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Viaggio nel pianeta Coldplay: 4 sold out all’Olimpico.

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Coldplay

Non un concerto, ma un’ opera d’arte. Non ci viene in mente una definizione più appropriata ripensando ai quattro giorni di musica che i Coldplay hanno portato allo Stadio Olimpico di Roma. A circa un anno di distanza dalle precedenti tappe italiane, – nel 2023 riempirono il Maradona e San Siro– la band di Chris Martin è tornata, questa volta nella Capitale che nel 2023 non entrò a far parte del tour. Una prima volta all’Olimpico per quelli che si potrebbero definire i Beatles del 2000, tornati nella città eterna 21 anni dopo l’ultima comparsa al Centrale del Foro Italico, pionieri del pop inteso come lo conosciamo oggi e autori di una serie infinita di inni generazionali che, con i loro 85 milioni di ascoltatori mensili su Spotify, li stanno trasformando nell’emblema cult dei Zillennials (quei ragazzi che oggi cercano una collocazione tra la Generazione Z avvolta nel mondo dei social e gli ultimi nati della generazione X che ben ricorda i mutamenti musicali e culturali di fine secolo). D’altronde, la generazione nata negli anni Novanta si è trovata orfana di una cultura musicale rock, che con la fine di Kurt Cobain ha finito per lasciare nel dimenticatoio chitarre elettriche e virtuosismi vocali tipici del grunge; invece, proprio i Coldplay fin dai tempi del primo album Parachutes sono riusciti a conciliare le sonorità del rock con l’egemonia pop che ormai da più di vent’anni domina le classifiche. Assistendo allo show dell’Olimpico, si nota subito come i 4 inglesi abbiano dato vita ad un repertorio eterogeneo e vario in grado di spaziare delle ballads acustiche di Parachutes (Yellow e Sparks) all’indie-rock di Viva la Vida or Death and All this Friends (pensiamo alle due tracce omonime dell’album e a Violet Hill), fino ad arrivare alla musicalità elettronica di Ghost Stories (che contiene il capolavoro A Sky Full of Stars).

Chris Martin, Coldplay

Music of The Spheres, ispirazioni e giochi di luce del Tour dei record

“Ognuno è un alieno da qualche parte”, è il motto con il quale Chris Martin riempie gli stadi di tutto il mondo, scritto ben visibile sulla sua maglietta azzurra che indossa durante i concerti. Grande merito dei Coldplay è quello di trasportare i loro fans su altre dimensioni con l’aiuto di effetti speciali interattivi che danno alle ambientazioni dei loro show un clima in stile George Lucas in Star Wars. Non a caso il tema portante del concept album Music of The Spheres, che ha dato il titolo al Tour mondiale, è proprio il viaggio interplanetario riproposto poi nei concerti con le performance di Sparks e Hymn for the Weekend. Influenzati ( a detta dello stesso Martin) da band come i Radiohead, i Beatles e gli A-ha, i Colplday sono gli iniziatori di una corrente musicale che va a racchiudere gruppi come Imagine Dragons, Maroon V o Twenty One Pilots e li ha resi gli artisti simbolo del pop contemporaneo. A Roma hanno dimostrato le loro capacità di unire le generazioni X e Z mischiando elementi di classicismo musicale di ispirazione rock alla deriva (o dipendenza) social che ci vincola a cercare il miglior video per Instagram o Tik Tok. Non c’è da stupirsi se in pochi hanno ascoltato il consiglio di Martin di lasciare “i telefoni in tasca e le mani al cielo” prima di ricominciare (Il siparietto della band che si ferma e finge di andarsene a metà canzone aveva succitato un misto tra emozione e preoccupazione) a suonare A Sky Full of Stars. E’ proprio al momento di questa canzone manifesto della Band che si concretizza l’opera d’arte: i braccialetti distrubuiti ad ogni spettatore all’entrata si illuminano di blu e bianco, dipingendo una notte stellata sul prato e sugli spalti dello Stadio e proprio quando parte il ritornello elettronico, comprodotto con il compianto Tim Bergling alias Avicii, sulla testa degli spettatori le stelle lasciano spazio ad uno spettacolo di fuochi d’artificio in un’unica combinazione di luci, musica ed emozioni.

Coldplay

Viaggio sul pianeta Coldplay: il racconto dell’ultima serata

L’ingresso nello Stadio Olimpico stracolmo fin dalle prime ore della sera (alle 19 sale sul palco Rose Villain per scaldare i fans con hit dell’estate quali “Come un Tuono” e “Click Boom”) è subito qualcosa di magico. Insieme al braccialetto quest’anno ci sono anche degli occhiali speciali che permettono di “vedere il mondo con amore”; la curiosità è troppa per attendere il momento in cui Martin chiederà allo Stadio di indossarli (quasi alla fine del concerto, durante la performance di Good Feelings, canzone che sarà inserita nel nuovo album Moon Music in uscita il 4 ottobre) e tutti li hanno provati almeno una volta fin dalle prime note di Higher Power, la traccia con cui si apre lo show. Indossando gli speciali occhiali intorno alle luci, che siano quelle che illuminano il palco, le torce dei telefoni o persino il bagliore riflesso della luna, compare un enorme cuore colorato. Si capisce subito che lo spettacolo è imperdibile e i 65000 a serata giugneranno alla fine carichi di energie e forse convinti di aver assistito al più bel concerto della loro vita. Il totale degli spettatori è 260000 e Martin prova a coinvolgerli tutti, facendoli salire sul palco per una canzone extrascaletta a richiesta (Let Somebody Go, Magic, Everglow) e inquadrandoli in un goliardico momento di improvvisazione: quando le telecamere colgono Roger Federer con la famiglia al campione del tennis viene riservata un’ovazione con tanto di complimenti di Martin, “Ciao Roger, sei il più bello di tutti i tempi”. I Coldplay più volte sottolineano la loro sensibilità ai temi caldi della politica sociale, dall’ambientalismo alla causa dei diritti LGBTQ (Durante People of the Pride Chris sventola la bandiera arcobaleno). Nel tour la plastica è bandita, le fontanelle sparse per lo stadio incitano il pubblico a riempire le bottigliette portate da casa alle quali peraltro non viene rimosso il tappo all’ingresso dalla security come nella maggior parte degli eventi. Il palco dei Coldplay, a differenza di quanto accaduto con altri artisti che si sono esibiti all’Olimpico quest’estate (Ultimo, Max Pezzali ecc…) è allestito sotto la curva Sud dando vita ad un parterre più capiente. Quando i braccialetti si illuminano di giallo prima di Yellow l’impatto visivo è qualcosa di unico. Il repertorio musicale della band è troppo ampio per inserire tutti i successi in scaletta; sicuramente c’è chi avrà sentito la mancanza di Every tearsdrop is a Waterfall, In My Place, Charlie Brown o Trouble, ma l’intuizione dei giochi di luce e l’unione delle 60000 voci (Viva la Vida e Fix You sono cantate quasi interamente dal pubblico) rendono ogni traccia un piccolo capolavoro. Martin interpreta la figura dell’alieno che è insito in ognuno di noi indossando la maschera di extraterrestre su Something just like this (poi consegnata ad un addetto alla sicurezza invitato sul palco) o avviando un surreale duetto con Angel Moon (il pupazzo dei Muppet) su Human Heart. Il frontman prova a scaldare gli italiani con alcune parole nella nostra lingua, limitandosi ad un “Daje Roma” ed un “Ci vediamo presto” (che si riferisca ad un imminente annuncio di una nuova data italiana?) che infiamma il pubblico della Capitale. Canzone dopo canzone lo spettacolo si conclude con la traccia novità, già amatissima a quanto pare, feelslikeimfallinginlove (scritto volutamente senza spazi). Un anno dopo Napoli e Milano, anche Roma è stata trasportata sul pianeta Coldplay.

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