Vindolanda era una delle tante fortificazioni costruite lungo il Vallo di Adriano, il possente muro che segnava il confine dell’Impero Romano in Britannia. Ubicato a circa due chilometri dalla parte meglio conservata del Vallo, serviva a vigilare sulla Stanegate, la strada che andava dal fiume Tyne all’estuario del Solway, a pochissima distanza, quindi, dal confine scozzese, abitato all’epoca dai Pitti. Per oltre trecento anni, il forte fu una base dell’esercito romano. Sullo stesso sito furono costruiti successivamente nove forti, ognuno dei quali andava a sostituire il precedente. Occupato da una guarnigione batava di cavalleria e fanteria, al suo interno vivevano anche civili, tra artigiani, commercianti oltre ai familiari dei soldati. Gli scavi del castrum, iniziati negli anni Trenta del XX secolo, sono ancora in corso e continuano a restituire oggetti incredibili ed inaspettati, oltre, e soprattutto, alle ormai famose Tavolette di Vindolanda, che hanno gettato luce sulla vita quotidiana nel forte: comunicazioni militari e corrispondenza privata, hanno fatto di queste tavolette una delle scoperte archeologiche più importanti nella storia della Gran Bretagna. È di questo e di altro ancora che parleremo in questo nuovo articolo per La Stele di Rosetta.
TABELLA DEI CONTENUTI:
- I ROMANI IN BRITANNIA
- IL VALLO DI ADRIANO
- IL FORTE DI VINDOLANDA
- GLI SCAVI
- GLI OGGETTI RINVENUTI
- LE TAVOLETTE DI VINDOLANDA
- LEGGEVANO TUTTI?
- VINDOLANDA OGGI
I ROMANI IN BRITANNIA
Il primo contatto diretto tra i Romani e i Britanni ci fu quando Giulio Cesare condusse due campagne militari in Britannia, affermando nel suo De bello Gallico che i popoli di quest’isola stessero aiutando la resistenza gallica, contro la quale egli era ancora impegnato militarmente. Cesare non fece conquiste territoriali, ma stabilì un sistema di clientele e portò parte della Britannia nella sfera di influenza di Roma. Anche sotto Augusto le relazioni tra i due popoli restarono di tipo diplomatico, con ambasciatori inviati dai sovrani dei Britanni all’imperatore.
L’effettiva invasione romana della Britannia si ebbe al tempo dell’imperatore Claudio: nel 43, le forze romane al comando di Aulo Plauzio sconfissero i Catuvellauni (una tribù celto-belgica del sud-est della Britannia) e i loro alleati nelle due battaglie del Medway e del Tamigi. Raggiunto da Claudio in persona con dei rinforzi, Plauzio marciò sulla capitale catuvellauna, Camulodunum (oggi Colchester), conquistandola. Intanto, il futuro imperatore Vespasiano sottometteva il sud-ovest.
Nel 61 scoppiò una rivolta nell’isola di Mona (oggi Anglesey, nel Galles del nord) guidata da druidi e druidesse, a cui i Romani erano avversi, ufficialmente a causa dei riti sanguinari che si propagandava venissero eseguiti dai sacerdoti celti, ma in realtà perché essi consideravano i druidi pericolosi in quanto importanti e fondamentali figure di riferimento della società, dell’identità e della coesione della cultura e del popolo celtico. A tali figure e alla strage che seguì nell’isola ad opera del governatore Gaio Svetonio Paolino, abbiamo dedicato un articolo a cui vi rimandiamo per chi volesse approfondire.
Per i primi venti anni, il dominio romano fu talmente oppressivo e brutale da spingere nel 60 o 61 la regina Boudicca, regina degli Iceni (stuprata e picchiata insieme alle figlie dagli invasori), a mettersi a capo di una gigantesca coalizione che mise a ferro e fuoco la Britannia, e a cui, anche in questo caso, abbiamo dedicato un ampio articolo.
Negli anni successivi, i Romani conquistarono buona parte dell’isola. Il governatore Gneo Giulio Agricola sottomise la tribù celtica degli Ordovici nel 77, e i Caledoni (un gruppo di tribù appartenente alla popolazione dei Pitti, nell’odierna Scozia) nell’83. Agricola si guadagnò una buona fama come amministratore, oltre che come comandante militare, combattendo la corruzione. Potenziò la romanizzazione della Britannia, incoraggiò la costruzione di città sul modello di quelle romane e fece educare i figli dei nativi secondo i costumi romani. La costruzione dei vari avamposti, compreso quello di Vindolanda, fu ordinata dallo stesso Agricola, nel 79.
IL VALLO DI ADRIANO
Nel 105, una devastante invasione dei Pitti portò alla distruzione di numerosi forti di confine in Scozia, tanto che alcuni furono abbandonati. Ciò fu causato dal ritiro di parte delle truppe provinciali ordinato da Traiano per la conquista della Dacia, che costrinse l’imperatore a rinunciare alla difesa delle conquiste di Domiziano della Scozia centrale. Questo portò allo spostamento verso sud della frontiera, fino alla linea dello Stanegate, presso la linea Solway-Tyne.
Una nuova rivolta scoppiò nel 117, sotto il principato di Adriano. Quando l’imperatore raggiunse la Britannia durante il suo famoso viaggio attraverso le province, dispose, nel 122, la costruzione di un vallum, conosciuto poi come il Vallo di Adriano che venne innalzato lungo la linea di frontiera dello Stanegate. La costruzione del muro difensivo dimostra che l’Impero percepiva una potenziale minaccia militare nella zona. Nelle Tavolette di Vindolanda, però, non si parla molto delle popolazioni locali. In un frammento si legge: “I Britanni non usano armature per proteggersi. Hanno molta cavalleria. I cavalieri non usano nemmeno le spade, i brittunculi montano a cavallo per scagliare giavellotti”. Il termine brittunculi è un diminutivo che significa “piccoli britanni” o anche “miserabili britanni”, il che suggerisce il disprezzo dell’autore del messaggio.
Il Vallo di Adriano divideva l’isola in due parti, era lungo 117,5 km e attraversava la parte settentrionale della Britannia nel suo punto più stretto, da Carlisle a Newcastle. Esso rappresentava il confine più settentrionale dell’Impero, oltre ad essere il più pesantemente fortificato. Le mura erano alte 5 metri e lungo di esse erano posizionati quattordici forti principali, ottanta castelli militari adiacenti alle porte e centocinquanta torri di avvistamento. La sua costruzione venne completata nel giro di sette anni dai soldati di tutte e tre le legioni occupanti. Il percorso prescelto seguiva la Stanegate, già difesa da un limes e da diversi forti, come quello, appunto, di Vindolanda.
IL FORTE DI VINDOLANDA
Ora che abbiamo contestualizzato la presenza del forte di Vindolanda, possiamo procedere ad esaminarlo nel dettaglio. Come abbiamo visto, la sua costruzione è antecedente a quella del Vallo di Adriano, di cui divenne in seguito parte integrante del sistema difensivo.
Le fasi di costruzione
Il forte fu inizialmente costruito in legno e tufo, i cui resti giacciono 13 metri sottoterra e si sono conservati eccezionalmente bene grazie all’umidità del clima.
Da questa fase si passò ad una successiva in cui il forte fu realizzato in pietra con una serie di costruzioni militari accompagnate da capanne per ospitare le famiglie dei soldati.
Successivamente, fu costruito un altro forte in pietra che vide lo svilupparsi di un vicus ad ovest delle mura, molto probabilmente composto da mercanti ed artigiani che rifornivano il presidio con vari prodotti: è proprio grazie ad un altare qui rinvenuto nel 1914 che si è potuti risalire al nome del sito, Vindolanda. Il forte di pietra e il villaggio circostante rimasero in funzione fino al 285, quando furono abbandonati per una ragione sconosciuta. Anche quando il castrum venne ricostruito intorno al 300, le persone non tornarono più nell’insediamento civile, forse per ragioni di sicurezza.
Intorno al 370, la fortezza fu rinnovata un’ultima volta e fu abitata anche dopo che i Romani lasciarono la Britannia nel 410. In realtà, Vindolanda continuò ad essere occupata da civili per altri 400 anni tant’è vero che ne troviamo menzione nella Notitia Dignitatum (IV-V secolo), e nella Cosmografia di Ravenna (ca 700).
L’aspetto
Visto dall’alto, il forte è circondato da un muro con angoli arrotondati. Su entrambi i lati del cancello sono visibili le torri, mentre nella zona centrale dell’insediamento è presente un edificio identificato come le terme del forte.
Nel III secolo, il forte aveva la forma di un rettangolo di 155×100 metri. Aveva quattro porte su ogni lato. Al centro del campo vi era il quartier generale mentre alla sua sinistra ed alla sua destra vi erano un horreum (granaio) e il praetorium (l’alloggio del comandante del forte). Il resto del campo era occupato da caserme.
La guarnigione
Prima del 90, nel forte era di stanza la Cohors I Tungrorum, composta dalla fanteria, e fra il 95 e il 105 troviamo la Cohors VIII Batavorum, un misto di fanteria e cavalleria. Entrambe appartenevano all’esercito romano, ma rientravano nei cosiddetti auxilia, contingenti reclutati nelle province dell’Impero, i cui membri ricevevano la cittadinanza romana in seguito al completamento di venticinque anni di servizio. Chi invece voleva arruolarsi nelle più celebri legiones doveva già essere cittadino romano a pieno titolo. Nelle tavolette ritrovate nel forte, i legionari vi appaiono di tanto in tanto: probabilmente individui e distaccamenti di vario tipo transitavano per il castrum o vi stazionavano temporaneamente.
In modo analogo, il semplice fatto che un’unità fosse formalmente di stanza a Vindolanda non significa che quella fosse la sua base permanente: un rapporto sulle forze della prima coorte di Tungri elenca 752 effettivi nei suoi ranghi, ma solo 296 erano a Vindolanda in quel momento. Cinque dei sei centurioni erano assenti, uno di loro a Londinium (oggi Londra) e altri due, insieme a 337 soldati, a Coria (oggi Corbridge), a meno di un giorno di marcia. Degli uomini a Vindolanda, trentuno erano registrati come non idonei al servizio e internati nell’ospedale della base. Dieci soffrivano di infiammazione agli occhi. Uno scavo ha rivelato che i pavimenti delle baracche erano coperti da uno strato di canne e giunchi, a cui se ne sovrapponevano altri quando era troppo sporco. Poco illuminate ed infestate da insetti e parassiti, queste baracche sovraffollate erano un terreno fertile per ogni sorta di infezione.
I Batavi, originari della Renania
La nona coorte di Batavi di stanza a Vindolanda proveniva da un’area dei Paesi Bassi, vicino all’attuale città di Nimega. Le truppe batave che militavano nell’esercito romano erano originarie del delta del Reno. Fisicamente dovevano presentarsi come i tedeschi: biondi, occhi chiari, piuttosto alti. Furono valorizzati militarmente a partire da Giulio Cesare. Tacito sottolinea che la popolazione dei Batavi era esente dal tributo e i militari di questa etnia erano utilizzati soltanto in battaglia e per le guerre, “quasi fossero dei dardi o delle armi”.
GLI SCAVI
La prima menzione delle rovine di Vindolanda fu fatta nel 1586 dall’antiquario William Camden nella sua composizione “Gran Bretagna”. In seguito, il sito fu visitato da Christopher Hunter nel 1702 e da John Warburton nel 1715.
I primi veri scavi archeologici furono iniziati dal Rev. Anthony Headley nel 1814 fino alla sua morte avvenuta nel 1835. Essi ripresero nel 1914, come abbiamo visto, quando venne ritrovato un altare che confermò il nome romano del sito.
Negli anni 30 del XX secolo iniziarono scavi metodici ad opera dell’archeologo Eric Birley e proseguiti dai suoi figli e nipoti. I quali se ne stanno occupando tutt’ora. Infatti, il forte di Vindolanda è così esteso che ne è stato rinvenuto solo il 24%! Ed è per questo che ancora oggi continuano ad emergere nuovi oggetti.
GLI OGGETTI RINVENUTI
Scarpe, gioielli, spade, punte di freccia e lancia, vestiti, utensili, tavole splendidamente conservate: sono questi i doni che ci ha regalato e che continua a regalarci Vindolanda, e dei quali faremo solo qu
2009: l’altare di Giove Dolicheno
Vicino alla porta settentrionale del forte venne rinvenuto da Andrew Birley un santuario con un altare considerevole ed eccezionalmente ben conservato. Alto 110 cm fu dedicato da un prefetto della IV Coorte Gallica a Giove Dolicheno. Questa divinità era in origine un dio del tempo, conosciuto come Hadad dagli Aramei. Fu nella sua rappresentazione guerriera che il dio di Dolico (una città dell’Anatolia) venne venerato dai soldati romani. Secondo Birley, altari importanti come questo sono scoperte rare e trovare un tale santuario dentro il forte è molto insolito.
2011: capanne circolari
Una serie di capanne circolari venne rinvenuta dagli archeologi all’interno del forte. Furono costruite durante il periodo travagliato dell’invasione romana della Scozia sotto Settimio Severo (208-211). La ragione per la quale furono edificate è poco chiara, dal momento che non rientravano negli schemi romani e che sarebbe stato più appropriato ritrovare a nord del Vallo. Secondo il direttore degli scavi Andrew Birley, è possibile che esse rappresentino il tentativo dell’esercito romano di provvedere alle necessità delle comunità agricole, creando un rifugio temporaneo per le persone più vulnerabili al di là del Muro. Queste persone potrebbero aver contribuito ad alimentare l’esercito romano e sarebbero stati quindi considerati come traditori e collaboratori agli occhi dei ribelli del nord. Avrebbe avuto senso, pertanto, portarli dietro la protezione del Vallo mentre i combattimenti continuavano, creando per loro delle capanne alle quali erano abituati da generazioni.
2014: una rara moneta d’oro
Datata tra il 64 e il 65 reca incisa l’immagine dell’imperatore Nerone. La scoperta è importante perché, tra le migliaia di monete rinvenute a Vindolanda, essa è l’unica d’oro, ancora brillante come se fosse caduta appena dalla borsa di qualcuno. La moneta è un aureo e rappresenta la metà del salario annuale di un soldato ausiliario, ed era rimasta in circolazione per oltre 300 anni prima di andare perduta in questo avamposto dell’Impero.
2014: il primo sedile in legno per latrine
Una tavoletta in legno con un foro centrale: nelle latrine, essa veniva utilizzata come sedile. Perfettamente conservata, risale al II secolo e secondo gli esperti si tratta di un ritrovamento unico nel suo genere. Nell’Impero Romano sono stati rinvenuti molti sedili in marmo o pietra, ma questo sarebbe l’unico sopravvissuto in legno. Probabilmente il legno veniva preferito ad una fredda pietra, visto che Vindolanda si trovava già in un luogo piuttosto freddo.
2016: centinaia di scarpe
400 scarpe per uomini, donne e bambini sono state rinvenute nel corso degli scavi, portando il totale di scarpe trovate nel sito ad oltre 7.000. Gli archeologi hanno praticamente ritrovato tutti i tipi di calzature possibili. Il sito di Vindolanda ha conservato più scarpe romane che in qualunque altro luogo dell’Impero. Le calzature sono state rinvenute in un fossato difensivo: perché? Quando nel 212 le truppe e i loro familiari lasciarono il forte, tutto quello che non poterono portare con sé lo gettarono nei fossati. Questi rifiuti furono presto sigillati quando venne costruito un nuovo forte, preservando gli oggetti in un ambiente privo di ossigeno. Vi sono scarpe di ogni genere: dalle ciabatte alla moda per donne, agli stivali da marcia, scarpe per bambini, sandali, calzature per la casa o fuori.
2018: due guantoni da boxe
Due eccezionali guantoni da boxe in cuoio, risalenti al 120, talmente ben conservati da poter essere ancora indossati; uno di loro conserva ancora impresse le nocche del suo antico atleta. Sono probabilmente gli unici esemplari di epoca romana sopravvissuti. Simili a fasce imbottite di cuoio, erano progettati per proteggere solo le nocche durante l’impatto. Al loro interno dei materiali naturali, come dei rotoli di cuoio, ne attenuavano i colpi. Nell’esercito romano si praticava la boxe per migliorare il combattimento e la forma fisica. Anche in questo caso, la loro conservazione è stata possibile grazie alla permanenza in un ambiente privo di ossigeno.
2018: la mano votiva di Giove Dolicheno
Di un realismo impressionante, la mano è attribuita a Giove Dolicheno. Di 10 cm, è stata ritrovata accanto al tempio dedicato alla divinità. Risale al periodo delle campagne in Britannia di Settimio Severo (208-212), un’epoca caratterizzata da conflitti interni, guerra civile, genocidio e ribellione contro il dominio romano.
2023: una falera d’argento
Le phalerae erano delle prestigiose decorazioni che alcuni soldati romani potevano sfoggiare sul petto. Erano dischi realizzati con metalli preziosi e quello di Vindolanda raffigura la testa di Medusa con serpenti come capelli e delle ali. Rinvenuta nel pavimento di una caserma dell’epoca di Adriano (117-138), sembra essere stata perduta, in quanto non era un oggetto da buttare via: questi oggetti premiavano il valore dei soldati in battaglia e i militari li attaccavano alle cinghie e li indossavano durante le parate. Non se ne sono conservate molte, proprio perché fatte con metallo prezioso.
LE TAVOLETTE DI VINDOLANDA
Ma è nel 2017 che venne fatto il rinvenimento che ha reso celebre Vindolanda in tutto il mondo: le famose Tavolette. Risalenti al periodo di occupazione compreso tra il 90 e il 120, grazie ad esse gli archeologi sono riusciti a ricostruire spaccati di vita quotidiana all’interno del forte. Questa raccolta di documenti è preziosissima anche perché rappresenta il più antico archivio letterario della Gran Bretagna e ci informa sul linguaggio e sul livello culturale dell’esercito romano alla fine del I secolo. Nel loro complesso, sono state votate come il reperto archeologico più importante della Gran Bretagna, “Britain’s Top Treasure”. Le condizioni climatiche particolarmente umide e fresche hanno permesso che le tavolette rimanessero pressoché intatte, questo nonostante si trovassero a diversi metri sottoterra.
A Vindolanda sono stati ritrovati due tipi di tavolette per scrivere. Il primo consisteva in un sottile supporto di legno ricoperto di cera, sul quale si scriveva con uno stilo e che poteva essere riutilizzato dopo averne sciolto e appianato la cera. Il secondo tipo di tavolette era monouso: si scriveva su un foglio di betulla, ontano o quercia con dell’inchiostro che veniva poi ricoperto con uno strato di cera per evitare sbavature. Molte tavolette potevano essere piegate, permettendo così di aggiungere sul retro il nome e l’indirizzo. Redatte in corsivo romano, la loro decifrazione è difficile, perché richiede una conoscenza approfondita del latino, così come del gergo e delle abbreviazioni usate dai militari.
Sopravvissute per caso
La sopravvivenza delle Tavolette è dovuta al fatto che esse furono gettate via. Grandi quanto una cartolina, si trattava perlopiù di lettere indirizzate a persone di Vindolanda, sebbene siano state trovate anche bozze di missive inviate dal forte. Alcune forse si persero per circostanze fortuite, ma praticamente tutte finirono nella discarica perché non valeva la pena conservarle, soprattutto quando il proprietario doveva cambiare destinazione e decidere cosa portare con sé (lo abbiamo visto anche per le scarpe). Pochissimi testi, tuttavia, sono completi e la loro decifrazione è complicata dal fatto che nessuna tavoletta porta una risposta a qualche altra lettera. Occasionalmente, è sopravvissuto un numero di frammenti sufficiente a farsi un’idea di qualcuno, del suo ruolo, della sua famiglia e dei suoi amici.
Routine di vita militare
Trattandosi di una base dell’esercito, alcune tavolette riguardano la routine della vita militare. Facciamo qualche esempio: “15 aprile. Rapporto della nona coorte di Batavi. Tutti gli uomini sono al loro posto e il materiale è in ordine. Il rapporto è stato redatto dagli optiones e dai curatores. Ha consegnato il rapporto Arcuittius, optio della centuria di Crescens”. Si trattava di un renuntium, un documento di ispezione ordinario.
Altri testi indicano il numero di uomini assegnati a determinati posti: “25 aprile, nelle officine 343 uomini”, insieme ai loro compiti specifici, come la calzoleria o la costruzione delle terme. Un altro documento elenca le persone che stavano costruendo un edificio, apparentemente sotto la supervisione di un assistente medico; alcuni di loro stavano raccogliendo argilla da usare nelle palizzate.
I permessi
Come abbiamo visto, sia i Tungri che i Batavi provenivano dalla Renania. Nulla di strano, quindi, che venissero avanzate richieste di licenza. Una lettera inviata ad un comandante tungro per richiedere un permesso per alcuni membri delle tribù dei Reti e dei Voconzi (popolazioni provenienti dalla zona alpina) indica che forse c’erano reclute di altre zone. Le richieste di permessi sono frequenti, ma non rivelano mai quanto tempo venisse sollecitato. Non si sa, quindi, se ai soldati fossero concesse licenze di diversi mesi, sufficienti a fare ritorno ai luoghi d’origine e trascorrervi un certo tempo, o solo congedi di pochi giorni che li avrebbero costretti a rimanere in zona.
Richieste urgenti
In alcuni casi gli autori delle lettere hanno ragioni urgenti per aspettarsi una risposta. “Se non mi mandi qualcosa, almeno cinquecento denari, perderò ciò che ho versato come deposito, circa trecento denari, e mi troverò in difficoltà”. Questa richiesta appare in una lettera di compravendita di grano, pelli e carne, una delle tante che trattano di questioni commerciali. È sorprendente notare che Vindolanda, sebbene fosse ai margini dell’Impero, aveva un collegamento diretto con i grandi mercati di Roma. Certo, nella lettera si parla anche di cattive strade che rallentano il trasporto delle merci, ma si ha comunque sempre l’impressione che fosse possibile procurarsi di tutto, almeno per chi poteva permetterselo: dalle scarpe e i vestiti della lettera citata, alle reti da caccia e le ostriche menzionate in altri messaggi.
Gli ufficiali e le loro famiglie
Tra le tavolette si sono conservati molti documenti appartenenti ai comandanti delle coorti, che offrono un quadro dettagliato delle loro vite. Il pretorio (l’alloggio del comandante del forte) era uno degli edifici più maestosi di ogni forte. I pretori erano equites, o cavalieri, la classe sociale appena sotto quella senatoria. Trascorrevano almeno tre anni nell’avamposto e in quel periodo portavano con sé la famiglia e la servitù. Sono state proprio le Tavolette di Vindolanda a rivelare che gli ufficiali superiori vivevano con le famiglie quando venivano assegnati a forti come questo.
Le mogli dei comandanti: la Tavoletta 291
La vita delle mogli nelle guarnigioni dei coniugi era molto simile all’esistenza tranquilla che conducevano nelle loro comunità d’origine: organizzavano ricevimenti, facevano amicizia con altre donne di pari stato sociale e patrocinavano quelle di condizione inferiore. La più nota delle Tavolette è l’invito che Claudia Severa, moglie del comandante Elio, fa a Sulpicia Lepidina perché partecipi alla sua festa di compleanno, che si festeggia l’11 settembre, chiamandola “anima mea karissima”. La sua presenza, sostiene, potrà renderla felice. Una particolarità di non poco conto è che anche se gran parte del messaggio, scritta con l’inchiostro di carbone su una tavoletta di legno, fu redatta da uno scriba, le parole “Ti aspetto, sorella. Stammi bene, sorella, anima mia carissima, come io mi auguro di star bene, e addio”, sono state aggiunte da Claudia di suo pugno. Ciò ne fa il più antico testo giunto fino a noi, scritto da una donna in Europa.
Esercizi di scrittura
A Vindolanda c’erano dei bambini alle prese con il difficile compito di imparare a scrivere. La Tavoletta 118 è una bella testimonianza di ciò, dato che contiene un esercizio di scrittura, più precisamente, il tentativo di scrivere il verso 473 del nono libro dell’Eneide, sembra con risultati giudicati dal maestro poco soddisfacenti.
LEGGEVANO TUTTI?
L’abbondanza di lettere rinvenute a Vindolanda solleva la questione del livello di alfabetizzazione dell’esercito romano. Nella vita quotidiana di una guarnigione, la scrittura era spesso usata per redigere rapporti, ordini, turni di servizio, permessi di uscita, etc, pertanto c’erano senza dubbio molti funzionari in grado di scrivere e leggere tutti questi documenti. Tra loro si trovavano comandanti e altri ufficiali, come centurioni e decurioni, ma forse anche alcuni soldati avevano tali competenze. Nell’Egitto romano sono state trovate testimonianze del fatto che l’esercito insegnava alle reclute a leggere e scrivere. L’apprendimento avveniva di solito tramite l’Eneide, e forse non è una coincidenza che a Vindolanda sia stata ritrovata una tavoletta come quella già citata.
VINDOLANDA OGGI
Come abbiamo già detto, gli scavi sono ancora in corso e si possono vedere durante le visite. Il sito è vasto ed è possibile passeggiare tra i resti dei vari edifici dove quasi ovunque vi sono targhe esplicative. Sul lato est vi è anche una ricostruzione in legno di una tipica sezione del Vallo di Adriano, perfetta per farsi un’idea di come il leggendario sistema difensivo doveva apparire.
Il Vindolanda Trust
Nella primavera del 1970 venne fondato il Vindolanda Charitable Trust. I suoi obiettivi, che sono rimasti fino ad oggi, riguardavano la ricerca archeologica del sito, rendendo le strutture e i manufatti disponibili al pubblico interessato, in particolare ai gruppi educativi, e coinvolgendo persone di ogni ceto sociale. La visione del Vindolanda Charitable Trust – si legge nel sito ufficiale – è quella di scavare e preservare i resti romani di proprietà del Trust nel settore centrale del Sito Patrimonio dell’Umanità del Vallo di Adriano. Il suo obiettivo originale è quello di amministrare il forte romano di Vindolanda e il suo museo. Il Vindolanda Trust è un ente di beneficenza totalmente indipendente che può continuare a scavare, conservare, ricercare e educare solo con il denaro raccolto dai visitatori di Vindolanda Roman e del Museo dell’Esercito Romano. Il Trust incoraggia le persone di tutte le età e abilità ad arricchire il proprio presente e futuro imparando dal passato. Il suo compito è preservare e condividere il dono della storia. Il sito non è concepito come un’attrazione turistica, ma come un luogo in cui le persone possono venire e partecipare attivamente alla ricerca storica e archeologica.
Il lavoro di conservazione e recupero portato avanti dal Vindolanda Trust è eccellente, ed il fatto che dia la possibilità a chi è interessato di unirsi al team di archeologi, o che organizzi dei seminari o workshop a tema, dimostra quanto sia importante il coinvolgimento non solo di esperti del settore, ma di tutti coloro che amano la storia.