Era il 1989, e un amico mi propose di andare a vedere al cinema “Indiana Jones e l’Ultima Crociata”. Da appassionato delle avventure dell’archeologo creato da George Lucas, non me lo feci ripetere due volte. La ricerca del Santo Graal e il tema dei Templari erano gli ingredienti del film, argomenti che sarebbero divenuti popolarissimi anni dopo. Le mirabolanti avventure dell’iconico personaggio, e del suo ancor più iconico outfit – frusta, cappello Fedora, borsa e giacca di pelle – lo portano nel luogo in cui il Graal era custodito, ad Alessandretta, in Turchia. I protagonisti, tra cui un indimenticabile e rimpianto Sean Connery nei panni del padre di Indiana, percorrono una buia e stretta gola che pare interminabile alla fine della quale si apre un imponente e maestoso edificio con la facciata scavata nella roccia! Inutile dire che rimanemmo tutti a bocca aperta. Ci chiedemmo se quell’edificio fosse reale o un set appositamente costruito.
Incuriosito dalla faccenda, e dopo aver calorosamente applaudito il film, tornato a casa decisi di approfondire la questione. Avevo 21 anni, e nonostante una già fornita biblioteca storico-archeologica, riuscii a trovare solo notizie scarne ed occasionali, del tipo che il monumento si trovava a Petra, in Giordania, e che Petra era la capitale dei Nabatei. Un po’ poco, vero? Oggi trovare notizie sul web sembra normale, ma all’epoca no: il web sarebbe nato due anni più tardi presso il CERN di Ginevra e diffuso non prima degli anni 2000.
Nonostante fosse stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità già dal 1985 Petra era praticamente sconosciuta. Se ora è la principale destinazione turistica della Giordania, che attrae centinaia di migliaia di visitatori all’anno, lo dobbiamo proprio al film di Indiana Jones, che ha drammatizzato il sito per un pubblico mondiale e lo ha reso popolare, anche presso il sottoscritto.
Il trattato di pace del 1994 tra Giordania e Israele ha reso possibile il turismo di massa. Gli stranieri hanno iniziato a venire a Petra e gli ebrei devoti hanno iniziato a fare pellegrinaggi al vicino Jebel Haroun, che, secondo la tradizione, è il sito della tomba del profeta Aronne. Il vicino villaggio di Wadi Musa è stato trasformato da un insieme sparso di case fatiscenti in mattoni di fango in una città in piena espansione di hotel (Il “Cleopetra”- non è un errore: si chiama proprio così) e negozi (l’”Indiana Jones Gift Shop” – ovvio, no?). Petra è stata anche una delle principali contendenti in un concorso internazionale per nominare le Nuove Sette Meraviglie del Mondo, risultando una delle vincitrici insieme al nostro Colosseo. Non male per un sito fino a poco tempo fa praticamente sconosciuto. E, tra i monumenti ormai iconici e le nuove, recentissime scoperte di cui parleremo più avanti, la magica città dei Nabatei continua a regalarci emozioni.
A questo punto, direi di andare a visitare Petra e le sue meraviglie, in questo nuovo articolo della “Stele di Rosetta”, in esclusiva per IQ.
TABELLA DEI CONTENUTI
IL DECLINO COMMERCIALE E POLITICO DI PETRA
I NABATEI, UN POPOLO MISTERIOSO
LE PRIME MISSIONI ARCHEOLOGICHE
UN TESORO IN PERICOLO? LE INONDAZIONI
UN PO’ DI STORIA
Petra edomita
Petra è situata a metà strada tra il Golfo di Aqaba e il Mar Morto, a un’altitudine tra 800 e 1396 metri s.l.m. (l’area urbana si situa intorno ai 900 m) nella regione montagnosa di Edom a est del Wadi Araba, a circa tre ore di strada da Amman. La città più vicina è Wadi Musa.
La posizione e la disponibilità di acqua fecero questo luogo propizio allo sviluppo e alla prosperità di una città. È accessibile solo da nord-ovest, attraverso uno stretto sentiero di montagna, e da est attraverso un canyon lungo circa 1,5 km e profondo fino a 200 metri, il Sîq, che ospitava la principale strada di accesso.
Nell’antichità fu prima una città edomita, abitata cioè dai nomadi razziatori discendenti ebrei di Esaù. Secondo Léon de Laborde le prime tracce di insediamenti stabili edomiti nel sito di Petra sono collocabili tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII secolo a.C. Essi scelsero di installarsi sulle colline vicine al sito di Petra, tra cui Umm al-Beira (cioè «la Madre delle Cisterne», così chiamata perché sulla sommità ve ne sono effettivamente molte). Costruttori in pietra, gli Edomiti, molto abili anche nell’arte fittile, e giunsero a dominare tutta la regione. Secondo la Bibbia questo popolo avrebbe ostacolato il passaggio di Mosè al momento dell’Esodo, in quanto discendente di Esaù, il fratello-nemico di Giacobbe.
Petra nabatea
Il periodo in cui i Nabatei, popolazione nomade araba proveniente dalla penisola araba occidentale, cominciarono a insediarsi a Petra, risale probabilmente al VI secolo a.C. quando gli Edomiti, sotto la pressione dei Nabatei, l’abbandonarono per installarsi nella regione di Hebron.
Dopo che gli Edomiti avevano abbandonato il sito, i Nabatei vi si stanziarono stabilmente e, a seguito di accordi commerciali con le altre popolazioni limitrofe, con le ricchezze accumulate negli anni successivi costruirono la città di Petra rendendola un centro importante. Il periodo nabateo è documentato meglio delle altre epoche dell’antichità, ma la maggior parte dei documenti originali (scritti su papiro e altri supporti deperibili) è andata distrutta e le fonti dell’epoca sono rare: ciò che ci resta per cercar di comprendere la storia di quest’epoca sono date di eventi incise nell’arenaria delle mura della città e le tappe di costruzione dei monumenti.
Dagli Assiri ai Tolomei
Le prime notizie storiche della città risalgono alla sua conquista da parte degli Assiri di Assurbanipal nel 647 a.C. che sconfisse i nomadi arabi da cui i Nabatei traggono origine.
Nel 612 a.C. con la definitiva caduta dell’Assiria, la città diventò tributaria del regno dei Caldei di Babilonia, al tempo del re Nabucodonosor.
Nell’autunno del 538 a.C. la città passò sotto il controllo di Ciro il Grande, imperatore di Persia.
Durante il IV secolo a.C. la città si estendeva su oltre 10 km², ed era nota per la produzione di ceramiche di alta qualità, tecnologia certamente ricevuta dagli Edomiti.
Tra la fine del IV e l’inizio del II secolo a.C. i Nabatei sembrano del tutto indipendenti, malgrado i Tolomei dominino su tutta la regione, anzi verso la fine del III secolo a.C. i Nabatei sostennero Antioco III, che respinse i Tolomei verso sud.
Il regno nabateo: Obodas I
Tra la prima metà del II secolo a.C. e la definitiva conquista romana, del 106 d.C., i Nabatei si riorganizzarono in regno.
Una figura di cui si hanno notizie più dettagliate è il re Obodas I (probabilmente ʿUbayda, 96 a.C.-85 a.C.), che sconfisse il sovrano asmoneo Alessandro Ianneo sull’altopiano del Golan tra il 93 e il 90 a.C., mettendo fine alle mire espansionistiche degli Asmonei sul suo regno, e anzi impadronendosi per qualche anno dei paesi di Moab e di Galaad a est del Giordano; sconfisse anche Antioco XII Seleucide nell’85 a.C. I Nabatei, alla sua morte, lo divinizzarono creando un culto e costruendo il Deir in suo onore.
Approfittando del declino del regno dei Seleucidi per opera di Roma, i Nabatei estendono il loro dominio (80 a.C.) al nord fino a Carchemish sull’Eufrate e Palmira, e a sud fino ad al-Hijr (l’attuale Mada’in Salih).
Areta III
Il figlio di Obodas I, Areta III (probabilmente al-Ḥārith), estese il potere dei Nabatei fino a Damasco. E quando arrivarono i Romani, guidati da Pompeo, riuscì a corromperli con un favoloso tributo in argento (62 a.C.), mantenendo l’indipendenza formale del regno, pur subendo l’influsso culturale dei nuovi dominatori della regione, come si può vedere dagli edifici e dalle monete del periodo di chiara ispirazione greco-romana.
Malichus I tra Romani e Giudei
Sotto il regno di Malichus I, nel 41 a.C., dopo che i Parti, guidati da Quinto Labieno, avevano invaso la Siria, il regno nabateo appoggiò i Parti contro Roma e il suo alleato, Erode il Grande, nominato re di Giudea dai Romani contro l’attuale re, Antigono l’Asmoneo. Ma dopo la sconfitta e la morte di Quinto Labieno (39 a.C.) e la definitiva esecuzione di Antigono, nel 37 a.C., Malichus I divenne tributario di Roma e di Erode, che, per il tardato pagamento del tributo, prima invasero il regno nabateo e, nel 31 a.C., occuparono buona parte del territorio del regno.
Obodas III vassallo di Erode il Grande
Durante il regno di Obodas III (dal 30 al 9 a.C.), successore di Malichus I (probabilmente Malik), il regno nabateo divenne vassallo del re di Giudea, Erode il Grande, mentre i Romani, dopo aver conquistato l’Egitto, tentarono di scoprire la fonte delle spezie e dei profumi che i Nabatei commerciavano, per scavalcare la loro intermediazione, ma diverse spedizioni romane verso l’Arabia Felix furono messe in scacco dal re di Petra, tra cui quella del prefetto d’Egitto Gaio Elio Gallo del 25-24 a.C. Ritornata la pace, a quel periodo risale l’inizio della costruzione delle tombe e dei templi di Petra.
L’APOGEO DI PETRA
Col successore di Obodas III, Areta IV, che regnò dal 9 a.C. al 40 d.C. la città raggiunse la sua maggiore prosperità e l’apogeo della propria fortuna. In quel periodo avrebbe avuto circa 30 000 abitanti, che altre fonti stimano da 20 000 a 40 000, tra cui spiccavano scribi (i Nabatei avevano una propria scrittura in corsivo, precorritrice dell’arabo) e ingegneri idraulici (per la costruzione di dighe, cisterne, canali e tubazioni per imbrigliare, controllare e conservare l’acqua).
La ricchezza di Petra aveva origine nel commercio carovaniero. Fino a sette vie confluivano nella città del deserto, da dove transitavano i prodotti destinati ad Alessandria, Gerusalemme, Damasco, Apamea (nell’odierna Siria) e molte altre città. Le fonti letterarie, come il Periplo del mar Eritreo (un testo anonimo risalente probabilmente al I secolo d.C.) e Plinio, descrivono dettagliatamente le ingenti tasse a cui erano soggette le merci che circolavano attraverso il regno nabateo, riportando cifre che si aggirano addirittura tra il venticinque e il cinquanta per cento del loro prezzo. Questo carico fiscale, insieme all’elevato valore dei prodotti commercializzati, come seta, bitume, incenso, spezie o mirra, e all’enorme quantità di merce trasportata, permettono di comprendere lo splendore raggiunto dal regno nabateo, che si avvantaggiò inoltre del fiorire dei commerci incentivato dalla pax romana di Augusto.
La città si era sviluppata soprattutto grazie al commercio sulla via dell’incenso. Si trattava di un tracciato carovaniero storico che partiva dallo Yemen, lungo la costa occidentale della Penisola araba, e a Petra si biforcava in una via nord-occidentale che portava a Gaza, e in una nord-orientale verso Damasco.
La disponibilità d’acqua e la sicurezza fecero di Petra il luogo d’elezione per la sosta all’incrocio di varie vie carovaniere che collegavano l’Egitto alla Siria e l’Arabia del sud al Mediterraneo, lungo le quali si svolgeva principalmente il commercio di prodotti di lusso – spezie e seta provenienti dall’India, perle del Mar Rosso e incenso dal sud dell’Arabia (risorsa particolarmente preziosa in quanto la resina della Boswellia era apprezzatissima nel mondo antico sia come offerta religiosa di gran pregio, sia come medicamento).
Intermediazione commerciale, acqua, ospitalità e diritti di dogana fornivano ai Nabatei forti guadagni, e la città fu sede per quasi un millennio, dal VI secolo a.C. al III secolo d.C., di un grande mercato, raggiungendo l’apogeo verso la metà del I secolo d.C.
IL DECLINO COMMERCIALE E POLITICO DI PETRA
Col successore di Areta IV, Malichus II (40-70), l’importanza di Petra cominciò a diminuire in quanto i Romani erano riusciti a spostare il commercio delle spezie e dei profumi verso l’Egitto. Il regno nabateo perse il controllo di Damasco.
Infine, con l’ultimo re, Rabbel II (70-106), Petra perse completamente il suo potere commerciale a vantaggio di Palmira, che in breve tempo riuscì ad assicurarsi tutti i commerci della via della seta e del Golfo Persico e dei traffici marittimi del Mar Rosso che si collegavano con l’Egitto e il mar Mediterraneo, senza transitare da Petra, che perse anche importanza politica nei confronti della seconda capitale del regno, Bosra.
Attorno a Petra era sorta una decapoli (confederazione di dieci città-stato) che Roma non riuscì a conquistare fino al 106 quando, dopo la morte del re nabateo Rabbel II, senza combattere, il regno fu annesso all’impero da Cornelio Palma, governatore di Siria, per ordine di Traiano. Questi porrà a Bosra, divenuta in fretta la seconda città nabatea e rinominata Nova Traiana Bosra, la capitale della nuova provincia di Arabia, che ebbe appunto il nome di Arabia Petraea, mentre Petra ricevette il titolo onorifico di metropoli. Qualche anno dopo, nel 114, Petra divenne una delle basi per gli attacchi dei Romani contro i Parti, a est.
Il fatto che i Romani prendessero possesso delle vie commerciali diede un colpo fatale a Petra e ai Nabatei, in quanto le vie commerciali non passavano più per la città. Dopo l’occupazione romana ci furono ancora carovane che sostavano a Petra, ma divennero sempre più rare, malgrado la costruzione di una strada di 400 chilometri che collegava Bosra, Petra e il Golfo di Aqaba.
L’imperatore Adriano visitò Petra nel 130, e la città fu rinominata, in suo onore, Petra Hadriana.
L’ultimo periodo prospero
Lo sviluppo urbanistico della città rivela che la Pax Romana le portò tuttavia un periodo prospero. Con la riorganizzazione dell’impero voluta da Diocleziano Petra divenne capitale di una delle tre parti in cui era divisa la Provincia di Palestina, che fu detta Palaestina salutaris e in seguito detta Palaestina taertia.
PETRA E IL CRISTIANESIMO
Il Cristianesimo giunse a Petra verso il IV secolo, dopo che Costantino I ebbe fatto di Costantinopoli la sua nuova capitale, e cominciato a favorire la diffusione della nuova religione. Gli abitanti della città rimasero fedeli ai propri dei per molto tempo, tuttavia già nel 350 Atanasio di Alessandria menziona un vescovo di Petra di nome Asterio, pertanto la città era sede vescovile.
Nel V secolo a Petra sorgono diverse chiese: risalgono a questo periodo l’utilizzo come chiesa del Deir, che diventa una specie di cattedrale nel 446, tracce di croci sui muri di molte tombe a nord della città (che indicano tombe cristiane), e altre tre chiese scoperte durante scavi.
IL COLPO FINALE: I TERREMOTI
Un forte terremoto colpì Petra il 19 maggio del 363, danneggiando i monumenti – tra cui il teatro – e gli acquedotti. Il vescovo di Gerusalemme, Cirillo, ne testimonia in una sua lettera la data e le due scosse che semi distrussero la città, che – già impoverita dal dominio romano – da quella rovina non si sollevò più e andò lentamente svuotandosi.
Un secondo terremoto, nel 551, danneggiò ulteriormente la città, che già stava cadendo nell’oblio.
Nel 749 l’ennesimo terremoto spopola Petra quasi completamente.
LA CONQUISTA ISLAMICA
La conquista islamica che attraversa la regione tra il 629 e il 632 sembra aver ignorato Petra, la cui ultima menzione si trova in un testo scritto dal suo vescovo Antenogene tra la fine del V e l’inizio del VI secolo.
L’impatto della conquista musulmana è poco chiaro, e fu probabilmente ridotto dalla storica tolleranza mostrata dall’Islam primitivo verso il cristianesimo. Del resto il lento esodo degli abitanti aveva ridotto la città, agli inizi dell’VIII secolo, a un villaggio.
La zona fu infine conquistata dai Crociati Franchi, che vi eressero alcuni castelli, tra cui le fortezze di al-Wu’ayrah e al-Habis. La città rimase nelle mani dei crociati fino al 1189, dopo che il Saladino ebbe sconfitto definitivamente i Crociati del Regno di Gerusalemme alla Battaglia di Hattin, nel 1187. Dopodiché, si hanno notizie di Petra da un pellegrino tedesco che dice di esservi passato nel 1217, e per il passaggio del sultano mamelucco Baibars al-Bunduqdari nel 1276.
È l’ultima notizia storica di Petra prima della sua riscoperta nel 1812, dopo un oblio di più di cinque secoli, giacché i nomadi incominciarono a considerare la città infestata dai demoni (tanto che l’arco di pietra sito all’entrata della gola rocciosa, crollato nel 1896 veniva chiamato “Il ponte del diavolo”).
I NABATEI, UN POPOLO MISTERIOSO
L’origine dei Nabatei rimane oscura. Basandosi su una somiglianza fonetica, Gerolamo (347-420) suggerisce un collegamento con la tribù dei Nebaioth ricordata nel Libro dei Popoli della Genesi, ma storici moderni sono prudenti circa l’antica storia nabatea.
I riferimenti di età classica sui Nabatei fanno pensare che le loro rotte mercantili e la provenienza delle merci fossero considerate un segreto, camuffato in racconti in grado di confondere i forestieri. Diodoro Siculo li descrive come una tribù forte di circa 10.000 guerrieri, in grado di dominare i nomadi dell’Arabia, non interessati all’agricoltura, alle dimore fisse e al vino ma, oltre all’allevamento, coinvolti in traffici che consentivano alti profitti con gli empori che commerciavano il franchincenso, la mirra e spezie provenienti dall’Arabia Felix, oggi Yemen, come pure ai commerci con l’Egitto riguardanti il bitume proveniente dal Mar Morto. Le loro contrade, aride, erano la miglior difesa per la loro amata libertà, grazie alle ampie cisterne che raccoglievano l’acqua piovana, scavate nella roccia o nell’argilla, nascoste agli occhi dei potenziali invasori.
Al momento dell’inizio della loro storia documentabile i Nabatei avevano già subito processi di acculturazione grazie alla cultura aramaica; scrissero una lettera ad Antigono in caratteri siriaci, e la lingua aramaica fu la lingua delle loro monete ed epigrafi quando la struttura tribale lasciò posto alla monarchia.
Sotto la Pax Romana persero le loro abitudini guerriere e nomadi e divennero un popolo sobrio, accumulatore e ordinato, totalmente dedito al commercio e all’agricoltura. Il loro inserimento nei traffici marittimi mediterranei della prima età imperiale è attestato anche dalla presenza di un santuario nel cuore del porto di Puteoli (Pozzuoli), il maggior scalo commerciale del tempo. Il tempio dedicato al dio supremo Dushara, oggi sommerso per effetto del bradisismo dei Campi Flegrei, è attualmente oggetto di approfondite ricerche archeologiche subacquee e conserva ancora altari e iscrizioni, in lingua latina e in lingua e alfabeto nabateo.
I Nabatei svolsero anche il ruolo di baluardo tra Roma e le popolazioni beduine, poco inclini a piegarsi all’Impero, inoltrando tuttavia le loro mercanzie negli empori settentrionali e spesso fornendo loro beni che da quelle aree provenivano.
Dal III secolo d.C. i Nabatei smisero di scrivere in aramaico e cominciarono invece a scrivere in greco e dal IV secolo si convertirono al Cristianesimo. I nuovi invasori Arabi, che cominciarono ad agire in quei luoghi nel VII secolo, trovarono i resti dei Nabatei trasformati in contadini, tanto che la parola araba nabaṭī divenne sinonimo, appunto, di “agricoltore”.
LA RELIGIONE NABATEA
Sebbene le iscrizioni locali indichino che i Nabatei adoravano una divinità principale, a volte chiamata Dushara, e una dea principale, la religione dei Nabatei resta comunque misteriosa.
Ad ogni modo, sappiamo che i Nabatei adoravano le divinità presenti in Arabia prima dell’Islam, e anche alcuni dei loro re, deificati. All’epoca la principale divinità maschile era, come abbiamo detto, Dushara, subentrato alla triade femminile più arcaica composta da Al-ʿUzzā (“la Potentissima”), Allāt e Manāt. Molte statue scolpite nella roccia riproducono queste divinità, che tuttavia avevano mantenuto un ruolo seppure minore.
al-ʿUzzā
Le divinità di al-ʿUzzā e di Allāt erano a Mecca chiamate al-Gharānīq, che letteralmente significava “gru, cicogne”, considerate simbolo di assoluta bellezza. Al-ʿUzzā, era venerata sotto forma di sorgente e di tre alberi di acacia nella valle di Ḥurāḍ, nell’oasi di Nakhla al-Shāmiyya (Il Palmeto siriano), distinto da Nakhla al-Yamaniyya (Il Palmeto yemenita), in cui, durante uno dei tanti fatti d’arme s’erano rifugiati alcuni Coreisciti (“I figli di Quràysh”,nome assunto dalla tribù araba stanziatasi nel VII secolo d.C. alla Mecca). che temevano per la propria vita e che, sfruttando la sacralità del posto, sfuggirono a una fine pressoché certa.
Manat Manat era invece identificata con Nemesi e poteva rappresentare il Destino, cui tutto soggiace. Il luogo di culto della dea – raffigurata sotto forma di un masso di pietra bianca – era nella località di Quḍayḍ, presso Mushallal, a 15 Km da Yathrib (Medina), nella fascia costiera che corre lungo il Mar Rosso.
Allāt Allāt infine era la Dea degli inferi e della guerra. Con il nome Allatu presso i Babilonesi, Allatum tra gli Accadi ed Elat per i fenici e i cartaginesi. Erodoto (V secolo a.C.) considera Allāt l’equivalente di Afrodite.
Nel periodo ellenico e romano la divinità femminile più venerata è Allāt (al-Lāt significa “la dea”) che viene identifica come Atena e accomunata con la Dea siriana Atargatis.
Nella città-stato di Palmira, in Siria, riscontriamo assomiglianza con la Dea Venere Urania e la Dea Artemide e si ricorda come il tempio della Dea a Palmira, venisse distrutto dai cristiani tra gli anni 378 e 386.
I Nabatei inneggiavano alla Dea dicendo: “Al mare, al sale e ad Allat, che è la più grande di tutto.” Elemento tipico del culto della Dea sembra fosse il ricorso consistente all’incenso e che come animale sacro alla Dea fosse il leone, raffigurato in effetti nel tempio di Palmira. Un particolare importante di quest’ultima raffigurazione è il grande rilievo del leone, che tiene e protegge, tra le sue zampe un’antilope. Su questo rilievo è stata rinvenuta la seguente iscrizione: “Allat benedice chi non versa sangue nel tempio“. La Dea non ama sacrifici cruenti.
Il suo santuario fu fatto distruggere dal profeta Maometto dopo la conquista della Mecca nel gennaio 630 d.c. Si narra che quando fu alla distanza di quattro o cinque giornate di viaggio da Medina, Maometto avesse mandato suo cugino e genero Alī a distruggere l’idolo. Egli provvide secondo gli ordini, razziò il tesoro conservato nel santuario e lo portò al Profeta: le immagini erano blasfeme, le ricchezze no. L’ipocrisia islamica che ritroviamo anche oggi.
LA SCOPERTA
Anche se abbandonata per secoli Petra non fu mai dimenticata dai beduini del territorio, anzi, alcuni la consideravano, come abbiamo detto, infestata da fantasmi. In epoca moderna, il primo europeo a riscoprire Petra fu l’archeologo ed esploratore svizzero Johann Burckhardt nel 1812.
Johann Burckhardt, un intraprendente archeologo
Sotto le spoglie di un mercante arabo con lo pseudonimo Sheikh Ibrahim Ibn ʿAbd Allah, Burckhardt si fermò ad Aleppo in Siria per conoscere l’Islam (religione che abbracciò), perfezionare l’arabo e studiare il Vicino Oriente. Divenne grande conoscitore del Corano e del diritto islamico, tanto da essere spesso coinvolto nel dirimere questioni religiose dagli stessi indigeni. Nei due anni trascorsi in Siria, Burckhardt fece numerosi viaggi di esplorazione visitando Palmira, Damasco e il Libano.
Egli aveva sentito dire che nei pressi del villaggio di Wadi Musa si trovavano, in una sorta di fortezza naturale, delle vestigia straordinarie. La regione apparteneva allora all’Impero ottomano e gli stranieri curiosi di antichità – che erano ritenute “opera degli Infedeli” – erano considerati con grande diffidenza, anche per le tensioni politiche e religiose dell’epoca: era pericoloso essere un cristiano straniero nel profondo dell’Impero Ottomano.
Burckhardt si presentò allora come un pellegrino che desiderava sacrificare un agnello al profeta Aronne, la cui tomba, costruita nel XIII secolo, si riteneva collocata al di là delle rovine, in cima al Gebel Harun. Accompagnato, l’esploratore attraversò la città antica senza potersi fermare un attimo a prendere un appunto o a fare uno schizzo, poiché la sua curiosità suscitò i sospetti delle sue guide locali, e tuttavia consapevole dell’importanza di quelle vestigia, e che le rovine presso Wadi Musa fossero quelle di Petra. Entusiasta, diffuse la notizia tra gli occidentali residenti in Medio Oriente e in Egitto, e la ripeté nel suo libro Travels in Syria and the Holy Land, che fu pubblicato soltanto cinque anni dopo la sua morte, nel 1823.
Come nota a margine aggiungeremo che nel 1813 Burckhardt scoprì tra le sabbie d’Egitto anche il celeberrimo complesso templare di Abu Simbel, così, tanto per dire…
Una scoperta sbalorditiva e dal valore inestimabile, quella di Petra, dal punto di vista archeologico e storico. Ciò nonostante ci vollero decenni prima che gli esperti iniziassero i lavori di ricerca. Solamente nel ventesimo secolo partirono i primi giri turistici ufficiali.
Tentativi di esplorazione
Furono condotti anche altri tentativi di esplorazione, alla ricerca di Petra, nonostante la diffidenza delle popolazioni locali. Nel maggio 1818 un gruppo di una decina di persone provenienti da Gerusalemme, tra cui l’esploratore ed egittologo William John Bankes, che, accompagnato dal dragomanno ferrarese Giovanni Finati e da due ufficiali di marina, riuscì a rimanere sul posto per due soli giorni, giacché rivalità tra capitribù locali li costrinsero a partire prima del previsto.
LE PRIME MISSIONI ARCHEOLOGICHE
Le prime vere missioni archeologiche cominciarono dal 1828, e dopo il 1830 Petra divenne un luogo di visita, tappa di pellegrinaggi religiosi, e fonte di guadagni per i capi delle tribù dei dintorni. Tra i tanti poeti e artisti che si recarono a Petra vi fu, nel 1839, anche il celebre pittore britannico David Roberts.
La prima missione archeologica britannica arrivò nel 1929, e tuttora sono in corso importanti scavi. Ancora nel 1992 (i mosaici della chiesa di Petra) e nel 2003 (il complesso funerario nascosto sotto il tesoro) sono state fatte importanti scoperte.
Gli scavi del 1958 per conto della British School of Archaeology di Gerusalemme e, in seguito, dell’American Center of Oriental Research hanno contribuito notevolmente alla conoscenza di Petra.
UNA CITTA’ STRAORDINARIA
Nel suo periodo di massimo splendore, che iniziò nel primo secolo a.C. e durò circa 400 anni, Petra era una delle città più ricche, eclettiche e straordinarie del mondo. Fu allora che il popolo nabateo scolpì le più impressionanti delle loro strutture monumentali direttamente nella morbida pietra rossa. Le facciate erano tutto ciò che rimaneva quando i viaggiatori del XIX secolo arrivarono qui e conclusero che Petra era una città di tombe inquietante e sconcertante.
Ora, tuttavia, gli archeologi stanno scoprendo che l’antica Petra era una città tentacolare di giardini lussureggianti e fontane piacevoli, templi enormi e lussuose ville in stile romano. Un ingegnoso sistema di approvvigionamento idrico consentiva ai Nabatei non solo di bere e fare il bagno, ma anche di coltivare grano, frutta, fare vino e passeggiare all’ombra di alberi alti. Durante i secoli appena prima e dopo Cristo, Petra era il principale emporio del Medio Oriente, una calamita per le carovane che viaggiavano sulle strade dall’Egitto, dall’Arabia e dal Levante. E gli studiosi ora sanno che Petra prosperò per quasi 1.000 anni, molto più a lungo di quanto si sospettasse in precedenza.
Scrivendo all’inizio del primo secolo d.C., lo storico greco Strabone riferì che mentre gli stranieri a Petra erano “frequentemente coinvolti in contenziosi”, la gente del posto “non aveva mai avuto dispute tra di loro e viveva insieme in perfetta armonia”. Per quanto possa sembrare dubbio, sappiamo che i Nabatei erano insoliti nel mondo antico per il loro orrore della schiavitù, per il ruolo di primo piano che le donne avevano nella vita politica e per un approccio egualitario al governo.
Nel suo periodo migliore, Petra era una delle città più sfarzose della storia, più Las Vegas che Atene. Abituati alle tende, i primi Nabatei non avevano tradizioni edilizie significative, quindi con il loro improvviso reddito disponibile attinsero a stili che andavano dal greco all’egiziano, al mesopotamico e all’indiano, da qui le colonne del Grande Tempio sormontate da teste di elefante asiatico. “
IL SIQ
Le rovine sono solitamente accessibili da est tramite una stretta gola nota come Sîq (Wadi Al-Sīq), un canyon lungo circa 1,5 km e profondo fino a 200 m.
Il Sîq è una buia e stretta gola (in alcuni punti non vi sono più di 2 metri fra una parete e l’altra) che si snoda per circa 1.600 metri per giungere in uno slargo dove troneggia il monumento più noto di Petra, El Khasneh.
Il Sîq è una faglia geologica naturale prodotta da forze tettoniche e levigata dall’erosione dell’acqua, ma sembra non venne utilizzato come ingresso carovaniero alla città di Petra. Le muraglie che racchiudono il Sîq sono alte fra 91 e 182 metri.
Al suo ingresso vi è quel che resta di una enorme diga, ricostruita nel 1963 e poi ancora nel 1991, progettata per sbarrare la foce del Sîq e reindirizzare le acque del Wadi Musa (“Valle di Mosè” in arabo). Diga oggi praticamente in disuso, tanto che il sito soffre spesso di piene devastanti. La leggenda narra che Mosè attraversò la valle e colpì l’acqua dalla roccia per i suoi seguaci sul sito di Ain Musa (“La sorgente d’acqua di Mosè” o “Pozzo di Mosè”).
La gola (Sîq) è adorna di alcune edicole religiose e betili dedicati alle divinità locali. Dushara in particolare, la principale tra le divinità nabatee, è rappresentato in un betile. Più avanti, sempre sulla sinistra, un bassorilievo riproduce due carovane che si incrociano, una diretta verso la città, l’altra che se ne allontana.
La rappresentazione di carovane lungo il Sîq sembra abbia solo una funzione di ringraziamento e di rappresentanza perché il Sîq di ingresso a Petra non era percorsa dalle carovane che invece accedevano alla città da altri ingressi.
Il Sîq costituiva dunque l’accesso religioso al centro, quello riservato per le funzioni e non per il commercio. Esso veniva percorso tranquillamente in quanto le acque tumultuose venivano regolate dalla grande diga e dai suoi numerosi canali sotterranei e non.
Lungo entrambe le pareti della gola sono scavate una serie di nicchie votive che indicano il Sîq come sacro ai Nabatei, e lungo la gola è stato riportato alla luce il tracciato della Strada Romana, oltre alle canalizzazioni (una scavata nella roccia, l’altra di terracotta) che servivano per approvvigionare d’acqua la città.
Lungo il Sîq vi è un certo numero di locali sotterranei la cui funzione non è stata ancora chiarita. La possibilità che siano state tombe è stata esclusa e gli archeologi trovano difficile credere che fossero abitazioni. Secondo la maggioranza sarebbero stati dei rifugi delle guardie che difendevano l’ingresso principale di Petra.
Una città difesa
Come affermò il geografo greco Strabone, Petra dava solo apparentemente l’immagine di una città chiusa e appartata, accessibile solamente ai privilegiati che ci vivevano o vi si rifugiavano. Rispetto ad altre città dell’epoca, le “mura” di Petra erano costituite dalla sua posizione geografica in un labirinto di canyon scavati nella roccia. Tale difesa naturale risultò così efficace da proteggere la città per secoli dalla curiosità degli estranei. Furono costruiti comunque alcuni bastioni, come la torre Conway, che prende il nome da Agnes Conway, l’archeologa inglese che la rinvenne nel 1929, e alcuni tratti di mura isolati. Pare che la città non si dotò di una vera cinta muraria fino a metà del III secolo.
LA GEOLOGIA DI PETRA
Le tombe di Petra sono scavate nei canaloni e sui fronti rocciosi delle montagne, mentre l’area urbana, a causa della mancanza di vegetazione, è caratterizzata da un vasto affioramento di pietrame derivante dal crollo degli alzati degli edifici, sicché roccia e pietre sono visibili in ogni punto. Qui sotto, una suggestiva galleria delle formazioni policrome.
Le costruzioni funerarie sono in gran parte ricavate nell’arenaria policroma di età paleozoica (deposito deltizio Cambriano/Ordoviciano – Form. di Umm Ishrin Sandstone), una roccia sedimentaria prodotta dalla sedimentazione e accumulo di granellini di sabbia. Il risultato è una roccia coerente e resistente, ma al contempo facile da scavare, organizzata in strati o bancate. Una caratteristica particolare di queste arenarie è la variazione del colore, con sfumature dal giallo ocra al rosso fuoco, al bianco, dovute alla diversa concentrazione degli ossidi durante il lungo processo di consolidamento. Queste spettacolari variazioni cromatiche sono visibili in particolare sui soffitti di molti ipogei di Petra.
Nei dintorni di Petra si trovano anche rocce contenenti silice, che i Nabatei sfruttavano per produrre cemento impermeabile. L’ingresso della città è un antico letto fluviale, una profonda gola tagliata nelle alte pareti di arenaria che fu trasformata in trincea viaria deviando altrove il corso del torrente. L’area di Petra è molto vicina al sistema Mar Morto-Valle del Giordano, caratterizzato da un’intensa attività tettonica, con cinematica trasforme-transtensiva sinistra, legata alla separazione (rift) tra placca arabica e africana.
L’APPROVVIGIONAMENTO IDRICO
A Petra in un anno cadono dai 10 ai 15 centimetri di pioggia: una spruzzata, niente più. Eppure nella città gioiello dei Nabatei, i suoi abitanti non solo potevano permettersi una fornitura costante di acqua potabile, ma potevano pure permettersi di “sprecarla” per celebrare la grandezza dei suoi regnanti. Il territorio, che non aveva grandi risorse naturali di acqua, possedeva un ingegnoso sistema per catturarle, cosa che permise alla città un sorprendente sviluppo. In questa regione semidesertica i Nabatei crearono un sistema di regole per la cattura e per ripartizione del consumo d’acqua affinché divenisse un bene pubblico e non per pochi privilegiati.
Gli archeologi hanno trascorso decenni a identificare i modi in cui i Nabatei gestivano l’acqua nella regione. Hanno scoperto che gli ingegneri nabatei avevano ideato un sistema di interconnessione di terrazze e piccoli sbarramenti per proteggere l’antica Petra dalle inondazioni. L’elaborato sistema incanala l’acqua attraverso le numerose gole ed i canyon di Petra e del Wadi Musa. Gli sbarramenti rallentano l’acqua impetuosa che porta alle inondazioni, incanalandola in bacini di stoccaggio. Le terrazze, nel frattempo, assorbivano l’acqua e fornivano spazio per le coltivazioni
Inoltre, essendo Petra posta nel fondo di una valle rocciosa, e con rocce piuttosto impermeabili, si potevano recuperare acque pluviali da un bacino di ben 92 km². Sono infatti ancora visibili gli impianti per la raccolta e la distribuzione dell’acqua superando i forti dislivelli del terreno, con sbarramenti e cisterne a cielo aperto.
Ma esisteva anche un’estesa rete di cisterne sotterranee. A nordest e a sudest di Petra, le acque del Sîq scorrevano in gallerie scavate nella roccia e intonacate con gesso impermeabile, o in una rete idrica in leggera pendenza, fatta di tubi di terracotta o di ceramica. Questa rete alimentava l’acquedotto, le 200 cisterne (molte delle quali situate sul monte Umm al-Beira, che vuol dire “Madre delle cisterne”), bacini di raccolta ed un ninfeo, che terminava in una fontana pubblica.
Un’altra rete, di maggiore portata, raccoglieva l’acqua di sorgenti più lontane e riforniva quartieri più in alto. L’insieme di queste reti idriche portava a Petra circa 40 milioni di litri d’acqua al giorno. Crearono così una vera e propria oasi artificiale, delle cui installazione oggi rimangono i resti archeologici.
“Ci sono abbondanti sorgenti d’acqua sia per scopi domestici che per irrigare i giardini“, scrisse Strabone intorno al 22 d.C. I ripidi pendii furono convertiti in vigneti terrazzati e i frutteti irrigati fornivano frutta fresca, probabilmente melograni, fichi e datteri.
L’acqua riforniva fontanelle e stagni nell’area urbana, così come un grande ninfeo, i cui resti sono ancora visibili nella via Colonnata, accanto a un albero solitario, testimone dell’umidità del luogo.
Per l’avanzata tecnologia, il sistema di distribuzione dell’acqua a Petra è stato paragonato a quello di Roma nello stesso periodo, ed era certamente sufficiente a coprire i bisogni della città. Infatti i Romani tagliarono l’acquedotto per assetare gli abitanti durante l’assedio della città.
Qualcuno si chiede come mai Petra, oggi sito di inaudita bellezza e importanza e da tanti visitato, non abbia mai ripristinato le vecchie installazioni idriche, ricostituendo così l’oasi e creando un cento turistico che darebbe lavoro a molti.
Quando i Romani trasformarono la zona predesertica dell’Africa romana in un’oasi che produceva datteri, olio e grano in tale abbondanza da esportarlo anche in Italia, crearono numerose cisterne e canali. Come cadde il limes romano le terre continuarono a produrre difendendosi anche dai predoni. Ma con l’avvento islamico tutto venne abbattuto e mai ricostituito, lì come altrove, perché un popolo povero e ignorante è molto più facile da governare e da plagiare.
LE TOMBE
Dal punto di vista formale, la tipologia delle tombe scavate nella roccia si ispira allo straordinario complesso di Naqsh-i Rustam, la necropoli dei re achemenidi vicina a Persepoli, nell’odierno Iran, dove si fecero seppellire grandi sovrani persiani come Dario I o Serse, che regnarono tra il VI e il V secolo a.C. Questo tipo di tomba si diffuse in tutto l’Oriente ellenistico, dall’Anatolia, dove si trovano gli ipogei di Myra, fino all’Arabia Felix (odierno Yemen) e Gerusalemme. Non è quindi un’invenzione nabatea, anche se le caratteristiche della pietra arenaria di Petra danno alle tombe un aspetto singolare e unico. D’altra parte, questa architettura presenta anche influssi orientali, con obelischi e motivi geometrici basati su modelli assiri, persiani o egizi. Gli studi evidenziano che la maggior parte dei monumenti di Petra risale al I secolo a.C., quando la città entrò nell’orbita di Roma.
Le facciate delle tombe riproducono quelle dei grandi templi, come se i defunti facessero a gara con gli dei per la sontuosità delle loro eterne dimore.
Le iscrizioni che permettono d’identificare i personaggi legati a questi edifici sono molto scarse. La più importante è stata ritrovata fuori da Petra, nella vicina cappella di en-Numeir. Risale all’anno 20 d.C. e contiene un importante elenco di sovrani nabatei:
“Questa è la statua di Obodas, il dio, fatta dai figli di Honianu, figlio di Hotaishu, figlio di Petammon… collocata qui insieme al dio Du-Tarda, dio di Hotaishu, che si trovano nella cappella di Petammon, suo bisnonno, per la vita di Aretas, re di Nabatu, che ama il suo popolo… e di Shaqilat, sua sorella, la regina di Nabatu, e di Malichus e di Obodas e di Rabbele e di Fasael e di Sha’udat e di Hagiru, suoi figli, e di Aretas, figlio di Hagiru… nel mese… dell’anno 29 di Aretas re di Nabatu, che ama il suo popolo…”.
I MONUMENTI
Gli scavi archeologici a Petra sono tuttora in corso. Ogni anno c’è qualche nuovo ritrovamento, un nuovo edificio da scoprire, cosa che fa dell’intera zona una meraviglia in continua evoluzione. Ma nel frattempo, vediamo quelli già famosi.
El Khasneh Al Faroun
El Khasneh (“Il Tesoro”, o Khasneh al Faroun, “il Tesoro del Faraone” – il nome fu inventato dai beduini e recupera il nome del sovrano biblico e coranico che avversò Mosè nella sua fuoriuscita dall’Egitto) è il monumento più importante, più suggestivo e meglio conservato di Petra. È divenuto il simbolo di Petra nel mondo per la sua apparizione nelle scene finali del film “Indiana Jones e l’ultima crociata”: la sua suggestiva facciata, a cui si accede tramite una stretta strada di pietra, è famosissima ed è forse fra le più belle creazioni dell’uomo. La sua scoperta si deve all’intuizione di un archeologo giordano, che, vedendo la strada, che conduce alla costruzione, inabissarsi nella sabbia, formulò l’ipotesi che la via di comunicazione con la struttura con il tempo fosse stata ricoperta dalla sabbia, ipotizzando quindi che il livello base del monumento attualmente fosse coperto dalla sabbia.
Fu grazie a questa intuizione che furono scoperte quattro camere di sepoltura con 11 scheletri all’interno (probabilmente della famiglia del re), il che ne rese evidente la funzione di monumento funerario. Esso è stato scavato nella parete rocciosa di fronte allo sbocco della stretta gola di Sîq, e dotato di una facciata monumentale.
Si sa poco sull’edificio in sé: questo magnifico mausoleo scavato nella roccia è stato probabilmente costruito nella seconda metà del regno del re Areta IV (9 a.C. – 40 d.C.), ma non si sa chi fosse il destinatario. Le tracce di incenso bruciato trovate davanti la porta principale, però, suggeriscono che questo fosse un importante luogo di pellegrinaggio. a data della costruzione spazia dal 100 a.C. al 200 d.C. Probabilmente si tratta della tomba del re nabateo Areta III (87-62 a.C.), detto “Filelleno”.
L’architettura del monumento è ellenistica e romana.
Il nome deriva dalla leggenda che vuole vi fosse un tesoro nascosto: infatti l’urna intagliata alla sommità del secondo ordine, fu per questo oggetto di spari, nel tentativo di romperla.
La facciata, larga circa 28 m e alta 39,6 m, è suddivisa in due ordini: quello inferiore riprende la facciata di un tempio, con quattro colonne, la relativa trabeazione e il basso frontone con al centro il timpano con testa di Gorgone, circondata dalla vegetazione, ai lati degli acroteri.
A questa si aggiungono due colonne laterali addossate alla parete di roccia, sulle quali prosegue la trabeazione dopo aver formato una rientranza.
Nei comparti laterali sono rappresentati dei cavalli con figure umane, identificate con i Dioscuri. Al di sopra di questo sorge il secondo ordine, poggiato su un podio che consente lo sviluppo del frontone sottostante, le cui colonne formano due avancorpi laterali e al centro si spostano sul fondo, formando una specie di finto porticato intorno ad uno spazio centrale.
Qui sorge una tholos, o tempietto circolare, coperta da un tetto a cono e sormontata da un’urna sorretta da un capitello. Gli avancorpi laterali sono sormontati da mezzi frontoni spezzati, che contribuiscono ad inquadrare il tholos centrale, mentre sugli avancorpi laterali vi sono delle statue su piedistalli, tra cui due vittorie alate ed altre quattro figure di cui non si conosce il significato.
Sul tholos vi è la statua della Dea Iside al centro. In cima alla facciata sono raffigurate due aquile, erose dalle intemperie.
I capitelli sono grosso modo di ordine corinzio, ma con una ricca decorazione vegetale, molto simili ai locali “capitelli nabatei”.
All’ interno del primo piano, scavato nella roccia, c’è un profondo porticato, che dà accesso a due ambienti laterali con portali riccamente decorati e ad un’ampia camera centrale con una stanzetta più piccola aperta sul fondo, alle quali si accede mediante alcuni gradini.
I fori ricavati nella parete di roccia interna indicano che in origine questi ambienti erano decorati con un rivestimento in stucco.
Ai lati della porta dell’ambiente centrale sono ricavati sulla facciata della camera due ampi bacini per abluzioni, quindi probabilmente un tempio, dedicato ad una divinità o ad un sovrano defunto divinizzato, e non una tomba.
Lo scavo della facciata monumentale, molto approfondita rispetto alla superficie esterna, ha permesso la sua ottima conservazione, nonostante la perdita dei rilievi che un tempo l’adornavano. Una delle colonne del portico, mancante, è stata ricostruita nel 1960 dal dipartimento delle antichità giordano.
L’ammirazione per la sua elegante bellezza si mescola allo stupore per un lavoro che è stato di scavo e incisione dall’alto verso il basso e non di una normale edificazione dal basso verso l’alto. Ancora oggi i viaggiatori si riuniscono davanti a questo monumento imponente come antichi pellegrini, restando a bocca aperta.
Al Deir
Al Deir (in arabo “il monastero”) è l’edificio più noto di Petra dopo El Khasneh, a cui somiglia molto, anche se la sua facciata ha meno ornamenti. Edificato dai nabatei nel III secolo a.C. come tomba, forse per re Obodas I, re divinizzato, che regnò dal 96 all’86 a.C..
Il Monastero deve il nome alla presenza di croci scolpite sulle pareti dei suoi ambienti interni, evidentemente utilizzato come chiesa in epoca bizantina. Il cortile davanti al Monastero era un tempo circondato da colonne e probabilmente utilizzato per le cerimonie sacre.
La facciata del monumento, scavato nella roccia come il Tesoro, è ancora più imponente e raggiunge i 42 metri di altezza e i 45 metri di larghezza. Si tratta di una tomba o un edificio legato a un rito funerario, infatti un’imponente urna funeraria alta ben 9 metri è alla sua sommità ed è accessibile solo da una scala.
L’interno è composto da una grande stanza nella parte inferiore della quale vi è un podio accessibile da una piccola scala. L’arrivo di fronte al monumento avviene tramite un sentiero con scale di 800 gradini scavate nella roccia.
Case del Djinn
Subito dopo l’ingresso, vi sono tre grandi e rustici monumenti chiamati Case del Djinn o Case dello Spirito. Queste strutture che sorgono accanto al sentiero prendono il nome dalla radice del termine “genio”. Gli edifici vennero costruiti dai nabatei nel I secolo d.c., ma non se ne conosce la funzione.
Forse si trattava di tombe o di monumenti funerari, o forse erano legati al culto dell’acqua e della fertilità. Il fatto è che in queste grotte non sono stati reperiti manufatti che ne potessero giustificare l’uso.
Qasr Al-Bint
Questo monumento venne eretto dai Nabatei, per le loro divinità, attorno al 30 a.C., i blocchi di arenaria gialla venivano per lo più trasportati da una cava situata a poche centinaia di metri a valle nel Wadi es-Siyagh. Il nome completo del tempio è “Qasr al-Bint al-Pharaun”, cioè “Castello della figlia del Faraone“, nome che gli fu dato dai beduini e costituiva il principale luogo di culto della città nabatea.
Eretto sul cardo maximus poteva essere stato dedicato al Dio Dushara, oppure alla dea Al-‘Uzza. I Romani non abbattevano mai gli Dei delle altre culture, semmai li assimilavano ai loro Dei attribuendogli un nome romano accanto a quello originario. Dopo l’occupazione romana vi venne aggiunto forse il culto degli imperatori romani, secondo altri quello di Apollo. Infine fu distrutto, nel III secolo, con l’avvento della nuova religione cristiana che mal sopportava gli antichi Dei pagani.
Originariamente il tempio era alto 23 metri e aveva scalinate di marmo, e imponenti colonne con capitelli dotati di decorazioni floreali. L‘Adyton o Sancta Sanctorum del tempio, sicuramente conteneva un simulacro della divinità ed era il più grande luogo di culto della città.
Il tempio, probabilmente già interdetto e danneggiato verso la fine del III secolo, è stato quasi completamente distrutto dal terremoto del 363 prima di essere presumibilmente abbandonato. È stato ampiamente restaurato nel XX secolo.
Strada delle facciate
Dopo il Sîq, il canyon che conduce al Tesoro, Petra prosegue con la via delle Facciate, nota anche come Sîq esterno, che conduce alla seconda monumentale tappa della leggendaria città, il teatro, che vedremo in seguito. Lungo questa strada si succedono una serie di tombe in cui la commistione degli stili accolti nell’architettura nabatea (greco, romano, egizio, assiro…) si esprime con decorazioni singolari, in un totale di 44 facciate.
Sulla sinistra, dopo una prima parte crollata a seguito degli agenti atmosferici, si levano le facciate di tombe con decorazioni di influenza assira. Sul tetto delle costruzioni, infatti, il celebre motivo a scale che salgono e che scendono evoca lo ziggurat, di sette gradini corrispondenti ai sette livelli per raggiungere il paradiso.
Superate le tombe con decorazione assira, sul lato destro del canyon si trova la necropoli patrizia, mentre sul sinistro ha inizio la salita che conduce al Sacrificio (circa 45 minuti), l’altare sacrificale da cui si gode un panorama incantevole sulla città di Petra.
Il teatro romano
Gli spettacoli, la vita politica, le dispute, il mercato… Tutto trovava spazio nell’animata città dove approdavano le carovane di dromedari carichi di prodotti esotici, giunti dagli angoli più lontani dell’Oriente. La città dei vivi oggi dimenticata, che faceva da sfondo all’attività quotidiana dei suoi abitanti, disponeva di vari spazi pubblici tra i quali spicca il magnifico teatro, modellato nella roccia viva probabilmente durante il regno di Areta IV (9 a.C.-40 d.C.) e ristrutturato dopo la conquista romana fino alla capienza di 8000 spettatori. Caratteristico l’edificio per il suo forte colore rosa.
Per comprendere la bellezza e lo stile romano del teatro che venne ricostruito praticamente dalla base, basta osservare il porticato coperto che serviva agli attori ma soprattutto ai gladiatori per raggiungere la scena. Le volte erano tutte a blocchi tagliati nella pietra rosata, ed ogni particolare pilastro o colonna era levigato e lavorato.
Le gradinate seguono il pendio naturale, mentre la scena è una costruzione aggiunta dai costruttori. Le discordanze relative al numero di posti che poteva contenere (3000 per alcuni e 7000 per altri) erano dovute allo stato delle ricerche e dei lavori di restauro. I posti sono suddivisi in 33 emicicli concentrici.
La Strada colonnata
La grande Via Colonnata, la principale arteria di Petra, porticata su entrambi i lati e su cui si affacciavano i negozi, i locali e gli spazi commerciali, collegava i principali luoghi pubblici della città, come i grandi templi. fu costruita, dopo la conquista romana, del 106, su una vecchia strada nabatea, e costituisce, secondo il modello urbanistico romano, il decumano massimo, in direzione est-ovest, tuttavia mancante del cardo che avrebbe dovuto essere in direzione nord-sud. La strada era larga 6 metri, delimitata da imponenti colonne di arenaria rivestite di marmo, e su entrambi i lati si affacciavano i portici che davano accesso alle botteghe.
All’inizio della strada colonnata vi era il ninfeo, una fontana pubblica dedicata alle ninfe, costruita nel II secolo, probabilmente per raccogliere le acque provenienti dal Sîq. Della fontana è rimasto molto poco, e solo un gigantesco albero di pistacchio individua il sito del ninfeo.
Ugualmente del Palazzo reale sono rimasti solo pochi ruderi. Molto è stato spogliato per edificare le diverse chiese.
La Porta di Traiano o del Temenos segnava il passaggio dall’area commerciale della città dall’area destinata al culto del Qasr al-Bint. La porta, dotata di tre arcate, con enormi porte in legno e torri laterali fu costruita dai romani nel II secolo ed era ricoperta di fregi con decorazioni floreali e di figure armate.
La Tomba di Aronne
Aronne, fratello di Mosè e di Miriam, morì in Giordania e fu seppellito sul Monte Hor a Petra, oggi chiamato Jabal Haroun (Monte Aronne) in arabo. Sulla sommità venne costruita una chiesa bizantina e, più tardi, un santuario islamico che ancora oggi attrae pellegrini da tutto il mondo.
Si tratta di un modesto edificio del XIII secolo voluto da un sultano mamelucco. Si raggiunge dalla fine della città bassa di Petra. Passando dietro al Palazzo della Figlia del Faraone, si prosegue dritto fino all’inizio della salita tenendo sempre d’occhio, fin quando possibile, la posizione della tomba.
Alla tomba si veniva per fare sacrifici di ringraziamento per un voto soddisfatto o per essere andati alla Mecca; una volta arrivati, si sacrificavano animali (pecore, capre).
UNA CITTA’ ANCORA DA SCOPRIRE
Nonostante tutta la pubblicità e la sfilata di turisti, gran parte di Petra rimane incontaminata dagli archeologi, nascosta sotto spessi strati di detriti e sabbia accumulati nel corso dei secoli. Nessuno ha trovato i siti dei mercati affollati che devono aver punteggiato Petra.
Oggi è possibile ammirare a Petra solo una piccola parte di quello che la città potrebbe ancora celare, dato che l’ottanta per cento della superficie del sito non è stato ancora scavato. Del Palazzo reale, per esempio, sono stati ritrovati solo pochi ruderi, eppure doveva essere splendido, a giudicare dalla grandezza degli edifici pubblici conservati e dalla favolosa ricchezza attribuita dalle fonti classiche ai re nabatei. Strabone afferma che le case erano lussuose e fatte di pietra. Le più antiche, del III secolo a.C., non corrispondono a questa descrizione, ma la loro qualità migliora dal I secolo d.C.: i blocchi di pietra vengono lavorati, si pavimenta il suolo, le pareti sono decorate, le acque sotterranee vengono canalizzate e le case dotate di latrine e addirittura di terme.
In una grande villa, distrutta dal terremoto del 419, sono stati ritrovati i resti di una donna e di un bambino. Ma le rovine causate dai tre grandi terremoti che distrussero Petra nascondono ancora, senza dubbio, testimonianze della vita del regno nabateo che riserveranno molte altre sorprese agli archeologi.
Come, ad esempio, il ritrovamento di un giardino monumentale irrigato artificialmente e di un’enorme piscina, che si pensava inizialmente fosse un’area destinata al mercato, risalenti a duemila anni fa. La straordinaria scoperta del settembre 2016 è stata fatta dall’archeologa americana Leigh-Ann Bedal, che dal 2015 dirige la missione archeologica a Petra in Giordania nell’ambito del progetto Petra Garden and Pool Complex. In connessione con la piscina sono stati trovati i resti di un sistema idraulico elaborato – canali, tubazioni e un serbatoio di diversione (castellum) – che trasportavano l’acqua dalla sorgente di Ein Brak sulle colline circostanti alla piscina e irrigava la grande terrazza. Questa combinazione di caratteristiche ricreative e idrauliche ha portato alla teoria che la terrazza sia stato il sito di un giardino.
Giardini simili accanto a una piscina sono noti nei complessi del coevo palazzo di Erode il Grande della vicina Giudea. Il complesso giardino e piscina di Petra è l’unico esempio di giardino nabateo noto nella documentazione archeologica, ed è uno dei pochi luoghi antichi di giardino da scavare o studiare nella regione.
UNA SCOPERTA RECENTISSIMA
Durante una recente puntata del programma di Discovery Channel Expedition Unknown, l’esploratore e presentatore Josh Gates ha annunciato una scoperta archeologica piuttosto notevole da parte di un gruppo di ricercatori guidati da Pearce Paul Creasman, archeologo dell’American Center of Research, che nei mesi scorsi ha scoperto che sotto uno dei più celebri e riconoscibili monumenti dell’antica città di Petra, in Giordania, c’è una tomba perfettamente conservata che contiene almeno 12 scheletri umani ed elaborati corredi funerari. Si stima che abbiano almeno 2mila anni, e quindi risalgano al periodo di maggiore benessere e ricchezza della città.
All’inizio del 2024 il gruppo di Creasman decise di usare la tecnica del georadar, che utilizza impulsi radar per rilevare oggetti sotterranei, per sondare il terreno sotto il lato destro del Tesoro: le rilevazioni mostrarono che il terreno da quel lato somigliava moltissimo a quello del lato sinistro dove erano state trovate le camere funerarie. A quel punto il governo giordano decise di concedere loro il permesso di scavare per confermare o smentire la presenza di ulteriori tombe.
Seguiti dalla troupe cinematografica di Expedition Unknown, gli archeologi hanno quindi trovato una prima tomba ad agosto: aprendola hanno scoperto che, al contrario di altre tombe studiate finora a Petra, non era mai stata saccheggiata, ma conteneva 12 resti scheletrici completi (anche se ricoperti di muffa per via della grande umidità e delle inondazioni stagionali della zona) e corredi funerari in bronzo, ferro e ceramica, tra cui uno scheletro che regge un calice di ceramica piuttosto elaborato.
La sepoltura intatta trovata sotto il Tesoro fornisce una rara visione della vita dei Nabatei. Secondo i ricercatori, la scoperta significativa potrebbe essere la più grande collezione di resti umani rinvenuta in un unico luogo a Petra.
Un mistero che rimane sui Nabatei sono le loro pratiche di sepoltura. Nella letteratura, la società nabatea è spesso descritta come più egualitaria, con il re più integrato con le classi inferiori rispetto ai leader di altre civiltà, ha detto Creasman. Finora, dalle tombe nabatee trovate, non sembra esserci una grande differenza tra sepolture reali e normali, quindi è difficile dire se le tombe recentemente scoperte sotto il Tesoro fossero progettate per la famiglia reale.
Mentre i ricercatori continuano a studiare gli scheletri, Creasman ha detto che sperano che vengano alla luce maggiori dettagli su chi fossero le persone in vita. I ricercatori vorrebbero datare gli scheletri e i manufatti, nonché utilizzare il DNA estratto per determinare se la dozzina di scheletri sono imparentati. “Altre analisi potrebbero essere in grado di aiutare a valutare la loro dieta e a svelare se avevano lavori fisici“, ha detto Creasman.
PETRA OGGI
Oggi, il sito archeologico di Petra, è tra i più popolari non solo della Giordania, ma nel mondo, raggiunto da quasi un milione di viaggiatori provenienti da tutto il pianeta. Il sito è raggiungibile a cavallo o a piedi, attraversando l’iconica fessura del Sîq. Percorrendolo, lentamente si aprirà davanti agli occhi lo spettacolo del Tesoro del Faraone, incrementando così in modo straordinario il turismo della zona. Per proteggere dalle alluvioni periodiche il sito, sono stati inoltre creati canali di scolo. Uno dei modi più speciali per visitare la zona, è sicuramente durante il suggestivo Petra by Night, uno spettacolo pensato per i turisti, a cui si può assistere di sera a Petra con spettacoli di musica tradizionale, tra il suono dei flauti e le leggende del cantastorie beduino. Qui sotto, una galleria di immagini di Petra by Night.
UN TESORO IN PERICOLO? LE INONDAZIONI
Le montagne intorno a Petra formano una conca, con l’antica città al centro. L’altitudine del vasto sito di 260 km quadrati varia di oltre 900 metri. Quando piove nella regione l’acqua scende rapidamente verso il basso, provocando spesso improvvise alluvioni catastrofiche e persino mortali. Gli abitanti della zona parlano ancora dell’inverno del 1963, quando le inondazioni colsero di sorpresa la popolazione del sito e uccisero decine di abitanti e turisti. Nel 2018, l’acqua impetuosa ha nuovamente fatto precipitare massi nelle gole intorno a Wadi Musa. Nel dicembre del 2022, muri d’acqua in rapido movimento, provenienti da quattro direzioni diverse, hanno attraversato gli stretti canyon di Petra, facendo scorrere l’acqua fangosa fino ai gradini dell’iconico El Khasneh.
Una volta crollato il regno nabateo nel IV secolo d.C., il sistema di drenaggio da loro inventato e del quale abbiamo già parlato più sopra, fu trascurato e cadde in rovina. Anche dopo che Petra fu riscoperta dagli archeologi e sviluppata come destinazione turistica nel XX secolo, i ricercatori trascurarono gli sbarramenti, concentrandosi invece sulla magnifica architettura scavata nelle scogliere dei canyon di Petra. le pietre che costituivano gli sbarramenti sono state lasciate in pace per migliaia di anni e sono ancora tutte lì, solo che sono cadute a pezzi.
Con il cambiamento del clima, eventi che si verificano una volta al secolo, come le alluvioni mortali che hanno colpito Petra nel 1963, diventeranno probabilmente più frequenti, con un aumento delle precipitazioni nella regione stimato al 40% entro il 2050.
Durante le inondazioni che hanno colpito il sito alla fine del 2022, l’acqua, invadendo gli alvei trasformati in strade si è diretta verso Petra, dove 3700 turisti stavano ammirando la città scavata nella roccia, e solo la prontezza di guide e venditori di souvenir ha impedito la strage. Urlando, hanno spinto i visitatori fuori dal Sîq, e li hanno fatti arrampicare sui percorsi che dominano la tomba del Tesoro. Una corsa contro il tempo, prima che l’acqua travolgesse tutto.
Da anni una missione di geologi e tecnici italiani lavora con finanziamenti dell’UNESCO proprio per mettere in sicurezza il Sîq: è anche merito loro se l’alluvione non ha provocato vittime.
Petra, una città magnifica del deserto, tra suggestioni e fragilità. Una città magica a cui non possiamo non dedicare, a conclusione di questo articolo, la scena finale di “Indiana Jones e l’Ultima Crociata”.