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TEMPUS (S)FUGIT (PARTE TERZA).

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Riprendiamo il corso dell’indagine dell’uomo sul concetto di tempo, avvicinandoci nella parte odierna all’epoca che più ci riguarda e che ci invita a nuove riflessioni ed a considerare ulteriori prospettive di analisi.

La filosofia moderna
Per Immanuel Kant il tempo è “una forma pura dell’intuizione sensibile”. L’uomo non percepisce la realtà esterna per quello che è, ma la percepisce attraverso l’interpretazione del singolo soggetto, nel quale i dati sensibili sono presenti come forme a priori della nostra intuizione sensibile.
Spazio e tempo non sono un prodotto della nostra esperienza, ma le condizioni attraverso le quali facciamo la nostra esperienza.
Il tempo è la forma del sentire interno. Nessuno può parlare di un “prima” è un “dopo” se non accetta che esiste una realtà, che è per l’appunto il tempo, che gli permette di farlo. Senza il tempo non esistono i fenomeni; mentre il tempo esiste a prescindere dai fenomeni che in esso si verificano.

Per Hegel il tempo è un’entità inafferrabile nella sua essenza, in quanto può essere soltanto intuito.
È un divenire che al massimo può essere intuito, non rappresentato, poiché “il tempo è l’essere che, mentre è, non è, e mentre non è, è”. Mentre lo si pensa presente, è già passato, eppure, mentre è passato, è ancora presente.

L’Essere è eterna mutevolezza, e questo divenire, questo continuo mutamento costituisce il tempo. Tutto nasce e muore; tutto è concentrato nel tempo che è, e non è. Per Hegel le tre fondamentali dimensioni del tempo (presente, passato e futuro) sono equivalenti alle tre dimensioni dello spazio (larghezza, altezza e profondità).

Per Hegel il passato e il futuro del tempo, in quanto sono nella natura, sono lo spazio. L’autoconsapevolezza dello spazio è il suo tempo.
A partire da Henri-Luis Bergson nella filosofia viene introdotta la distinzione tra il tempo fisico, ovvero quello indagato dalle scienze sperimentali, ed il tempo soggettivo, quello che appunto riguarda lo spirito e la coscienza dell’uomo.


Bergson, esponente dello spiritualismo evoluzionistico, e contrapposto al positivismo di stampo illuminista, sostiene che la scienza non può pretendere di essere l’unica fonte di conoscenza, tenuto conto che la natura degli individui è anche di carattere spirituale.
Anche in Bergson viene evidenziata la distinzione tra il tempo in senso quantitativo e il tempo in senso qualitativo.
Il primo è oggetto dell’indagine da parte della scienza ed in quanto elemento quantitativo è reversibile e sostituibile.
Il tempo in senso qualitativo è composto, invece, da elementi unici che vengono percepiti dall’individuo in base allo stato d’animo. In questo caso il tempo è irreversibile, in quanto un momento passato, un’occasione mancata, un fatto avvenuto, non è più modificabile.
Nel tempo quantitativo ogni istante è a sé, ed è privo di ogni concatenazione o riferimento agli istanti precedenti o a quelli successivi.
Nel tempo qualitativo, per la soggettività della coscienza, ogni momento è invece strettamente collegato ai momenti precedenti e ai momenti successivi.
E’ evidente, nel richiamo della soggettività, il riferimento alla linearità ininterrotta del tempo, inteso anche come presenza umana nello scorrere del tempo, che noi analizziamo con la storia nella quale i fatti e gli eventi del passato hanno sempre connotazioni psicologiche e riferimenti con la situazione del presente e con gli sviluppi futuri.
Nel tempo soggettivo di Bergson, quest’ultimo identificava la psiche con la coscienza; è la coscienza che ci consente di vivere istanti unici in una concatenazione ininterrotta ed irripetibile.
È l’individuo, con il suo stato d’animo, a percepire il tempo; quest’ultimo, infatti, scorre diversamente (più o meno velocemente) a seconda dello stato d’animo di colui che lo percepisce.
Il tempo, essendo costituito da un continuum di istanti unici che ci uniscono al passato e ci conducono al futuro, è anche il filo conduttore dell’unicità della coscienza e del suo sviluppo. Emerge nella concezione del tempo il principio di causalità che sarà poi ripreso negli studi della fisica.

Il filosofo tedesco Edmund Husserl parte dal principio di voler effettuare un’analisi fenomenologica del tempo: questo comporta l’abbandono di ogni supposizione o convinzione relativa al tempo oggettivo, e il ritorno a un concetto empirico e fenomenologico.
Per Husserl gli eventi presenti sono i soli che veramente esistono; quelli del passato rivivono nell’idealità dei ricordi, quelli del futuro nell’attesa della loro realizzazione.
Il presente però non ha una sua individuazione autonoma, ma è un microcosmo composto dalla sintesi di protensioni e ritensioni.
Per capire l’esempio della struttura temporale di Husserl egli stesso si riferisce all’ascolto di una melodia.
La coscienza unisce il suono decorso e produce l’unità rispetto ad una fase che sta per avvenire.
La ritensione è un atto di apprensione temporale che rende coscienti delle fasi immediatamente passate; la protensione è un atto di coscienza temporale che ci permette di anticipare eventi ancora non vissuti.
L’ora altro non è che il confine tra le ritensioni e protensioni.

Heidegger sostiene che il tempo trova il suo senso nell’eternità, e che quindi per comprendere il tempo bisogna partire dalla conoscenza e dalla comprensione dell’eternità.
Secondo Heidegger se Dio dovesse essere l’eternità, si determinerebbe un’aporia, in quanto sarebbe necessario conoscere Dio e sapere di lui. Deputata a questo compito è la teologia, ed in questo caso la filosofia è destinata a fermare la propria indagine perché non è lo strumento idoneo a proseguire nel precorso di questa conoscenza; la filosofia non è nelle possibilità di risolvere l’aporia nel caso in cui si identifichi Dio con l’eternità.
Nell’esistenza dell’uomo l’esperienza del tempo viene effettuata nel “Dasein”, la consapevolezza di essere, l’esserci inteso come autocoscienza dell’individuo nel momento presente, contrapposta alla coscienza dell’essere rispetto ad altri individui in una sorta di consapevolezza collettiva.
Il “Dasein” di Heidegger ha dato luogo ad una molteplicità di letture ed interpretazioni, che spesso sono andate anche al di là della originaria visione dello stesso Heidegger.
Se in Heidegger l’essere metafisico è un’eco a cui il soggetto esistenziale (dasein) non ha alcuna intenzione di sottrarsi, Sartre invece fa coincidere l’essere col nulla, arrivando a dire che l’unica realtà esistente è quella che appare al soggetto, il quale deve, ogni volta, prendere una decisione in coscienza. Si è liberi proprio in quanto non esiste nulla di assoluto, neppure le proprie convinzioni.
L’approccio esistenziale nei confronti del tempo si è sviluppato intorno ai suoi effetti sull’esistenza umana: il tempo che tutto corrompe, tutto consuma e tutto dissolve, in processi di mutamento più o meno lenti, deve essere in qualche modo afferrato dall’essere umano il quale, sospinto sempre in avanti, in balia di quest’onda temporale che non rallenta e non si arresta, sente la necessità di trovare un senso a questa esistenza vissuta come una vero e proprio “trascinamento” dallo ieri al domani.
Vengono così a determinarsi due grandi filoni: l’uno tendente alla negazione del tempo. Dato che esiste solo il presente, perché il passato ormai trascorso già non è più, il futuro invece non è ancora; è soltanto nel presente che siamo in grado di confrontarci con la nostra esistenza.

Le concezioni parmenidee sono state rovesciate nel pensiero dell’esistenzialismo. Jean-Paul Sartre sostiene che l’esistenza viene prima dell’essenza.
Le scelte dell’uomo sono condizionate dalle possibilità che il mondo gli mette a disposizione. L’uomo esiste nel mondo, ma si definisce dopo, in base alle libere scelte che compie la propria coscienza.
In questi termini, le condizioni esterne plasmano la coscienza dell’uomo e ne trasformano “l’essere in sé”, ovvero la natura dello stesso che si è formata nel passato, sulla base di tutte le scelte fatte durante la vita.
Tuttavia il presente è costituito da scelte che l’uomo deve operare qui ed oggi: su di lui cade la responsabilità di operare le scelte che ne definiscono la sua esistenza. Sartre definisce questa attitudine “l’essere per se stessi” che così enuncia: “Essere per se stessi è quell’essere che non è quello che è”. L’uomo, infatti, essendo proiettato nel futuro è mutevole, ed in grado di diventare le decisioni che prenderà.
Pertanto l’uomo del presente è soltanto un progetto per il futuro.
Anche Sartre nega il presente, sotto il profilo dell’esistenza dell’uomo; l’uomo non è nulla nel presente in quanto ha la sua natura nel passato e, sulla base di quella natura, opera le scelte nel presente per realizzarsi nel futuro.

Le opposte visioni filosofiche nel dibattito contemporaneo. Presentismo ed Eternalismo.
Sorge, quindi, intorno al concetto di tempo una dicotomia che definisce le due opposte visioni nell’approccio al concetto di tempo, che formeranno ulteriori categorie di suddivisione, stavolta di carattere trasversale rispetto all’indagine filosofica, scientifica e psicologica.

Si individua il concetto di “presentismo” in relazione alla esistenza esclusiva delle entità presenti (presentismo, appunto) o passate (passatismo).

Nel presentismo la collocazione temporale consiste nel cominciare ad esistere e cessare di esistere nel momento presente; nel passatismo l’entità comincia ad esistere continuamente, e permane nell’esistenza diventando sempre più passato, senza tuttavia cessare di esistere.

Per quanto concerne l’eternalismo, la questione appare più complessa.
L’eternalismo è stato suddiviso in eternalismo A-teorico ed eternalismo B-teorico.

Nell’eternalismo A-teorico la teoria del tempo è qualificata come tensionale o dinamica; tutte le entità passate, presenti e future sono parimenti esistenti. Il passaggio temporale viene considerato un elemento della realtà esistente.

Nell’eternalismo B-teorico il tempo è considerato un elemento presente nella sola esperienza umana. Tale teoria viene definita atensionale in quanto il passaggio temporale percepito è una mera illusione. Secondo tale teoria vengono riconosciuti come oggettivi esclusivamente i concetti di precedenza, simultaneità e successione.

Il tempo nella fisica.
Il problema del tempo poneva, da un punto di vista scientifico, questioni che erano apparentemente irrisolvibili già nell’approccio conoscitivo al concetto di tempo.

Abbiamo visto che da un punto di vista filosofico il tempo può venir valutato come entità inconoscibile alla natura umana (l’Essere di Parmenide), pertanto non esiste nel campo del conoscibile. Nel mondo della fisica, il tempo per essere oggetto dell’indagine non può essere una pura percezione soggettiva o un’entità separabile dal mondo del conoscibile, ma deve essere individuata in una sua presenza oggettiva.
L’indagine della fisica si sposta sulla misurazione del tempo e sulle sue interferenze con il mondo che conosciamo attraverso l’esperienza dei nostri sensi.

Isaac Newton nel luglio 1687 diede alle stampe i Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (Principi matematici della filosofia naturale), comunemente chiamati Principia.
Attraverso tale pubblicazione vengono definiti i principi della fisica e della meccanica, e viene operata la prima grande rivoluzione scientifica che porta all’epoca moderna.
Le leggi e le equazioni di Newton sembrano funzionare, ed assumono valore universale per il calcolo del moto dei pianeti, delle maree, delle forze gravitazionali. La particolarità è che nelle equazioni di Newton il tempo è una costante che ha un valore fisso; per Newton spazio e tempo sono immobili.
Il fatto che il tempo costituisca una variabile fissa di valore costante, indurrebbe a valutare il tempo come una dimensione percorribile in ogni direzione. Così come per lo spazio, all’interno del quale noi possiamo muoverci in ogni direzione, potremmo così percorrere il tempo tanto verso il passato, quanto verso il futuro.
In realtà, con l’ingresso delle leggi della termodinamica e con l’elaborazione del concetto di entropia, ci si rende conto dell’irreversibilità dei fenomeni connessi al tempo.
Nell’ambito della fisica delle leggi di termodinamica, il principio di causalità, per il quale nella scansione temporale una determinata causa produce un determinato effetto, genera una irreversibilità nei fenomeni fisici osservati. Nella trasmissione del calore, è un corpo caldo a cedere calore ed a trasmetterlo al corpo freddo, mai viceversa.
Il fenomeno è, peraltro, irreversibile; l’irreversibilità viene definita in relazione alla osservazione degli stati fisici. Nasce il concetto di entropia. Si torna ad una visione lineare ed unidirezionale del tempo.

Bisognerà aspettare il ventesimo secolo, con la figura di Albert Einstein, per una nuova ed epocale rivoluzione scientifica in grado di mettere in discussione il valore assoluto del tempo. Con la teoria della relatività, Einstein riesce a dimostrare che il tempo scorre diversamente a seconda dell’osservatore.
Per Einstein il tempo è sempre stato relativo.
L’episodio del confronto con Michele Angelo Besso, un suo amico conosciuto al Politecnico di Zurigo, verso il quale osserva che “guarda la torre dell’orologio laggiù, nel centro di Berna. Se avessimo un binocolo, potremmo leggervi l’ora, ma non la nostra ora. Dovremmo sottrarre il tempo che la luce ha impiegato per arrivare dall’orologio fino a noi. Sento che questa idea modificherà la nozione di tempo per un osservatore in moto. Grazie Michele!”
Per Einstein il tempo scorre diversamente a seconda della posizione di un corpo nello spazio e della sua velocità di movimento.
Il fenomeno è quello descritto nella teoria della relatività generale, ovvero quello della “dilatazione temporale gravitazionale”.
Tale dilatazione è l’effetto della interdipendenza della massa di un oggetto con quella del campo gravitazionale da esso generato. Questo campo gravitazionale deforma lo spazio-tempo. Anche la velocità dei corpi è in grado di modificare lo spazio-tempo.
Per Einstein la divisione del tempo tra passato, presente e futuro ha solo il valore di una astratta illusione.
L’esperimento di Hafele-Keating dimostra gli effetti della velocità e del campo gravitazionale sullo scorrere del tempo.
Il tempo dell’equatore terrestre scorre più lentamente che ai poli, per effetto della velocità di rotazione. Parliamo ovviamente di variazioni impercettibili sulla scala dei valori della nostra ordinaria esperienza.
Ma se ci riferiamo a sistemi cosmici e planetari, gli ordini di grandezza cambiano.
Viene dimostrata una stretta connessione tra lo spazio e il tempo, e considerare il tempo come una dimensione a se stante costituisce un errore.
Nasce la quarta dimensione, definita dello spazio-tempo. La dimensione dello spazio-tempo costituisce un contenitore dinamico, mai statico, le cui condizioni mutano col mutare del punto di osservazione.
Nell’evoluzione della fisica, nuove idee connesse allo studio delle particelle danno impulso alla elaborazione delle teorie quantistiche.
Per capire i fenomeni fisici e la meccanica dell’universo, si osserva il mondo dell’estremamente piccolo; le particelle subatomiche, sia sotto il profilo dei corpi sia sotto il profilo dell’energia.
Il tempo, nella fisica quantistica è un parametro assente, di cui la fisica sembra poter fare a meno, perdendo di significato nell’indagine degli stati quantici. Le particelle si comportano sia come corpi di materia sia come onde.

Con la cosiddetta “equazione dell’amore” di Paul Dirac si tenta la combinazione della teoria della relatività con la teoria quantistica. Si parla di teoria del tutto o teoria dei campi unificati per indicare il tentativo di unificazione delle forze costitutive dell’universo (nucleare, gravità, elettromagnetismo) in un’unica teoria in grado di spiegare tutti i fenomeni fisici conosciuti.
Alle soglie della seconda rivoluzione quantistica della fisica, all’osservazione delle proprietà delle particelle correlate, che hanno dato modo di verificare l’esistenza di correlazioni tra le particelle anche “all’esterno dello spazio-tempo”, la fisica non è riuscita ancora a fornire risposte dirimenti sul concetto di tempo, sulla natura e sull’origine di tale dimensione.
In relazione agli ultimi convincimenti, il tempo è da considerare come una convenzione umana, una sovrastruttura creata dall’uomo per comprendere la propria esistenza, e come tale relativa al mondo della coscienza e della soggettività, demandata allo studio delle neuroscienze.

Vedremo quindi, nel prossimo ed ultimo capitolo, le conclusioni di questo nostro percorso.

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