecr. “E’ chiaro che Meloni deve puntare i piedi”, dice il vicepremier e leader di Fi, ma, ricorda, “non è solo il capo di Ecr è anche il presidente del Consiglio di un governo dove c’è anche il Ppe dentro”. Gli azzurri, insiste, voteranno “sì al pacchetto attuale, non credo che l’Italia possa votare no”.
Al termine dei lavori in Senato si è tenuta una riunione per mettere a punto la strategia del governo italiano: secondo quanto si apprende la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha fatto il punto con i due vicepremier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, in vista del Consiglio europeo che prenderà il via domani a Bruxelles.
Ma alla fine della giornata tutte le bocche sono cucite, Meloni lascia il Parlamento senza farsi incrociare dai cronisti e l’esito della partita resta incerto. L’Italia deve vedere riconosciuto un ruolo che “le spetta di diritto”, mette in chiaro la premier. “Non si può prescindere dall’Italia”, sembra farle eco il presidente della Repubblica nel consueto pranzo che precede la partenza per Bruxelles. Sergio Mattarella, pur facendo presente che non è tra i suoi compiti entrare nelle dinamiche politiche Ue di questi giorni, guarda con preoccupazione l’eccessiva conflittualità continentale e un ruolo marginale per il Paese.
Nei 45 minuti del suo discorso Meloni, la voce affaticata come ammette lei stessa, si scaglia contro le “logiche di caminetto” che hanno prevalso nonostante “dai cittadini sia arrivata una indicazione chiara” per quel “cambio di passo” che si deve vedere nelle politiche, certo, ma che parte soprattutto dal “rispetto” di quel voto. “La logica del consenso viene scavalcata, una parte decide per tutti” in una “conventio ad excludendum che a nome del governo italiano ho contestato e non intendo condividere”, scandisce in Aula. Quando “sono stati immaginati” gli incarichi di vertice “sono stati pensati neutrali” non nella logica “maggioranza/opposizione” che si sta utilizzando in queste ore, è il ragionamento della premier che, assicura non farà “la cheerleader” di nessuno ma difenderà “l’interesse nazionale”.
E anche “senza andare in giro con il cappello in mano l’Italia porterà a casa quello che le spetta. Indipendentemente dal fatto che io dirò sempre quello che penso”, si dice sicura Meloni, che punta, e non lo nasconde, a fare “anche meglio” rispetto al posizionamento italiano dell’ultima legislatura. Il riferimento è al portafoglio di Paolo Gentiloni che, non mancano di sottolineare i suoi, certo aveva gli Affari economici ma “con sopra un vicepresidente esecutivo”. A questo mirerebbe Roma e proprio su questo si potrebbe essere incagliata la trattativa.
I contatti – che la premier avrebbe avuto con tutti i leader europei in questi ultimi giorni – continuano turbinosi. Le deleghe – che nel caso potrebbero essere affidate a Raffaele Fitto – non sarebbero ancora stabili. E pure sull’agenda servono garanzie, che per ora sono arrivate solo sui migranti, con la missiva inviata ai leader proprio da von der Leyen. Ci sono le politiche green da ripensare ma anche molte regole da rivedere perché la Ue non sia più solamente quel “gigante burocratico” che ha allontanato i cittadini, come ha dimostrato “l’astensionismo”. In questa direzione, lancia una proposta la premier, potrebbe essere quello di istituire “una delega specifica alla sburocratizzazione” per “disboscare la selva burocratica e amministrativa che finisce per essere un percorso a ostacoli che penalizza le imprese”. Potrebbe essere “un segnale”. Che, almeno per ora, comunque non è arrivato.
Fonte: ANSA.IT