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UNA GIORNATA CON L’IMPERATORE (Terza parte: le riunioni al Senato).

L’IMPERATORE PRENDEVA PARTE ALLE RIUNIONI AL SENATO IN QUANTO PRINCEPS, LA CUI AUTORITA’ MORALE, POLITICA E CARISMATICA PREVALEVA SU TUTTE LE ALTRE, POICHE' SI PRESUMEVA CHE IL POPOLO DI ROMA GLI AVESSE DELEGATO TUTTI I POTERI.

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Fotogramma dal film “The fall of the Roman Empire”, 1964.

Eccoci giunti alla terza parte di questa miniserie dedicata alla giornata dell’imperatore. Dopo aver visto come egli ottemperava all’obbligo della salutatio, possiamo continuare a seguirlo con discrezione mentre affronta un’altra fase della sua giornata: la riunione al Senato.

L’imperatore al Senato: le prerogative
Prima di entrare nel merito, è opportuno conoscere i poteri e le prerogative che il princeps aveva nell’augusto consesso. In quanto destinatario dei poteri avuti in delega dal popolo romano, l’imperatore poteva conferire di propria iniziativa e a chi voleva, la cittadinanza romana; poteva ammettere a far parte del Senato chiunque gli sembrasse degno di indossare il laticlavius, la toga bordata di porpora. All’imperatore spettava l’iniziativa delle leggi; i provvedimenti del Senato, detti senatoconsulti, che fissavano le regole del diritto civile, erano preparati dai suoi collaboratori e dal suo consiglio.

In realtà, l’imperatore era il princeps senatus, anche se non aveva questo titolo ufficiale. Poteva quindi esprimere il suo parere per primo ma anche per ultimo: ciò turbava i bassi adulatori e i paurosi, ansiosi di conoscere l’opinione imperiale prima di esprimerne una.

Tra le sue prerogative, egli poteva convocare o disporre di convocare i senatori per il voto di un senatoconsulto; le sue proposte avevano la precedenza ed erano sempre scritte all’inizio di un ordine del giorno. La sua potestà tribunizia gli conferiva anche il diritto di intercessione, cioè il potere di opporsi ad una decisione senatoriale.

La Curia Julia, antica sede del Senato romano. Inaugurata da Ottaviano nel 29 a.C. fu rifatta da Diocleziano in seguito all’incendio del 283 durante il regno dell’imperatore Carino. Si trova all’angolo fra l’Argileto e il Comizio. Roma, Foro Romano, Parco Archeologico del Colosseo.

Ad ogni modo, la presenza dell’imperatore alle sedute costituiva un segno di riguardo molto apprezzato dai senatori. Ma i Cesari del III secolo d.C. non avrebbero più partecipato alle sedute della Curia. Questo per due motivi: il primo è che il Senato aveva già perso tutto il suo ruolo legislativo; il secondo è che gli imperatori-soldati dovevano combattere alle frontiere dell’Orbis Romanus, piuttosto che dibattere su questioni giuridiche.

L’imperatore al Senato: le differenze tra un princeps e l’altro
All’inizio del principato Augusto disapprovava i dibattiti senza fine, come anche le contestazioni più o meno violente. Non ci si faceva scrupolo di far chiasso, al punto che un giorno egli lasciò la Curia infuriato, mentre i senatori gli ricordavano il loro diritto imprescindibile di esprimere il loro parere sugli affari di Stato.

Interno della Curia Julia con il pavimento originale e la sua ricostruzione, con in fondo la statua della Vittoria, fatta rimuovere – con il plauso del vescovo di Milano, Ambrogio – in seguito all’Editto di Tessalonica del 380.

Tiberio, inizialmente, concesse una parvenza di libertà rispettando rigorosamente le prerogative e l’indipendenza del Senato: vi entrava da solo, senza scorta e, quando era malato, vi si faceva trasportare in lettiga, rimandando indietro gli schiavi del suo seguito. Si recava con assiduità alle sedute. Alcune decisioni della Curia erano prese anche in contrasto con il suo parere: votava come gli altri senatori e a volte gli capitava di votare con la minoranza. Ritiratosi, come sappiamo, nella magnifica Villa Jovis, a Capri, Tiberio comunicò con il Senato solo attraverso dei messaggi.

Capri, una suggestiva immagine di Villa Jovis, ultima dimora dell’imperatore Tiberio. Fonte Ministero della Cultura.

Nerone si interessò poco degli affari di Stato. Egli inaugurò il suo regno con un discorso che sembrava voler restituire alla Curia le sue prerogative: in realtà, scrive Tacito, “molte questioni furono regolate dall’autorità stessa del Senato”. Ma dal principio i senatori deliberavano al palazzo imperiale del Palatino per permettere all’imperatrice-madre Agrippina di ascoltare tutti i dibattiti da dietro ad una tenda…

Ricostruzione grafica del volto di Nerone. By Haroun Binous.

Vespasiano frequentava con assiduità la Curia, quando non si faceva rappresentare dal figlio Tito. A dispetto o a causa del suo liberalismo, venne investito dalle invettive e dagli oltraggi del genero di Trasea Peto, Elvidio Prisco, al punto che un giorno i tribuni della plebe dovettero arrestare in piena seduta l’irascibile repubblicano. Trasea, un filosofo e scrittore di dignità senatoria, venne condannato al suicidio da Nerone il quale, dopo aver represso la Congiura dei Pisoni, decise di sbarazzarsi di chiunque considerato, anche potenzialmente, ostile. Elvidio, fervente repubblicano e simpatizzante dei cesaricidi Bruto e Cassio, venne condannato all’esilio in Macedonia, dal quale rientrò solo dopo la morte di Nerone. Nominato pretore, fu sempre in dissenso con Vespasiano e nei suoi editti pretori non lo riconobbe mai come imperatore, tanto da chiamarlo per nome. A forza di provocazioni, Elvidio Prisco si guadagnò un altro esilio e poco dopo, l’imperatore ne dispose l’esecuzione capitale

Nell’età antonina si tentò ancora di far apparire in funzione una sorta di diarchia: l’Historia Augusta loda Adriano perché si recava alle sedute ordinarie, e cioè due volte al mese (alle calende ed alle idi, salvo in settembre e in ottobre) quando soggiornava a Roma o nei dintorni. Ma spesso interveniva per interrompere i senatori e per imporre il suo parere su quello di eventuali contraddittori.

Busto loricato di Adriano. Roma, Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, Scalone.

Antonino Pio preferiva ascoltare ed informarsi e si sforzava giocare secondo le regole del principato parlamentare, ma senza eccesso di zelo, a differenza del suo successore.

Ogni volta che poteva, infatti, anche se non aveva provvedimenti da proporre, Marco Aurelio prendeva parte attiva alle sedute del Senato; all’occorrenza, quando era in vacanza nella residenza in Campania o altrove, si trasferiva a Roma per presentare una proposta. Nei giorni in cui il Senato designava i magistrati (consoli, pretori, edili, questori, tribuni della plebe), l’imperatore faceva di tutto per essere presente e restava in aula fino a notte, aspettando che uno dei consoli in carica avesse pronunciato la formula tradizionale: “Non vi tratteniamo più oltre, o padri coscritti”.

Col passare del tempo, come abbiamo già detto, i senatori non videro più gli imperatori, se non nel giorno del loro avvento al trono quando, nella Curia, esponeva il proprio programma di governo. Poteva anche accadere che ciò avvenisse attraverso un messaggio, senza la presenza fisica del princeps. Ma Settimio Severo, nel giugno del 197, entrò in Senato con tutto l’apparato di una scorta di soldati armati per pronunciare ai senatori terrorizzati l’elogio di Silla, di Mario e di Commodo.

Busto marmoreo di Settimio Severo. Monaco di Baviera, Gliptoteca.

Lasciando i senatori in preda al terrore, concludiamo un altro episodio di questa miniserie. Vi diamo appuntamento alla prossima puntata, nella quale parleremo di un altro obbligo a cui l’imperatore deve ottemperare nel corso della sua giornata: la partecipazione al consilium principis.

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