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Mostra del Cinema di Venezia: convince a metà il film su Maria Callas con Angelina Jolie.

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Alla Mostra del Cinema di Venezia, caratterizzata come sempre da una faticosa macchina organizzativa e dal consueto caos per quanto riguarda posti e biglietti, è stato presentato in concorso il film Maria di Pablo Larraín. Il regista cileno completa così una trilogia dedicata a tre iconiche figure femminili del ventesimo secolo, Jacqueline Kennedy, Lady Diana e Maria Callas, in lotta per l’affermazione della propria identità e fissate nel momento in cui si trovano sull’orlo del precipizio.

Della grande cantante greco-americana, si racconta l’ultima settimana di vita, nell’elegante appartamento parigino in Avenue Georges Mandel. La Callas, ormai già mito universale, è in preda ad allucinazioni e ricordi. L’uso dei sedativi l’ha resa totalmente dipendente dai farmaci e vive nel rimpianto dell’amore perduto (Onassis che l’ha prima lasciata per sposare Jacqueline Kennedy e poi è morto) e con il distruttivo desiderio di recuperare la voce perduta. Quasi fosse Antonia dei Racconti di Hoffmann, si ostina, di fatto, a cantare fino a morirne. Nei flashback in bianco e nero sono rievocati gli incontri con Onassis e alcune affermazioni teatrali, scaligere e internazionali. Si accenna anche all’adolescenza difficile della fragile Maria che la madre Evangelia sfrutta non solo artisticamente, ma gettandola nelle braccia degli occupanti tedeschi nella Grecia degli anni Quaranta. Nessun rapporto tuttavia è realmente approfondito, né quello con il magnate greco, né quelli familiari: la sorella Yakinthy è quasi ridotta a una pusher che fornisce i barbiturici alla diva che non può più calcare le scene. Nemmeno il gioco, tra fantasia e realtà, di un’ultima intervista aggiunge davvero mordente alla storia.

Ancora una volta le ragioni della grandezza di Maria Callas e della sua unicità non emergono sul grande schermo e non si esce in sostanza dallo stereotipo della donna depressa perché ha perso la voce, l’amore, e della quale si può narrare solo il precoce declino. A fare qualcosa di diverso non era riuscito Franco Zeffirelli con il suo Callas forever, pur avvalendosi della brava Fanny Ardant, e non ci riesce ora Larraín con Angelina Jolie, che pur offrendo nel complesso una buona prova d’attrice, convince solo a metà perché la sceneggiatura è deficitaria, il film è lento e la recitazione rimane costantemente abulica. Jolie fisicamente rimane se stessa e non c’è una volontà mimetica, a parte gli occhiali da miope o i vestiti e i costumi effettivamente indossati dalla cantante. Nelle due ore della proiezione non si scopre nulla che non sia già stato detto e ciò che già si conosceva rimane immerso in un torpore privo d’emozione. Quando negli ultimi minuti del film si vede davvero la Callas in immagini d’epoca, lo schermo sembra improvvisamente illuminarsi, ma ormai è troppo tardi.

Chi era davvero la Callas? Difficile a dirsi in poche parole, certamente la più grande cantante-attrice del secolo scorso, un’artista sempre attuale perché il suo gusto e il suo stile non sono datati e appartengono al nostro tempo. Sconvolse tutte le convenzioni teatrali lasciando un segno del suo genio non solo in ambito musicale, grazie anche alle sue frequentazioni, da Luchino Visconti a Pier Paolo Pasolini. Conciliò repertori apparentemente opposti cantando opere di Rossini e Wagner, e come attrice riformò il teatro novecentesco. Il suo gesto, pur legato alla tradizione melodrammatica, nella cura del dettaglio, nella misura espressiva, appare moderno, “cinematografico”. Gli occhi e le mani diventano tutt’uno con l’inconfondibile timbro vocale. Le sue emissioni a volte asprigne e anche gutturali ci comunicano tutta l’ansia d’inconfondibili eroine femminili, nelle quali si sentono gli echi di una sofferente infanzia.

Ad Angelina Jolie riconosciamo comunque lo sforzo compiuto e la dedizione con cui ha studiato canto per alcuni mesi per offrire la voce agli inutili tentativi della Callas di recuperare il suono perduto. Il maggiordomo-autista Ferruccio, costretto a spostare in continuazione un pianoforte a coda da una sala all’altra dell’appartamento, è un premuroso e remissivo Pierfrancesco Favino, mentre la domestica Bruna, che mentre cuoce una omelette deve offrire il suo parere sullo stato vocale della padrona, è una credibile Alba Rohrwacher. Ricordiamo ancora Valeria Golino, adeguata nella piccola parte della sorella della Callas, Haluk Bilginer, uno sprezzante Onassis, e il veneziano Alessandro Bressanello, convincente nelle poche battute affidate a Meneghini, marito-pigmalione della Callas.

Mario Merigo

Fonte: connessiallopera.it

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