Non si può affermare con certezza che a Wimbledon sia iniziato un nuovo Regno: questo perché di Re, da queste parti c’è n’è sempre stato uno solo, Roger Federer. Anzi, la vittoria di Alcaraz probabilmente finisce anche per salvaguardare la sacralità del Maestro svizzero: sconfiggendo Novak Djokovic ha conservato l’unicità del record di King Roger, vincitore per otto volte nel giardino più prestigioso del mondo. Il successo di Carlitos segna una cesura nella storia del tennis, un passaggio di consegne da un dominatore ad un altro, la dittatura sportiva di Nole è terminata, che inizi l’oligarchia dei next gen.
Djokovic si inchina
Non è un fallimento, non è una stagione da dimenticare, ma far digerire a Novak Djokovic la sconfitta in una finale Slam, per lo più a Wimbledon non sarà facile. Avrebbe raggiunto Roger, si sarebbe affermato come il più vincente raggiungendo il numero di slam di Margaret Court e invece, come spesso accade in questo giardino, è avvenuto quello che ha tutta l’aria di essere un passaggio di consegne. Nole è stato il dominatore degli ultimi anni, quest’anno senza Rafa e senza restrizioni per i vaccini stava puntando chiaramente è dichiaratamente alla realizzazione del Grande Slam sfuggitogli nel 2021 per una partita. Le prime difficoltà in questa edizione dei Championship le aveva ottenute contro Hurkacz, ma chiamarle difficoltà ci sembra effettivamente un’esagerazione. Tutto liscio con Sinner e sembrava tutto fin troppo facile in finale; al termine di un primo set senza storia il Centrale era già pronto per l’ennesima cerimonia storica con il serbo protagonista. La partita era iniziata esattamente come la semifinale con Jannik, palla break annullata e subito via rapido verso la vittoria del primo parziale, aiutato anche dagli errori di dritto di Carlitos.
Dal secondo set qualcosa è cambiato, sia sul campo che nella mente di Nole che ha trovato un avversario alla sua altezza andando di conseguenza in crisi. Aveva anche avuto un set point che gli avrebbe consegnato il 2-0, ma due errori di rovescio hanno riequilibrato l’incontro. Sono passi falsi che non gli abbiamo visto fare con nessuno negli ultimi anni, se non proprio con i suoi colleghi di vittorie Rafa e Roger. Nel quinto i nervi del sette volte campione cedono totalmente, sbaglia uno schiaffo al volo che probabilmente avrebbe chiuso l’incontro in suo favore, subisce il break e a quel punto a farne le spese è la sua stessa racchetta scaraventata e dilaniata contro il paletto della rete, in quel momento si è reso conto di aver perso Wimbledon. Nel tennis non esiste la banalità, neanche Djokovic è in grado di vincere uno Slam come se fosse una semplice routine e se nella Ville Lumière i crampi nervosi di Alcaraz gli hanno aperto la strada verso un successo veramente storico, qui nel tempio Sacro di Church Road per Carlitos è giunta l’ora di crescere e diventare grande. Anche per Djokovic il tempo scorre e se dopo la vittoria con Sinner si era detto entusiasta del far parte di questa nuova generazione, adesso l’affermazione “i 36 sono i nuovi 26” non risulta più così calzante.
Alcaraz, un giocatore totale
È dai primi successi in carriera che Alcaraz si porta dietro il paragone scomodo e pesante con Rafa Nadal. Un paragone che poteva anche schiacciarlo, come accadde a Grigor Dimitrov quando venne condannato dal soprannome di Baby-Fed. Invece, Carlos ha dimostrato una solidità, anche mentale che, forse, neanche il King of Clay aveva a vent’anni. Sconfiggendo Djokovic ha vinto Wimbledon e lo ha fatto a modo suo, portando in campo il rifiuto della sconfitta: è stato capace di resettare un brutto primo set, di restare ancorato ad ogni game anche quello durato 26 minuti e soprattuto ha trovato la forza mentale, fisica e tecnica di dimenticare degli errori anche gravi, come la volèe di dritto che di fatto che ha indirizzato il quarto set nelle mani del serbo. È riuscito a colpire Djokovic nelle sue certezze: la gran capacità di Nole di ricaricarsi e svoltare le partita questa volta non è stata sufficiente. Come nella finale del Roland Garros 2021 e nella sfida a Wimbledon 2022 contro Sinner, Djoko al cambio campo tra due set ha avuto una intensa conversazione con se stesso negli spogliatoi- tra il terzo e il quarto-, questa volta però la nuova linfa agonistica lo ha scatenato solo per un parziale. Alcaraz ha riportato in campo la perfezione dei colpi classici, quella per la quale è stato accostato a Rafa e anche uno spirito di inventiva grazie al quale ha trovato delle soluzioni in grado di spiazzare totalmente il suo avversario.
Erede di Nadal, forse si, ma Alcaraz è riuscito ancor prima di confermare tale paragone a vincere dove Rafa ha avuto più difficoltà. Il maiorchino vinse il primo Slam nel 2005, sulla sua amata terra rossa parigina. Per vederlo trionfare su altre superfici ha dovuto attendere tre anni e solo nel 2008 ha sollevato il trofeo nel giardino più prestigioso al mondo. Carlitos invece, pur dimostrando di amare il tennis su terra rossa, fin dall’inizio della carriera non ha temporeggiato e in meno di un anno si è aggiudicato US Open e Wimbledon; cemento in Laykold ed erba. All’appello mancano ancora il GreenSet australiano e proprio il Clay di Parigi sul quale ha già dato ampie garanzie del suo talento. Nel 2023 al Roland Garros era stato fermato solo dai crampi nervosi che un avversario come Djokovic può causare, da quella sconfitta ha trovato la formula per la vittoria; come cantano gli Aerosmith “bisogna perdere per sapere come vincere”. È un giocatore totale e per lui non ci sono più segreti, il tennis è tuo Carlitos.