di Matteo Spagnuolo
“Nulla avviene per caos” (Rudis Edizioni) è il nuovo libro scritto dal cosentino Attilio Palermo, al suo terzo romanzo. Si tratta di un libro diverso rispetto agli altri scritti fino ad ora, in primo luogo per l’ispirazione, in secondo luogo perché è un romanzo di formazione. L’autore racconta la realtà, intrisa di luce, di sogni e di zone d’ombra, tipiche del tempo passato e rivisitate nel presente, in cui ricorda aneddoti, storie, rimettendo in auge pensieri, parole, emozioni e sensazioni, ancora vive nell’animo dei personaggi, ma sopite dalla stanchezza del quotidiano, un quotidiano che necessita di una rispolverata d’aria fresca, la cosiddetta “ventata d’aria”, in grado di ricollocare ognuno al suo posto: solo così i sogni potranno diventare realtà e segno vivido di un’esistenza che scorre attraverso il tempo.
Nel testo possiamo annoverare temi cari all’autore, quali: lo scorrere del tempo, la lotta tra presente e passato in una corsa verso il futuro che attende, e l’incompiutezza di alcune azioni umane, spesso bloccate da eventi o catastrofi del nostro tempo.
Di seguito l’intervista all’autore
Quanto della tua vita reale è presente in questo libro? Riassumi, inoltre, cosa ha significato per te scrivere quest’opera?
Credo che ogni prodotto creativo, si tratti di musica, letteratura, arte figurativa o scultura, contenga in sé un po’ dell’autore che lo ha creato. Questo romanzo nasce da quell’abisso interiore che fa da spartiacque tra l’essere ragazzo e il diventare uomo, tra un mondo fatto di frivolezze e la vita reale, fatta di problemi reali da affrontare e superare.
La scelta del titolo è stata semplice o hai combattuto con te stesso per decretare il titolo finale. Raccontaci in breve di cosa parla?
Il titolo è coerente con una mia personale scelta, ovvero, intitolare l’opera adoperando dei giochi di parole che possano richiamarne il contenuto, la trama dell’opera stessa. Così come successo per i precedenti romanzi: ’90, allora… e Cambio di resilienza.
La storia de “Nulla avviene per caos” è ambientata negli anni 2000. C’è un motivo?
La storia tra contesto narrativo e flashback attraversa un arco temporale che va dal 2001 al 2003. Ciò rappresenta e rispecchia semplicemente la contemporaneità narrativa del periodo in cui ho scritto questo romando, iniziato nelle vacanze di Natale del 2000 e terminato nei primi mesi del 2003. Pubblicato dopo quasi 20 anni!
Attraverso i tuoi lavori, dal teatro alla scrittura, hai toccato vari tipi di narrazione. Quale genere prediligi?
La narrativa pura, ti permette di dare più spazio alla tua interiorità, di espanderla. Nel teatro, nella drammaturgia, specialmente nel tipo di scrittura teatrale di cui mi sto occupando con più assiduità da un po’ di tempo a questa parte – il musical – si è costretti a concentrare la propria espressività in spazi limitati, che possono essere le battute di un copione o le strofe di una canzone. Ad ogni modo, amo in egual misura entrambi i tipi di scrittura.
Cosa hai provato quando il tuo lavoro ha preso corpo, divenendo un libro?
Vedere il proprio libro stampato è come vedere un figlio venire al mondo. Senti di aver compiuto qualcosa, di aver lasciato un segno tangibile di te stesso su questa terra. Poi la copertina, disegnata dall’artista e tatuatore Andrea Capitolino sembra renderlo una piccola opera d’arte. Preziosa.
Hai qualche ringraziamento?
Ringrazierei l’Attilio di vent’anni fa, che non ha ceduto al fascino di quell’abisso in cui la quotidianità lo stava trascinando e ha trasportato le proprie emozioni, positive o negative che fossero, in un manoscritto (digitale) rendendolo un romanzo.
Il tuo prossimo libro?
Forse non sarà bello e pregno di emozioni come questo. Commercialmente parlando, forse non è la dichiarazione migliore da fare!
Vuoi lanciare un messaggio ai tuoi lettori? Perché dovrebbero leggerti?
Quella narrata è una storia di rinascita conseguente ad una scelta: quella di svegliarsi dal torpore apatico dato dal dolore, è il volersi confrontare con sé stessi attraverso le esperienze degli altri, è il comprendere che per quanto ingiusta e brutale possa essere, la vita va vissuta, perché è l’unica e sola certezza tangibile che abbiamo.