Home Rubrica LA STELE DI ROSETTA TIFOSI VIOLENTI E SICUREZZA DEGLI IMPIANTI: UN PROBLEMA ANTICO.

TIFOSI VIOLENTI E SICUREZZA DEGLI IMPIANTI: UN PROBLEMA ANTICO.

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20 Settembre 2003: partita di Campionato tra Avellino e Napoli. La tensione tra le due tifoserie è palpabile. Ad aggravarla, alcune decine di tifosi napoletani che, sprovvisti di biglietto, tentano ugualmente di entrare all’interno dello Stadio Partenio. Improvvisamente, la rabbia esplode in tutta la sua violenza: i tifosi del Napoli ingaggiano una furibonda battaglia con le forze dell’ordine all’interno e all’esterno dello stadio. Un ragazzo di Napoli precipita dagli spalti e viene ricoverato all’Ospedale Moscati di Avellino: morirà pochi giorni dopo. Aveva vent’anni. Il bilancio della notte di terrore calata sul derby avrebbe potuto essere più pesante: dai primi sopralluoghi effettuati nella zona della curva nord emerge infatti che soltanto per un caso fortuito non si è verificata una tragedia. Tre giorni dopo, il giudice sportivo Laudi, letto il rapporto del quarto ufficiale e del collaboratore dell’Ufficio Indagini decide di squalificare il San Paolo (oggi Maradona) di Napoli per 5 giornate, con ulteriore disposizione che le gare si svolgano a porte chiuse.

Anno 59 d.C. Anfiteatro di Pompei. Tutti sono in attesa di un avvenimento che per la prima volta renderà questa tranquilla città campana nota in tutta Italia. Lavinio Regolo, politico mancato nella Capitale ma ancora influente a Pompei, ha organizzato i combattimenti dei gladiatori. Nessuno vuole perdersi l’appassionante spettacolo, per cui ad affollare l’arena non solo sono i pompeiani ma anche gli abitanti delle località vicine. L’atmosfera è surriscaldata, gli animi sono eccitati. È impossibile sapere se, oltre al generale clima di attesa tipico di un anfiteatro ci siano altri motivi responsabili della febbrile tensione impadronitasi del pubblico. Sembra, infatti, che tra i pompeiani serpeggiasse del malcontento per la deduzione della colonia di Nocera da parte di Nerone e per la conseguente distribuzione dei territori della città di Stabia alla nuova città, terreni su cui Pompei sperava da tempo. Fatto sta che si arriva presto alla tragedia: gli spettatori di Pompei e quelli di Nocera cominciano ad insultarsi a vicenda e poco dopo, non contenti di lanciarsi accuse verbali, afferrano e scagliano pietre. Ecco comparire prima uno, poi molti coltelli e, tra gente venuta con l’intenzione di assistere ai ludi gladiatori è ormai scoppiata una battaglia violentissima che vede i Nocerini, in numero logicamente inferiore, avere la peggio. La conclusione fu segnata da una rassegna di corpi tramortiti e pestati che ripresero a stento la via di Nocera, confusi coi morti rimpatriati in barella. L’episodio fu così impressionante che venne immortalato nel famoso affresco scoperto nell’abitazione di Actius Anicetus, uno dei pochi che mostra un’ambientazione realistica ed un fatto storicamente accertato. La gravità dell’accaduto era di proporzioni tali da richiedere l’intervento di Roma: a tale scopo un’ambasceria ufficiale imboccò rapidamente la via della Capitale, ove fu ricevuta nientemeno che dall’imperatore Nerone. Egli rimise la decisione alla discrezione del Senato, che a sua volta la scaricò sui consoli, i quali la rimbalzarono al Senato che alla fine si decise ad aprire un’inchiesta che terminò con un verdetto destinato a far dimenticare di colpo ai pompeiani l’ebbrezza della vittoria ottenuta contro gli avversari a suon di coltellate: l’anfiteatro di Pompei fu punito con una “squalifica di campo” per dieci anni! E Lavinio, il malaccorto organizzatore dei giochi, fu colpito dalla DASPO di allora: venne mandato in esilio insieme con altri “ultras” riconosciuti colpevoli di aver provocato gli incidenti. Roma aveva motivi molto validi nel voler delegare a sé il processo sugli avvenimenti: in primo luogo l’alto numero di vittime provocato dalla tragedia; inoltre, era opportuno non attizzare ulteriormente l’antica rivalità tra Pompei e Nocera. Ma il governo centrale voleva soprattutto che i giochi non fossero più turbati da incidenti di questo tipo. Forse ai nostri giorni squalificare un campo per dieci anni non sarebbe proponibile, dati gli enormi interessi che ruotano intorno al circo pedestre del calcio, e non sarebbe nemmeno proponibile (anche se auspicabile) esiliare i violenti che si rendono responsabili di trasformare quella che dovrebbe essere una sana giornata di sport in guerriglia urbana, provocando danni anche materiali il cui costo è addebitato al civile consorzio. Ma i paralleli con la nostra incerta epoca, purtroppo, non finiscono qui.

Pochi anni prima dei sanguinosi fatti dell’anfiteatro di Pompei ci fu un’altra catastrofe, anch’essa legata ai combattimenti tra gladiatori, e il ricordo di questo antico scandalo era ancora ben vivo nella memoria di tutti. Questa volta la questione riguardava la sicurezza degli impianti. I lettori ricorderanno sicuramente la tragedia dello stadio belga dell’Heysel, nel 1985, quando in occasione della finale di Coppa dei Campioni (allora si chiamava così e non UEFA Champions League) tra Juventus e Liverpool ci furono violenti scontri tra opposte tifoserie. Durante la vergognosa battaglia gli Hooligans inglesi spinsero gli Italiani a ridosso delle cancellate di protezione del campo: l’enorme pressione esercitata le fece crollare, abbattendosi sui tifosi della Juventus. Il bilancio fu spaventoso: decine di morti e centinaia di feriti senza che la polizia locale alzasse un dito (o un manganello) per impedire tale scempio.

Fidene, 27 d.C. La piccola città situata a nord di Roma attende con febbrile impazienza di assistere ad un grandioso spettacolo. Siamo sotto il regno di Tiberio, imperatore che non ama i combattimenti dei gladiatori (non ama quasi nulla, in realtà) per cui questi ludi hanno luogo molto di rado. Tanto maggiore è stato dunque l’entusiasmo degli abitanti di Fidene nell’apprendere che il liberto Atilio li ha organizzati per loro. Egli si comporta da professionista consumato: deriva il suo guadagno dal soddisfacimento dei più bassi istinti e a farne le spese sono gli schiavi che combattono per lui e che egli aizza spietatamente gli uni contro gli altri. Atilio è un abile uomo d’affari e punta sempre a ricavare il massimo profitto dalle sue attività: e per farlo, risparmia sulle norme di sicurezza. L’anfiteatro di legno approntato per i giochi non poggia su una base solida e le travi sono assicurate da morsetti inadeguati a far fronte alla pericolosità di una tale costruzione. Le tribune erette in tutta fretta si riempiono di uomini e donne di ogni età; molte delle persone presenti provengono dalla vicina Roma. Ed è già tragedia prima ancora che lo spettacolo abbia inizio: l’anfiteatro crolla, travolgendo migliaia di persone. La descrizione lasciataci da Tacito non lascia dubbi sull’orrore di ciò che accadde in seguito: “Quelli che morirono subito furono fortunati, perché non ebbero a soffrire altri tormenti”, e dopo questo impressionante rapporto si sofferma sulle ore angosciose trascorse dai feriti sepolti sotto le macerie in attesa di essere soccorsi e salvati. Secondo lo storico, il numero dei morti e dei feriti ammontò ad almeno 50.000 persone. Della sciagura, ovviamente, si occupò il Senato di Roma che esaminò le circostanze che avevano portato al crollo dell’anfiteatro, e ne trasse le debite conseguenze, promulgando severe disposizioni statali volte a disciplinare l’edificazione di costruzioni di quel tipo. In quell’occasione, il senato diede prova di gran senso di responsabilità, cosa della quale in seguito l’imperatore Caligola ebbe a lamentarsi, seppure in modo indiretto: infatti, egli rimpiangeva che durante il suo regno non fosse accaduta nessuna tragedia spettacolare quanto il crollo di un anfiteatro…

Pittura di Pompei con zuffa tra Pompeiani e Nocerini.

La validità delle norme di sicurezza istituite nel 27 d.C. fu purtroppo smentita negli anni successivi dal ripetersi di incidenti simili a quelli di Fidene. Nel Circo Massimo, ad esempio, avevano luogo, oltre alle corse dei carri, anche i combattimenti con le belve: ciò rese necessaria la realizzazione di strutture protettive per garantire la sicurezza degli spettatori. La pista fu quindi schermata con un reticolato di ferro che però non resse in tutti i punti quando, nel 55 d.C. venti elefanti tentarono la fuga ferendo molti spettatori. Ad ogni modo, particolarmente esposte al pericolo erano le file superiori del Circo, con i loro sedili di legno: sotto il regno di Antonino Pio (138-161), una parte delle impalcature di legno crollò provocando la morte di 1112 persone. Un bilancio ancora più nefasto fu raggiunto da un incidente simile avvenuto verso la fine del II secolo che causò la morte di 13.000 persone (il Circo ne poteva contenere 250.000).

Attualmente le norme dell’Unione Europea che riguardano la sicurezza degli impianti pubblici sono severe, ma relativamente recenti a dimostrazione che ci sono voluti più di duemila anni per acquisire un pur minimo senso di responsabilità: come abbiamo evidenziato in altri articoli di questa rubrica, non è facile coniugare l’avidità di guadagno con il rispetto dell’incolumità altrui, anche se ci sarà sempre, purtroppo, chi si sentirà più furbo degli altri. Dietro ogni disastro si celano l’incompetenza e la criminalità in giacca e cravatta.

Il Circo Massimo.

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