Di Cristiano Ottaviani (*)
UN CAPITANO
È finita, ma sembra impossibile. E’ il cinquantunesimo, l’ arbitro fischia tre volte mentre lui ha ancora la palla tra i piedi. Segue l’ ultimo giro d’onore, il capitano e l’ Olimpico si abbracciano in lacrime. Totti si congeda leggendo una lettera in cui non si è vergogna di dire “ho paura”. Non poteva esserci saluto più autentico da parte di un campione che per oltre due decenni è rimasto umano nonostante la divorante idolatria dei tifosi e dei media
Io, che gli sono coetaneo, lo ricordo giallorosso poco più che bambino. Ero allo stadio il 17 giugno contro il Parma e lui era giovane, biondo, vincente. Non riesco a dimenticare il“Sei unica”, “ vi ho purgato ancora “, il gesto delle quattro dita, il piccolo Cristian, la coppa del mondo a Berlino. Totti era impeto fine e genio, ma anche il boato della sud , i goal e gli applausi degli avversari al Bernabeo, a Torino e San Siro ed ero io che crescevo parallelo a quello scorrere di eventi . Negli ultimi anni mi dava nostalgia vederlo segnare e mi inteneriva il suo viso sempre più solcato perché alla fine insieme eravamo anche invecchiati Quasi un quarto di secolo fa debutta in una Roma da strapaese che stenta a cogliere le differenze tra Ciarrapico e il primo Sensi “ marchiciano e pulciaro” . È il campioncino dei primavera di cui si parla un gran bene. Il ragazzo è romano e romanista, cosa che conta, ma ha anche tecnica, tiro e sa muoversi bene. Forse, comincia a dire sommessamente qualcuno, è un risarcimento che il vivaio ci ha dato per farci tornare orgogliosi come ai tempi di Viola.
Ha la fortuna di sfuggire ai disegni di un allenatore sciroccato, che lo avrebbe venduto alla Sampdoria, e quella di incontrare due grandi tecnici . Mazzone lo protegge .Zeman lo fa crescere atleticamente e ne velocizza il gioco. Prende il numero dieci come Giannini, il principe triste.
Trequartista e seconda punta Totti grazie a goal e giocate sontuose e potenti arriva in nazionale, fuori dalla Roma però non è ben voluto. Agli Europei del 2000 strappa il suo ruolo sul campo e per un soffio non ottiene il titolo. Si ricorda il suo cucchiaio, un rito ,un passaggio : da forte a fortissimo.
Sensi redento gli compra i campioni e per vincere gli porta Capello. E’ lo scudetto del 2001 con Totti che sboccia definitivamente e una città in festa che esplode.
Leader irrinunciabile e anima di una squadra galattica appare destinato a infiniti successi. Iniziano i grandi duelli con la Juventus, il Milan e l’ Inter ma alla fine le tristi consolazioni ai secondi posti e agli episodi sfortunati di Champions, sono i record personali, qualche coppa minore e partite bellissime. Più volte nella sua carriera tutto sembra crollare, ma campionato dopo campionato matura una certezza: Totti è la Roma e la Roma è Totti.
Disprezzato dalla grande stampa del nord che non gli perdona l’ impudente ile strafottente attaccamento alla maglia, Totti è “il coatto viziato e indolente ” All’ inizio si arrabbia, poi impara a rispondere con genuinità e ironia.
A quasi trent’anni, quando la maggior parte dei giocatori inizia a pensare al ritiro, subisce un duro intervento .Salta quasi mezzo campionato e teme di perdere quello che sente essere il suo ultimo mondiale. Anche sta volta il capitano non molla e, tutto disciplina e volontà, torna a sul campo. Uomo assist a Berlino, è decisivo dal dischetto all’ ultimo minuto contro l’ Auestralia e alla fine diviene campione del mondo. Riscatta la coppa rubata nelle notti magiche del 90 dalla Germania e la sconfitta con la Francia di sei anni prima. In bellezza saluta la nazionale. Continua a essere un grande. Si trasforma in centravanti da manovra con il primo Spalletti Ha una seconda vita con 26 goal e il titolo di capocannoniere. È sempre un campione con Ranieri e gli americani che usurpano e speculano. Alla fine però le stagioni portano il conto: i minuti si fanno sempre più sporadici, inutili, fino al sipario con l’ ultimo giro.
Totti è stato il più grande giocatore della Roma e tra i più forti di sempre.
Calciatore dotato di un lancio e di un tiro importante era potente anche nel fisico che usava con grinta guappesca. Aveva classe eccelsa, visione di gioco, fantasia, tecnica nel palleggio ed eleganza nel tocco. Era un atleta generoso, umile , pronto al sacrificio, tatticamente intelligentissimo. Le sue movenze e i suoi piedi fatati tracciavano geometrie statuarie e goal marmorei, capaci di fare applaudire persino i busti dei fori. C’è sempre stato caro, a noi romani e romanisti, perché una leggenda lo vuole attraverso qualcuno amico diretto di tutti . In questa strana città dove succede ogni cosa, qualcuno dice che uno zio conosce suo padre, qualche altro sa dove mangia la pasta quando festeggia, mentre non manca chi ha preso la patente di guida con lo stesso istruttore. Io stesso a un certo punto mi sono convinto di averci giocato a pallone da piccolo a Ostia, proprio quel giorno in cui tutti in spiaggia si misero a guardare come palleggiava quel bimbo magro e biondino. Totti era nostro, non loro.
L’ affinità non era solo vicinanza, ma segreta alchimia. Indolenti e disincantati i romani, da più di quindici secoli , si rassegnano alla vita con pratica ironia. Sguaiati per pudore siamo popolo che ama nascondere la nostra più vera umanità e aggredire la malinconia perché, in fin dei conti, nulla è più come prima, senza grandezza e impero.
Totti, novello Cesare con palla, scarpette e calzoncini, era il prescelto per il trionfo sui Vercingitorice di Milano e Torino o di Inghilterra e di Spagna Sogni e ricordi insomma dietro l’ enigma della città della grande bellezza. No, 266 papi e quasi 150 anni da capitale di uno stato farlocco, non sono riusciti a farci dimenticare le nostre radici più antiche e Totti, figlio pupone di un “urbe immortale”,era, è come noi.
Troppo eterna, “ maggica” e umana per arrendersi alla vita quando si fa cattiva, Roma sogna riscatto ed è capace di risvegliarsi negli ultimi minuti quando con fuoco e cuore cerca di assassinare la bugiarda insolenza del “ maledetto tempo”.
Totti avrebbe potuto vincere altrove coppe, palloni d’oro e scudetti. La musa del calcio con la sua storia però ci ricorda una cosa: alla fine Eroe è chi combatte e sempre sa rialzarsi per ricominciare di nuovo a lottare con forza e onore anche perché successi e disfatte “sono impostori” Per questo Ettore fu più grande di Agammenone e Ulisse mostrò di essere Re, solo quando abbracciò Penelope; così è anche per Totti, campione tutto Dio, maglia giallorossa e famiglia,che nel suo ultimo istante da calciatore dice” ho paura”.
Tra qualche anno sarà bello raccontare le sue gesta a chi non lo ha conosciuto. Saranno una fiaba le sconfitte e le vittorie dei tempi in cui era il nostro numero dieci il ragazzo di Porta Metronia, El Bimbo de Oro, il quasi campione di tutto che la sua Roma però non volle lasciar mai, storia stupenda conclusa nella notte di ieri con le lacrime negli occhi azzurri uguali a quando era bambino . Nessuno come lui è stato capace di mille morti e di iniziare di nuovo più forte e grande di prima, dimostrazione che anche il calcio in questi tempi di plastica, può avere i suoi miti se sa essere vero e lo si gioca da uomo.
Ciao Capitano, ora la giovinezza è davvero finita.