La ricerca di Antonio Scaccabarozzi (Merate, 1936 ‒ Santa Maria Hoè, 2008) si è concentrata, per oltre un quarantennio, sull’analisi degli elementi costitutivi del fare arte tramite un’inesausta verifica dei rapporti sintattici inerenti ai linguaggi visivi.
La mostra Progettare, sconfinare, al Museo del Novecento di Milano, offre l’occasione per una completa ricognizione del suo percorso. “La pittura, per Scaccabarozzi” ‒ dice la curatrice Gabi Scardi ‒ “è un modo per riflettere sui temi della percezione della realtà, del rapporto tra opera d’arte e fruitore, tra arte e agenti esterni”. Il suo lavoro, originato da una tensione speculativa frutto di matematico rigore, innesta un meccanismo visivo di vibrazione, progressione e accelerazione ritmica che non manca di produrre nello spettatore effetti di profonda risonanza emotiva.
LE OPERE DI ANTONIO SCACCABAROZZI
Se in quadri come Superficie sensibilizzata (1966), che si sviluppa in un reticolo modulare di linee verticali, orizzontali e diagonali articolato per diversi toni di grigio, la scansione geometrica è ancora interamente affidata alla pittura e alla bidimensionalità, nelle prove successive la superficie subisce un trattamento più radicale: in Gioco sul quadrato (1969) essa si estroflette generando dei cilindretti aggettanti che variamente sporgono e divergono, variando progressivamente il loro diametro come in un “crescendo” e in un “diminuendo” musicale; oppure, ed è il caso di Positivo-negativo (1973), una volta punteggiato di giallo e fustellato, il supporto si apre e si divarica leggermente lasciando delle minime fessure circolari, come degli opercoli socchiusi. In Introduzione all’orizzontale (1978) la superficie viene bucherellata producendo file di forellini che, variamente distanziandosi, si sviluppano in linea retta.
In altri casi l’indagine sulla sensibilità visiva lascia il campo alla riflessione e a un approccio di tipo più concettuale: una singola pennellata, una minima traccia di colore staccata dalla superficie, può venirvi riposizionata e commisurata ad altre di differente forma ed estensione non secondo la sua morfologia, ma in base al peso verificato della materia pittorica che racchiude in sé: si astrae così dal consueto risultato percettivo per riproporlo da un punto di vista inedito, non più basato sull’apparenza ma riferito a un dato sostanziale per noi impercepibile, come nel caso di 200 mg (1982). Si può arrivare poi a uno sconfinamento estremo, alla divaricazione della pittura dalla sua sede deputata, considerando il colore come materia a sé stante, staccato dalla tela, come se fosse una sorta di bassorilievo di pennellate rapprese e autoportanti, per cui la pasta cromatica diventa supporto di se stessa, come in Essenziale con ombre pittoriche (1991) o Altezza d’uomo (1992).
I TEMI E I MATERIALI PRESI IN ESAME DA SCACCABAROZZI
Verso la fine degli Anni Novanta Scaccabarozzi adotta come medium privilegiato un materiale povero di origine industriale quale il polietilene: esso si traduce in fluttuanti sfoglie cromatiche sagomate geometricamente, capaci di sommare in sé tanto le qualità del supporto quanto quelle della pittura. Infine, al limite della sua carriera, si concentra sui temi del filtro e dell’appannamento, che svilupperà sia in installazioni ambientali, in cui sipari di leggerissimo polietilene attutiscono l’immediata presa di possesso dell’oggetto della visione, sia nelle opere pittoriche della serie Velature, tramite la sovrapposizione di sottili strati monocromi a un diverso colore di fondo che, per quanto adombrato, continuerà comunque a esercitare il suo influsso e a imporre in trasparenza la sua nota dominante.
‒ Alberto Mugnaini