Home Rubrica LA STELE DI ROSETTA UNA GIORNATA CON L’IMPERATORE (Seconda parte: la salutatio).

UNA GIORNATA CON L’IMPERATORE (Seconda parte: la salutatio).

TRA GLI OBBLIGHI CHE SI IMPONE CE N’E’ UNO AL QUALE L’IMPERATORE NON POTREBBE SOTTRARSI: L’UDIENZA DELLA MATTINA A TUTTI COLORO CHE VENGONO A DARGLI IL BUONGIORNO: LA SALUTATIO.

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John William Waterhouse, “The Favorites of the Emperor Honorius”, 1883.

Nel precedente articolo abbiamo visto come generalmente gli imperatori trascorressero le loro giornate. Ora, in modo più specifico, entriamo nel vivo della loro quotidianità, iniziando con un obbligo importantissimo per l’epoca: la salutatio.

Le origini della salutatio
Nella Roma antica, era questo il momento in cui il pater familias della casa riceveva il cliens che, letteralmente, gli dava il buongiorno e faceva le sue richieste, che spesso consistevano in un cesto pieno di cibo, detto sportula. Gli antichi romani, dal liberto all’aristocratico, si sentivano tutti vincolati da un obbligo di rispetto nei confronti di quanti erano più potenti di loro. L’importanza di un potente era commisurata alla clientela che rumorosamente lo svegliava ogni mattina per la salutatio matutina.

Il dominus avrebbe perso in reputazione se non avesse ascoltato le lagnanze o le richieste di aiuto e non avesse risposto ai saluti della folla che lo attendeva dall’alba.

Una rigida procedura regolava questo rito quotidiano: il cliens poteva anche andare a casa del patronus a piedi oppure in lettiga, ma obbligatoriamente doveva indossare la toga e non azzardarsi a chiamarlo per nome: al magnate ci si rivolgeva sempre chiamandolo dominus, pena il ritorno a casa a mani vuote.

Se all’origine la salutatio era un dovere sociale del cliente verso il suo dominus, essa divenne poi un atto di lealismo politico, ma anche di opportunismo personale. Solo gli amici o i parenti intimi potevano esserne esentati per cause di forza maggiore. Non si andava tanto per vedere l’imperatore, quanto per essere visti da lui ed essere visti anche da cortigiani o liberti, il cui appoggio avrebbe potuto giovare, per ricordare agli altri la propria esistenza.

La salutatio in epoca imperiale
Poiché l’imperatore era la persona in assoluto più importante della società romana, è facilmente immaginabile l’assembramento dei salutantes di ogni classe sociale che ogni mattina, aspettavano l’apertura delle porte del palazzo per essere ammessi davanti al loro signore. Una gerarchia regolava l’ammissione alla “prima” o alla “seconda” udienza e, di conseguenza, all’entrata della grande sala del trono. Ovviamente, i senatori e i cavalieri amici del principe avevano la precedenza e qualche volta erano ricevuti nella sua camera.

Lawrence Alma-Tadema, “Audience with Agrippa”.

Tiberio riceveva i senatori tutti insieme e a parte, in modo che non venissero disturbati dalla calca. All’inizio del suo principato, Augusto li accoglieva uno alla volta, dopo una regolare perquisizione (era ancora vivo il ricordo dell’assassinio di Cesare, proprio per mano dei senatori che tenevano i pugnali nascosti sotto le toghe). Le donne e i bambini erano ammessi, ma Claudio aveva disposto che i loro abiti venissero ispezionati all’entrata del palazzo.

Alcuni privilegiati avevano un lasciapassare che consisteva in un anello con incisa l’effigie dell’imperatore: il diritto di portare questo anello dava libero accesso presso il principe e, grazie ai liberti del Palatino, alcuni ottennero questi “passe-partout” pagando.

I semplici cittadini, i plebei, erano ammessi a quello che veniva chiamato “saluto pubblico” o “misto” (promiscua salutatio). Augusto accoglieva le richieste dei più umili visitatori con molta cortesia, cercando di metterli a proprio agio con qualche battuta di spirito.

L’abbigliamento
In teoria, il principe riceveva i saluti vestito della toga, costume tipico del cittadino romano. Ma questo pesante vestito di lana solitamente recava fastidio a chi lo indossava come abito da cerimonia. Marco Aurelio, quando non era ancora imperatore, preferiva accogliere i visitatori nella sua camera della Domus Tiberiana in abito da casa. Ma bisogna essere sprezzanti come Nerone per comparire in pubblico avvolti di coperte bianche ricamate d’oro, o in veste da camera ornata, con una sciarpa attorno al collo, senza cintura e a piedi nudi. Anche Caligola si esibiva con mantelli ricamati, pesanti di gemme, o con un vestito di seta bordato d’oro, con ai piedi coturni (stivaletti formati da strisce di cuoio intrecciate) o zoccoli femminili. Commodo accoglieva i senatori in tunica bianca di seta, a maniche lunghe intessuta d’oro. Quanto ad Eliogabalo, beh li riceveva disteso nel suo letto!

Lawrence Alma-Tadema, “Le rose di Eliogabalo”, 1888 olio su tela. Collezione privata.

Un servizio di uscieri
Ovviamente, tutta questa massa di gente doveva essere gestita. A tale scopo, un servizio di schiavi e liberti (officium admissionis, admissionales) era incaricato di filtrare l’uditorio, sotto la direzione di un magister ab admissione. Gli annunciatori dicevano o ricordavano al principe i nomi dei visitatori.

Questi uscieri erano tuttavia inevitabilmente inclini ad approfittare del proprio ruolo: ricordiamo come alla metà del I secolo i liberti del palazzo vendessero l’autorizzazione a portare l’anello che apriva le porte della casa del principe. Certi domestici si facevano pagare molto caro un invito alla tavola imperiale o il semplice sussurrare un nome all’orecchio del signore.

L’affabilità: una qualità molto apprezzata
A volte capitava che un servizio d’ordine fosse incaricato di allontanare i questuanti che tentavano di avvicinare l’imperatore quando questi era fuori di casa, in quanto alcuni non avevano né i mezzi finanziari né il credito o la considerazione necessari per essere ammessi alla sua presenza. Tuttavia, una scorta preposta a tale funzione era incompatibile con lo spirito autentico del principato. Plinio il Giovane lodava Traiano perché usciva (anche nel giorno in cui assunse il consolato) senza alcun apparato sontuoso proprio dell’arroganza monarchica, e senza quella staffetta che, al tempo di Domiziano, apriva il passaggio all’imperatore, provocando tumulto. Nessuno veniva cacciato con la forza: al contrario, erano il corteo imperiale e i suoi littori che si fermavano. Traiano poteva essere avvicinato con facilità: scrive Plinio che “non ci sono barriere, non c’è tutta una serie di controlli umilianti e, dopo aver ormai oltrepassato mille soglie, non sopravviene nessun altro nuovo e difficile ostacolo”. Allo stesso modo, nel secolo seguente, Alessandro Severo era famoso per non rifiutare mai nessuno: secondo l’Historia Augusta, era affabile, accessibile e disponibile con tutti quelli che avevano bisogno di lui.

Busto di Domiziano, dalla Collezione Albani, fine del I secolo d.C. Parigi, Museo del Louvre.

L’etichetta: dal saluto al bacio
Tanta affabilità non era comunque imprescindibile da un’etichetta che regolava i rapporti dell’imperatore con i Romani, a seconda del loro rango. Vi erano tre modi ufficiali per ricevere i salutantes della mattina, che corrispondevano alle tre classi sociali: per i senatori c’è il bacio; per gli equites, il chiamarli spontaneamente per nome e, infine, per i plebei il saluto, che può prevedere segni di familiarità, ai quali si è sempre sensibili.

Questo in linea generale. Poi ognuno si regolava a seconda del carattere personale e delle circostanze. Augusto, Tiberio e i suoi successori ricevettero baci dai senatori. Tuttavia, Tiberio finì per proibire quel bacio quotidiano: alcuni imputarono tale gesto al suo carattere ombroso e misantropo, ma è più probabile che fu dettato da motivi igienici. A quel tempo le malattie della pelle e, in particolare, le eruzioni cutanee erano divenute epidemiche. Per gli storici, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che, con la diffusione delle grandi terme, il bagno si faceva in modo promiscuo, rendendo l’acqua un formidabile vettore di contagio. Ad ogni modo, la reazione igienica di Tiberio, affetto egli stesso da ulcere cutanee, fu mal interpretata dagli aristocratici della Curia, e ferì il loro amor proprio, ritenendo tale gesto un segno di ostilità.

Particolare della statua di Tiberio. Roma, Musei Vaticani.

E naturalmente, qualcuno finisce per esagerare
Per un principe dall’Alto Impero, l’insolenza maggiore nei confronti dei senatori consisteva nel rifiutare un bacio o farsi baciare la mano. Ecco, quindi, che Caligola porgeva al bacio la mano “disposta in forma e in movimenti osceni”, come se porgesse al bacio il proprio sesso: ciò fece irritare non poco il tribuno Cherea. Come se non bastasse, Caligola si faceva baciare anche i piedi.

Il bacio dei piedi era un atto di sottomissione servile che richiamava le pratiche di origine orientale. Fu il padre dell’imperatore Vitellio che, ritornato dalla Siria, inaugurò il rito dell’adorazione, non osando comparire al cospetto di Caligola se non con il capo velato e camminando all’indietro, prima di prosternarsi ai suoi piedi. Tanto Claudio quanto Traiano e i suoi successori della stirpe antonina condannarono questa usanza, detta proskynesis, originaria della Persia e tanto cara agli antichi Re dei Re e adottata da Alessandro Magno, cosa che fece infuriare non poco i suoi soldati macedoni e che alcuni collocano tra i possibili moventi di un suo probabile assassinio. Secondo Plinio il Giovane, però, sembra che anche Domiziano non disdegnasse tale pratica e, in un rilievo della Colonna Traiana si vede il principe che si lascia baciare la mano dai soldati che lo ringraziano per un atto di liberalità.

Rilievo 94 della Colonna Traiana. I soldati levano le mani verso il loro princeps. Si ritiene che si tratti della V salutatio imperatoria.

L’adorazione si imporrà comunque sotto la Tetrarchia e nel Basso Impero: i Romani ammessi all’udienza dell’imperatore seduto sul trono si sarebbero dovuti genuflettere e baciare poi un lembo del suo manto.

Si conclude così la seconda parte di questa miniserie. Nella prossima continueremo a seguire la giornata dell’imperatore, questa volta seguendolo nelle sue udienze al Senato.

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