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Parte la sfida alla Cina.

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Parte dalla Cornovaglia la sfida a Pechino voluta dal presidente statunitense Joe Biden e fatta propria, anche se con toni più moderati, dagli altri 6 paesi occidentali del G7. Non solo con le parole di condanna del lavoro forzato e delle violazioni dei diritti umani e nel tornare a chiedere un’indagine internazionale sulle origini del virus, dalla Cornovaglia parte anche la sfida alla Nuova via della Seta, con un consistente piano infrastrutturale alternativo a quello cinese. L’iniziativa – americana – prenderà il nome di ‘Build Back Better World (B3W)’, ed è una scossa per Pechino, di fatto una contromossa dell’America – affiancata da Italia, Francia, Canada, Germania, Giappone, Regno Unito – alla competizione economica del Dragone. Una situazione delicata e potenzialmente imbarazzante per l’Italia, l’unico paese occidentale a siglare, nel marzo del 2019, accordi sulla via della Seta, col primo governo Conte. Ma Mario Draghi, in conferenza stampa al termine del G7, non esclude che quegli accordi possano essere rivisti. In sintesi, smantellati. Il memorandum siglato nel 2019, con tanto di liste lunghissime di singole intese tra i due Paesi “non è stato mai menzionato, nessun accenno” durante il G7, assicura il presidente del Consiglio. “Per quanto riguarda l’atto specifico, lo esamineremo con attenzione…”, annuncia.  “Sulla Cina si è scritto tanto della nostra posizione – dice Draghi richiamando le indiscrezioni che lo descrivevano ‘freddo’, assieme alla cancelliera Angela Merkel e ai vertici Ue, sull’accelerazione impressa dagli States contro Pechino – si è parlato di divisioni ma io credo che il comunicato rifletta la posizione non nostra ma quella di tutti, in particolare rispetto alla Cina e alle altre autocrazie”. Del resto, aggiunge Draghi: “il comunicato finale riflette perfettamente la nostra posizione sulla Cina, che deve essere fondato su tre principi: cooperazione, competizione, franchezza”. Due mesi fa ci fu il primo veto imposto con il golden power. Il premier Mario Draghi ha annunciato di aver impedito la vendita del 70% di una azienda italiana attiva nel settore dei semiconduttori a una società cinese. Un autentico sbarbo a Pechino, e già in precedenza l’esecutivo aveva imposto prescrizioni su contratti di fornitura di tecnologia 5G ad aziende italiane come Linkem e Fastweb da parte di società del dragone come Zte e Huawei. 

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